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L'arte in equilibrio di Manohar Chiluveru

L'artista indiano racconta la sua arte in un'intervista rilasciata a Roma, durante la sua mostra al Macro Asilo

Manohar Chiluveru, Unlimited, Macro Asilo, 2019

Un viaggio di mille miglia comincia con un passo - Lao Tzu

Manohar Chiluveru sostiene che «La conoscenza e la creatività dovrebbero muoversi e circolare nella società allo stesso modo in cui il sangue circola nel corpo, altrimenti l'uomo e la società saranno privi di vita». L'arte è una questione di equilibrio per Chiluveru, che invita i fruitori delle sue opere a posare tenendo sospeso tra le labbra un cucchiaino che sorregge a sua volta un uovo.

Quali sono le basi del tuo progetto?

«Voglio raggiungere 24 capitali d'arte intorno al mondo e realizzare 24 sculture e grandi tele per ognuna di queste città, che si rivelino frammenti, fermo-immagine, incarnanti una narrativa, un racconto multiculturale e la metafora del movimento. La prima tela è stata realizzata ad Hyderabad, le dimensioni sono 12x30 piedi. Questo progetto prevede anche "The Balance & Race" una performance collaborativa che coinvolgerà un pubblico variegato. Il tutto ruota intorno alla volontà e il desiderio di vivere in una società più coesa, non ci sono accordi civili né cooperazione spesso, ma solo disinformazione».

Mi puoi parlare di quali saranno le tue prossime tappe?

«Un artista per ogni città verrà invitato in India, 24 in totale, ho creato una nuova fondazione, la “Kriya Art Foundation” con sede in India e ad Amsterdam, questo travel project aiuterà a creare un nuovo festival "Art, Spirituality and Creative Startups" una sorta di Manifesta che cambia città ogni volta, la prima sarà Amsterdam. Vorrei creare un legame tra Unione Europea ed India. Essenzialmente è questo il motivo che mi spinge a viaggiare intorno al mondo alla ricerca di incontri stimolanti con nuove persone, lingue e culture. Vorrei creare una rete di professionisti del creativo, artisti, curatori, politici, leader. Lo scopo è stringere contatti con 15 persone in ogni città per raggiungerne in totale 360, a 360 gradi intorno al mondo. Sono già stato a Venezia, Palermo, Milano, Roma, Barcellona, Parigi, Lipsia, Amsterdam. A seconda delle opportunità d'incontro coprirò i sei continenti, presto andrò in Giappone e in Australia, sono già stato a NY ma voglio tornare negli Stati Uniti per andare a Los Angeles».

Come è nata l'idea del progetto, cosa ti ha spinto ad intraprendere questo viaggio?

«La mia prima tappa è stata Londra nel 2006, poi sono andato a Barcellona e a New York, dopo di che ho preso una pausa. Quando ero un bambino ero molto introverso, tutto il mio lavoro ha a che fare con la nostalgia - la nostalgia di aver perso qualcosa? - …Mi sentivo solo quindi ho iniziato a creare un mondo interiore tutto mio, nella mia mente, perché non riuscivo ad aprimi, mi sentivo oppresso anche a scuola. La mia mente ha iniziato a desiderare di aprirsi: ero curioso, volevo connettermi con le persone e confrontarmi, la complessità dell'introversione mi fece diventare ambivalente. Avevo bisogno di un cospicuo fondo per viaggiare, nel 2015 sono stato a Venezia e volevo connetterla con la città dalla quale provengo, ho scoperto una storia su Marco Polo e la sua esperienza in India durante il viaggio di ritorno verso la laguna veneziana. L’Italia mi è particolarmente cara, di recente infatti ho avuto modo di lavorare nuovamente a Roma, presso il Museo Macro. In un mondo di social media siamo connessi con milioni di persone, su Facebook ho 3000 amici ma la realtà di fatto è che non li ho mai incontrati per la maggior parte».

Quali media e materiali prediligi?

«Mi piace sperimentare materiali diversi, anche prelevati dalla merce in vendita al supermercato, come piatti e superfici atipiche. In questi dipinti liberi emergono varie forme, una faccia, uno squalo, delle piante ed elementi naturali. È come un flusso di coscienza visivo, è connesso con l'archivio mnemonico».

Ti senti un artista "indiano", inserito nel contesto da cui provieni?

«Forse qualche decennio fa gli artisti si sentivano più appartenenti ad una nazionalità. Quando Venezia si è allagata, c'è stata preoccupazione a livello globale. Gli artisti sono legati in parte alle proprie radici, sicuramente incidono nel processo di pensiero, ma vogliono superare i confini, navigare problematiche e tematiche di spessore internazionale. Allora l'identità nazionale svanisce. Personalmente non penso di essere rappresentativo di un’arte indiana. Il mondo introverso che contenevo da bambino ha fatto nascere in me una spinta verso l'altro, oltre barriere locali, regionali, statali».

Cosa pensi della scena artistica indiana?

«Se guardiamo ad una ventina d'anni fa non esisteva una scena artistica indiana, non c'era l'interesse da parte di galleristi e collezionisti indiani a vendere opere d'arte, anzi queste erano viste come meri oggetti, esistevano scuole d'arte tradizionali. È vero dall'altra parte che negli ultimi dieci anni le case d'asta come Christie's e Sotheby's stanno contribuendo a promuovere un enorme impatto nella stessa scena dell'arte, settorializzandola, etichettando un'arte indiana, il business crea business, nuove stelle, un focus specifico su ogni paese e continente: l'arte america, quella asiatica, la cinese, la giapponese, vengono create "boxes" incasellamenti. Uno scenario dell'arte in cui pochi idoli sono scelti per il mercato globale, prima dalle gallerie occidentali alla ricerca di talenti. Ad esempio Subodh Gupta, nessuno lo conosceva in India finché Hauser & Wirth l'ha scoperto. Pensiamo ad Anish Kapoor è indiano ma d'adozione inglese, i suoi lavori sono influenzati dalla filosofia indiana.

Subodh Gupta ha realizzato "Mushroom Cloud" ed è stato definito il "Damien Hirst di Delhi", ha utilizzato delle pentole per ricreare la forma dell'esplosione, c'è un allusione alle faide e alle guerre per la spartizione dei confini con il Pakistan. Quando si iniziano ad esplorare tematiche legate all'uomo i confini geografici si dissolvono. Le immagini non sono nuove, sono già state realizzate: come il teschio umano, molti artisti hanno già scelto di rappresentarlo, lo stesso Damien Hirst con i diamanti, Gupta ha usato utensili da cucina per alludere agli affamati, quindi i confini si sgretolano, le persone iniziano a guardare alle questioni contemporanee, ai conflitti e alle urgenze del nostro tempo, non c'è più un'unica matrice culturale. Dall'era di Picasso iniziano a moltiplicarsi nuove correnti artistiche in India, che vanno oltre le arti tradizionali, si manifesta l'interesse per il globale, si capisce che tutti gli eventi connessi agli esseri viventi sono rilevanti. Alla Biennale di Venezia si è visto questo cambiamento: prima gli artisti indiani si riferivano alle proprie origini, alle icone religiose, alle divinità come Ganesha ora sono stimolati e si ispirano al contesto internazionale.»


© Edizioni Archos

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