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Vedere le cose. L’enigmatica essenza del reale

A Pietrasanta (LU) dal 1° giugno 2024 in mostra le opere di Florence Di Benedetto


Florence Di Benedetto, Natura morta, 2024 (dettaglio)


La Galleria Susanna Orlando festeggia i suoi dieci anni dall’apertura a Pietrasanta con l'apertura della mostra “Vedere le cose. L’enigmatica essenza del quotidiano” dell’artista Florence Di Benedetto a cura di Tiziana Tommei, prima personale fotografica della galleria. In mostra dal 1° al 28 giugno, nella project room di via Garibaldi, il progetto inedito “Mondo Visibile”, che coniuga fotografia e intervento manuale. “Vedere le cose” e “Mondo visibile” sono estratti da citazioni di Giorgio Morandi, alle cui nature morte con bottiglie rendono omaggio le opere esposte.


Florence Di Benedetto, Natura morta, 2024


A un primo sguardo le opere del “Mondo visibile” di Florence Di Benedetto possono generare un subitaneo ed epidermico straniamento: è il rumore dello sfondo, l’accostamento della realtà silente e ieratica degli oggetti a un terreno di azione intrinsecamente informale. Il progetto prende origine da un dialogo aperto con il passato, con i suoi exempla e le sue icone. Opere che raccontano il percorso intrapreso dall’artista e il suo nucleo valoriale: dalla trasversalità del bagaglio visivo e culturale, alla fede nell’eclettismo e nella sperimentazione; dal superamento di ogni rigida separazione tra tecniche e forme espressive, al coraggio di contaminare la fotografia pura, non alterata o modificata a posteriori, con la manualità di un fare ad azione diretta sull’opera - nel caso specifico attraverso l’effrazione (rayage) del supporto.


Florence Di Benedetto, Natura morta, 2024


Al di là della linea scura che rincorre il profilo della rappresentazione fotografica del mondo visibile - della realtà fisica e concreta delle “cose” che si toccano, che hanno un peso, che si usano e si gettano, che decadono e tendono verso il basso - si dispiega lo spazio del gesto e della materia, una superficie che l’artista scalfisce, lacera e scava per portare alla luce l’impossibilità di una linearità estetica e di narrazione. Spostando lo sguardo sul soggetto, tra le pieghe plastiche della tovaglia di lino e i richiami ai valori della pittura, si impone la composizione scenica delle “cose”: semplici, quotidiane, banali bottiglie di plastica, sculture scelte, trasparenti e solide forme, che abitano la prospettiva e si fanno ora architettura, ora simbolo, ora realtà.


Reperti archeologici che sottendono il riscatto del vile oggetto industriale e, al contempo, esortano a sintonizzarsi sul linguaggio delle “cose”, per esplorarle oltre la patina della fugacità, interrogarle, scavarle per carpirne l’inattesa bellezza e riuscire così ad amarle nella loro brutale autenticità. Un invito a vedere le “cose”.

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© Edizioni Archos

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