Ti minaccerò con una colomba bianca
Maram Al Masrì, poetessa siriana esule a Parigi, ovvero la forza della parola che veicola le idee
La polvere,/una viaggiatrice come me/una migrante come me/che, malgrado tutto, non attecchisce da nessuna parte./Senza patria/viene da ogni orizzonte,/portata dalle ali del vento.[…] La polvere è la cagna fedele del vento./Corre davanti e dietro/e vola con lui/da nord a sud,/a ovest a est/silenziosa/aderisce come una morbida veste/sui corpi.
Maram Al Masrì
C'è sempre una data legata ad un evento: 15 marzo 2011 è il giorno in cui inizia la guerra civile in Siria, all'interno del contesto più ampio della primavera araba del nord Africa, guerra che è ancora in corso, anche se spesso scompare dai titoli dei media. All'inizio, gli scontri avevano l'obbiettivo di far dimettere il presidente Bashar al-Assad e interrompere così più di un trentennio di dittatura, ma presto la preponderante componente fondamentalista salafita pose come principale obbiettivo l'instaurazione della Shari'a in Siria. Si arriva al 29 giugno 2014, quando un gruppo di jihadisti dello Stato Islamico dell’Iraq e del Levante (Isil) - più noto come Stato Islamico dell’Iraq e della Siria (Isis) - annunciano la creazione di un califfato islamico nei territori controllati tra Siria e Iraq, nominando come proprio leader Abu Bakr al-Baghdadi.
Questa guerra civile fu “siriana” solo per pochi mesi: molto presto arrivarono i primi “foreign fighters”, i combattenti stranieri, schierati al fianco dei ribelli sotto l'egida della jihad. La guerra, che è diventata sempre più violenta di anno in anno, ha provocato, ad oggi, la morte di oltre 200mila siriani. Come sempre avviene, in Europa ci stiamo abituando ai grandi numeri, i media ci dicono che ci sono 12,2 milioni di persone che necessitano di assistenza umanitaria, 3,8 milioni di rifugiati siriani nei Paesi limitrofi, 4 milioni di vedove siriane, esuli, sole e indifese, e dietro a questi numeri ci sono persone che raccontano una vita quotidiana spesa nell'attesa che, in patria, qualcosa cambi per potervi ritornare. A Parigi, dal 1982 abita Maram al-Masrì, scrittrice e poetessa siriana, esiliata da una nazione nella quale è stata discriminata, perseguitata e minacciata di morte dal regime di Assad, paese che lei ha ripudiato, ma per il quale continua a lottare utilizzando la sua arma: la poesia.
Nelle sue opere, la poetessa esprime il suo dissenso e offre la sua istanza di civiltà, utilizzando un linguaggio diretto e, spesso, scandaloso. In lei la volontà di combattere una quotidiana lotta di denuncia è forte, così come è forte il desiderio di far vivere la poesia. Legge i suoi testi in molte fabbriche e prigioni europee, e dice: «Anche se le persone sono incredibilmente inclini alla poesia, questa è destinata agli intellettuali: l’operaio non ha ancora trovato il tempo per sognare e, in realtà, non ha tempo per nient’altro che il suo lavoro. La poesia è un lusso, ma un lusso vitale: può ancora far crescere l’umanità, innalzarci sopra noi stessi. La mia speranza è che le attività e le sovvenzioni aumentino affinché la poesia possa seminare la sua bellezza - e continua - scrivere significa essere quella nave che salverà chi sta annegando, è stare sull’orlo di una scogliera e aggrapparsi a un filo d’erba. Quando scrivo, il mio io è quello dell’altro, e questa convinzione mi aiuta a liberare me stessa, a mettermi a nudo. Tuttavia, far valere la mia poesia, e cercare di meritare il corrispettivo titolo, mi mette in pericolo, è uno scandalo che implica tanta sofferenza.»
Della sua condizione di esule dice: «È come vivere in una dimensione transitoria fra due mondi e parlare due lingue, dormire in due letti, avere due personalità e altrettante facce. Un esilio è paragonabile a un albero privato delle sue radici. E se crescere è difficile, l’essere migrante aiuta a farlo. C’è sempre un ‘ma’. Io mi sento come la polvere: leggera e pesante, e come la polvere danzo con il tempo». Maram mi ha permesso di porle alcune domande attraverso uno scambio di mail, così le chiedo di spiegarmi la sua missione, e lei dice: «Di fatto, essere poetessa, è una grande responsabilità, simile a quella di un guardiano del cielo verso una tomba, poiché l’altro giace sotto le nostre ali di responsabilità, come in ogni rapporto d’amore. Al pari del medico che sterilizza i suoi strumenti prima di operare un paziente, la mia consapevolezza consiste in questo scrivere d’amore, quindi del non-amore: è un detergere l’esistenza. È aiutare chi non possiede – o ha perso – la vista ad attraversare una strada pericolosa. La forza della poesia proviene dalla sua capacità intrinseca di penetrare la coscienza senza che l’altro se ne renda conto, perché essa vive già in noi».
Nel suo libro Arriva nuda la libertà la scrittrice descrive la tragedia siriana:
“Da quattro anni vivo la rivoluzione con tutta me stessa, perché credo profondamente nella sua giustizia. Ho visto i miei vicini di casa uccisi e un intero popolo morire ogni giorno. E i bambini!, non esagero dicendo che non riesco a vivere: i loro volti mi tormentano, mi ossessionano. La vista delle loro fotografie tra le macerie è insopportabile. A volte mi chiedo: come faccio, io, a vivere sapendo di tutte queste morti ingiuste? Ma la poetessa che è in me continua ad alzarsi ogni mattina per denunciare questi crimini. Ne I figli della libertà scrivo di alcuni bambini all’ingresso della scuola che stanno aspettando la loro madre. Ecco: la libertà, per i siriani, è una madre, i cui figli sono stati torturati davanti ai suoi occhi… anche se lei, alla fine, ritorna sempre per abbracciarli”.
È negli spazi vuoti del non detto che si insinua la poesia di Maram Al-Masrì, nei puntini di sospensione di molti articoli scritti dagli osservatori stranieri del conflitto siriano, o enunciati dalle televisioni di tutto il mondo, andando, tra le sue rime, a colmare le lacune dei silenzi che portano un conflitto così feroce all'oblio.
Prima di salutarla, chiedo a Maram se i movimenti femminili che sono nati in Siria dal 2011 riusciranno ad incidere sulle scelte politiche dell'ipotetico governo di liberazione, e lei risponde: “ Io spero che questi movimenti influenzino le scelte politiche del governo che andrà a sostituire quello in essere, dal momento che le donne impegnate nella rivoluzione sono così attive. Io credo nel vigore di queste donne, nella loro intelligenza e nella loro voglia di libertà, quindi sono sicura che loro avranno un grande ruolo nella definizione delle scelte politiche che il governo farà in futuro.”
Le chiedo se, a suo avviso, le future generazioni di donne sapranno utilizzare tutta la sofferenza della guerra per potersi emancipare nella nuova società siriana, dopo il conflitto, cambiando radicalmente il loro ruolo storico e lei: «Naturalmente ci sarà un grande cambiamento del ruolo storico femminile nella società siriana, ma non sarà un'operazione semplice". Quale sarà la situazione della Siria dopo il genocidio fisico e morale dei siriani? "Servirà un sacco di tempo per ricostruire la nazione, ma le donne non si fermeranno mai nel chiedere un mondo migliore, moderno e giusto, e nell'impegnarsi a costruirlo».
Articolo pubblicato su ArtApp 15 | LA DONNA
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