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Elisa Biagi: LASCIAPASSARE vivere il confine mobile

Le foto dell'artista mostrano la complessità dei paesaggi del “confine mobile”, terra che si estende tra Veneto, Istria e Carinzia, con al centro il Friuli Venezia Giulia

Photo © Elisa Biagi

Com’è il colore del confine? Qualche mese fa l’ho chiesto ad alcuni adulti e a diversi bambini e la risposta di tutti stata è stata “grigio!”. Più uno stato d’animo e di sensazioni che la realtà oggettiva, di certo originate dal senso di limite che il confine evoca. Lo sa bene Elisa Biagi, giovane fotografa triestina, che da più di dieci anni porta avanti un ampio e complesso progetto in grado di aiutarci a capire la storia dei luoghi, perché talvolta noi non conosciamo la realtà, ma solo le idee, ed è quindi necessario percepirne a pieno l’essenza per poterne parlare in modo adeguato. Il libro “LASCIAPASSARE vivere il confine mobile” nato da migliaia di giorni di analisi sul campo, rivolta il concetto di frontiera con uno sguardo attento e personale legato al presente, allo stato delle cose, alla memoria e infine, al paesaggio stesso.


Il territorio per l’autrice non ha confini, mentre nascere e crescere in uno spazio che ha mutato anche solo i suoi bordi, è straniante. Essere a casa, ma essere stranieri contemporaneamente. Sentirsi figli di una terra, ma non di una nazione –racconta- fieri delle proprie radici e per questo abbracciarle tutte, dovendo talvolta ufficialmente prediligerne una soltanto. Negare talvolta se stessi per ragioni di quieto vivere e considerare tutto normale e per niente soffrirne, perché la vera ricchezza, non è essere uguali, ma convivere, parlandosi magari con gli occhi. Il suo lavoro fotografico ci mostra la complessità del territorio dell’Alto Adriatico, i paesaggi del confine orientale, il cosi detto “confine mobile”, terra che si estende tra Veneto, Istria e Carinzia, con al centro il Friuli Venezia Giulia, oggi suddiviso in quattro stati d’influenza: Austria, Croazia, Italia e Slovenia.


Photo © Elisa Biagi


Spazio molto “impreciso“ che già negli ultimi cento anni ha cambiato limiti e genti. Un cosmo fatto di plurilinguismo, particolarismi e non già uniformità. Una situazione piuttosto compromessa, tutt’altro che in fase di risoluzione, fatta quindi di un caleidoscopio di colori. […] Lo sguardo, come la memoria non è condiviso, non c’è un’unica visione , l’unica memoria storica è utile solo alle ideologie, non alla gente che oggi vive qui con le tracce del passato e un futuro diviso su tre nazioni. Chiedo alla Biagi: «la frontiera, luogo dove l’altro ci sta di fronte, che colori ha?» Lei risponde con le sue immagini. È quello brunastro della pianura alluvionale del Dragonja , fiumiciattolo che, come un serpentello, gioca a nascondino e non riesci a capire dove svalica.


È quella sorta di terra di nessuno delimitata dalla rete che dai primi mesi del 2016 segna il confine tra Croazia e Slovenia, barriera creata ufficialmente per gestire e contenere i flussi migratori della rotta balcanica, ma ancora al centro di polemiche e di tensioni tra i due stati per il mancato riconoscimento reciproco. È il bianco del pizzo che una donna di Dolina rammenda con la macchina da cucire sempre pronta, utilizzando da anni le stoffe provenienti dagli empori triestini, famosi da sempre per le telerie vendute sino a Zagabria.La memoria personale e di affetti delle genti divise oggi da nuove barriere , trabocca nel colore delle immagini di Ponta. L’intonaco della vecchia casa, oggi restaurata, dove qualcuno ricorda: “non dovevamo usare sapone, che comunque non c’era, perché lì macellavano la carne.


Photo © Elisa Biagi


"Ci pulivamo le tece (pentole) grattando un po’ di sabbia dall’intonaco del muro esterno, stando attenti a non farci sgridare perché era grave anche danneggiare il muro”. È l’interno della vecchia credenza di Korte? Che dagli anni '40 continua a custodire stoviglie, piatti e bicchieri, posta all’interno di un capanno nei campi, usato per il rimessaggio degli attrezzi. Tra le fotografie ci sono anche altri oggetti di casa del famoso Magazzino 18, a Trieste, monumento non ufficiale dell’esodo istriano/dalmata. Le suppellettili che nella concitazione della partenza venivano spedite in casse che in seguito avrebbero dovute essere inviate ai nuovi luoghi di residenza degli esuli, ma restavano lì, perché spesso le bolle di accompagnamento andavano perse o per l’impossibilità di portarle con se degli esuli.


E il lasciapassare azzurrino che fino al 2007 doveva essere esibito per passare da una zona all’altra , di che colore emozionale era veramente? Era del colore del vento, della bora e il suo profumo. Che per chi non conosce questo ampio territorio può sembrare un gioco di parole, ma per chi vive queste zone è il colore che rende il cielo terso, limpidissimo, vivido con ogni condizione atmosferica. Un lasciapassare usato da migliaia di persone soprattutto per la possibilità concreta di un miglioramento economico particolarmente dopo la seconda guerra mondiale, che ha lasciato ferite mai sanate e ha reso Trieste un punto di arrivo importante. Allora si trattava del polo commerciale della regione di cui assorbiva la forza lavoro e ciò indipendentemente dai confini sia ben prima dell’ultimo conflitto, quando la città divenne il pomo della discordia delle sistemazioni territoriali postbelliche.


Photo © Elisa Biagi


Si calcola che ben trecentomila persone si spostarono nei pochissimi chilometri del confine orientale. Forse per allentare la tensione ancora palpabile ciò che ci sfugge oggi è che la situazione appare nuovamente compromessa, tutt’altro che risolta, dobbiamo leggere e immaginare l’elenco sentimentale merceologico dei beni scambiati, comprati o contrabbandati a dispetto dei confini, riportati nella divertente appendice A del libro. Alcune mie cugine li chiedono ancora, anche se oramai ci sono anche da loro e magari costano meno. Il giallo del parmigiano reggiano, la limpida trasparenza della grappa, il rosato del cappello da prete (carne), il velluto liscio, le spugne di Trieste e il coloratissimo fustino del Dash. Quanti colori aveva e ha tuttora il confine.


(In corsivo alcuni brani del libro n.d.r.)




© Edizioni Archos

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