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La Rassegna Internazionale del Cinema Archeologico compie trent'anni


Organizzata dalla Fondazione Museo Civico di Rovereto, l’edizione appena conclusa ha visto in concorso 49 film selezionati provenienti da 19 Nazioni diverse, tra cui 21 produzioni italiane

Tutto è iniziato a Rovereto nel maggio del 1990, quando in occasione del convegno scientifico “Paolo Orsi e l’archeologia del Novecento”, il Museo Civico propose ai partecipanti tre giornate dedicate alle proiezioni di film a tema archeologico. Quella che poteva essere un’idea originale si è trasformata nella Rassegna Internazionale del Cinema Archeologico, che nei giorni scorsi ha festeggiato il traguardo della 30 esima edizione.

Organizzata dalla Fondazione Museo Civico di Rovereto, l’edizione appena conclusa ha visto in concorso 49 film selezionati provenienti da 19 Nazioni diverse, tra cui ben 21 produzioni italiane. Evento clou della Rassegna, la première della docufiction “Paolo Orsi, la meravigliosa avventura”, dedicata alla figura dell’archeologo roveretano Paolo Orsi, del quale proprio nel 2019 si celebrano i 160 anni dalla nascita.

Ormai la Rassegna è senza dubbio un punto di riferimento nazionale per le produzioni cinematografiche in ambito archeologico e mantiene la spinta innovativa anche grazie alla Menzione Speciale Archeoblogger, istituita cinque anni fa per premiare un film che più di altri sapesse trasformare i risultati delle ricerche archeologiche in narrazioni, capaci di arrivare al cuore del pubblico, soprattutto dei non addetti ai lavori.

Sono queste le caratteristiche di "Neandertal, le mystère de la grotte de Bruniquel" (Francia, 2018) , il film premiato dalla Giuria Archeoblogger, di cui faccio parte insieme a Astrid D'Eredità, Marina Lo Blundo, Antonia Falcone, Giovanna Baldassarre, Paola Romi, Mattia Mancini, Domenica Pate, Alessandro Tagliapietra e Michele Stefanile. Il film del regista Luc Henri Fage ruota intorno a una scoperta straordinaria, che riscrive le nostre conoscenze sull’uomo di Neanderthal. Vicino al borgo di Bruniquel, nel sudovest della Francia, un ragazzino appassionato di speleologia scopre una grotta che cela intatto un mistero: centinaia di stalagmiti e stalattiti spezzate, di cui alcune con tracce di fuoco, si trovavano sistemate in due cerchi.

Le ricerche archeologiche, unite alle indagini scientifiche – come la datazione all’uranio delle stalagmiti e l'analisi della patina minerale che si era accumulata su di esse e sui frammenti di osso rinvenuti – non lasciano dubbi: quanto rinvenuto, risalente a 176mila anni fa, è a opera dell’uomo di Neanderthal. «La scoperta, commenta Chris Stringer, paleoantropologo del Natural History Museum di Londra, fornisce una chiara evidenza del fatto che i Neandertal avevano capacità di pianificazione e di costruzione pienamente umane, e che alcuni di loro erano in grado di inoltrarsi molto in profondità nelle grotte, dove la luce artificiale era assolutamente necessaria». Grazie a Bruniquel, si riconosce oggi all’Uomo di Neanderthal sia un’organizzazione sociale strutturata sia la capacità di concepire mentalmente lo schema e poi di realizzarlo, maneggiando in questo caso, un totale di oltre due tonnellate di stalagmiti.

© Visitrovereto.it

Nella motivazione che ha premiato il film si legge “Più che un documentario, un racconto per immagini e parole di una ricerca rivoluzionaria (benché controversa nei suoi esiti): dalle origini della scoperta all’uso delle più moderne tecnologie per arrivare alla datazione delle strutture rinvenute nella grotta francese in cui emerge, però, la quotidianità del lavoro dell’archeologo, già di suo scomodo, stavolta ancora di più. I veri protagonisti sono gli archeologi e proprio per questo viene mostrata passo dopo passo la ricerca. Con Bruniquel non ci si annoia mai: la narrazione e le riprese hanno la capacità di condurre lo spettatore per mano, accompagnato dall’entusiasmo dei protagonisti. Forse è questo l’elemento che fa di Bruniquel un film emozionale ed emozionante: l’empatia che i ricercatori riescono a comunicare, il trasporto che trasmettono mentre semplicemente portano a compimento il loro lavoro.

Non solo, certi scambi di battute, certe risate che esplodono, certe esclamazioni, rendono tutto estremamente familiare e trasportano lo spettatore dentro quella grotta, a condividere con l’équipe la sorpresa per il rinvenimento e le emozioni per ogni tassello di conoscenza acquisito in più. Quella grotta, tra l’altro, è accessibile soltanto a specialisti e pertanto può essere restituita alla comunità globale, non solo scientifica, mediante un prodotto divulgativo di questo tipo.

Il tono narrativo alterna la narrazione scientifica a quella della scoperta, fino a diventare colloquiale; tuttavia viene messo in luce l’approccio multidisciplinare, con l’utilizzo dell’archeologia sperimentale, della geologia e dell’archeometria.

In conclusione, quando c’è una buona narrazione non c’è bisogno di ricorrere a ricostruzioni virtuali spettacolari: qui abbiamo tutto.



© Edizioni Archos

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