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Iconema di paesaggio

L'unicità della Costa dei Trabocchi in Abruzzo 


Trabocco Cungarelle, Vasto (CH) | Foto © Federico Dessardo


Dall’estrema punta del promontorio destro, 

sopra un gruppo di scogli, si protendeva un trabocco, 

una strana macchina da pesca, tutta composta di tavole e di travi, 

simile a un ragno colossale.

Gabriele D'Annunzio, sul trabocco Turchino,

da "Il Trionfo della Morte" (1894)


C'è un Abruzzo interiore, verde, selvaggio, potremmo dire ruspante, costellato da fortezze, eremi, torri e castelli dentro borghi fotogenici, spesso in emorragia demografica o abbandonati, e parchi naturali di rara bellezza e biodiversità; e c'è un Abruzzo sempre più “liquido”, che scivolando lungo la linea d'acqua, si consegna all'Adriatico, carico di storia, identità e bellezza. Negli ultimi anni, pandemia a parte, proprio il mare ha fatto registrare l'aumento dei flussi turistici a livello nazionale e internazionale, certamente per i miglioramenti dei dati sulla qualità delle acque, ma soprattutto per merito dell'unicità di quel tratto noto come Costa dei Trabocchi, in territorio di Chieti, da Francavilla al Mare a San Salvo Marina, passando per Ortona, Fossacesia, San Vito Chietino e Vasto, segmento di costa sempre più inserito nelle promozioni e nei pacchetti turistici proposti ai villeggianti.


Foto © Federico Dessardo


Ma questo è solo “l'ultimo miglio” di una storia lunga e complessa che parte da molto lontano: la necessità di ripari in mare e di spazi per la pesca in tempi remoti, i progetti di recupero e riuso del patrimonio dismesso più di recente tendono i fili di una trama in cui creatività, ingegno e sapiente tecnica costruttiva delineano i caratteri di un paesaggio d'eccezione. Il patrimonio naturale e architettonico della Costa dei Trabocchi risarcisce l'immagine della città continua adriatica, costruita per omologazione, come “marmellata di case” (A. Cederna) spalmata dal Veneto al Molise, come concatenazione di centri “scivolati a valle” (B. Secchi) senza specificità apparenti. In un gioco di riflessi tra passato, presente e futuro, questo tratto di litorale è il paradiso costiero abruzzese, ancora salvo – così sembrerebbe – dalla speculazione edilizia e balneare che tanto hanno danneggiato lunghi tratti dei nostri litorali, costruendo e ispessendo interfacce continue e spesso impattanti.


Punta Aderci, Vasto (CH), Trabucco e Maiella | Foto © Federico Dessardo


I trabocchi, insoliti giganti che emergono dalle acque, sono macchine da pesca su palafitte, le cui origini non sono note con assoluta precisione. Qualcuno fa risalire le prime notizie della loro presenza nel tratto di costa abruzzese addirittura al 1240, epoca in cui Pietro da Morrone (Papa Celestino V) frequentava gli studi nel Monastero Benedettino di S. Giovanni in Venere, presso Fossacesia (CH). Nella narrazione dal 1400 che Stefano Tiraboschi – dell'ordine celestiniano – fa della vita del Santo (collezionando gli scritti autografi e le memorie dei discepoli), si vorrebbe rintracciare una sua nota relativa alla presenza dei trabocchi in una descrizione del panorama sul mare.


Foto © Federico Dessardo


Tracce più sicure della loro comparsa si hanno nella seconda metà del XVI secolo quando nella zona si stabilirono alcuni nuclei familiari composti soprattutto da ebrei provenienti dall'Europa centro-settentrionale (Francia e Germania), abilissimi artigiani (pontieri, fabbri, tessitori) i quali se da un lato erano privi di una solida tradizione marinara (non sapevano nuotare né allestire imbarcazioni), dall'altro avevano nella pesca l'unica fonte certa di sostentamento. Si rese dunque necessario "inventare" un sistema che consentisse di pescare da riva anche quando, per il mare mosso o poco limpido, non era possibile utilizzare fiocine e arpioni.


Foto © Federico Dessardo


Qualsiasi siano le origini, è certo che si tratta di strutture davvero particolari, che appartengono alla terra, ma anche al mare; sono leggere ma anche resistenti, per alcuni versi semplici, per altri complesse. Si stagliano sull’azzurro dell'Adriatico, e suscitano grandi emozioni: sono mirabili macchine che sfidano il vento e il mare con arguzia e rispetto per la natura; evocano forza e fragilità, ingegno della tecnica e semplicità nei materiali utilizzati; appaiono umili, mai prepotenti, si presentano come se avessero anima e saggezza perché capaci di resistere nel tempo, contro le intemperie in modo dinamico e adattivo. Il traboccante, quasi sempre suo creatore e utilizzatore, custodisce e tramanda l'ingegno costruttivo, lo manifesta come espressione decisa di un sapere proveniente dal sacrificio quotidiano del contadino e del pescatore. Sa costruire i trabocchi in luoghi unici, creando valore aggiunto all'autenticità del paesaggio che personalmente disegna in maniera irriproducibile con il suo lavoro.


Foto © Federico Dessardo


Il trabocco, sempre ancorato alla roccia, è un sistema complesso, ma ordinato, di pali e travi in legno, ferri e corde: è capace di gratificare l'osservatore con forti emozioni e, per questo, si conserva indelebile nell'immaginario del singolo quanto in quello collettivo. L'elemento singolo, inoltre, mai disgiunto dal suo contesto, restituisce un luogo che si ricorda, un paesaggio che si identifica con caratteri originali, definendo armoniosamente un “iconema territoriale” o di paesaggio. Chi visita la Costa dei Trabocchi, infatti, attribuisce a queste architetture leggere una serie di valori e funzioni. Da questo sistema di significati deriva il senso del luogo, cioè, quell'insieme complesso di valori, sentimenti ed emozioni che lega in modo profondo una persona al proprio intorno.


Foto © Federico Dessardo


Un luogo fisico diviene iconema territoriale quando esprime nel suo insieme caratteri di unicità irriproducibili; in altre parole, quando, nell'immaginario collettivo, un elemento antropico come il trabocco riconduce a un luogo, a un territorio, ai suoi abitanti con le loro tradizioni... alla sua storia. I trabocchi, quindi, per effetto della loro diffusione lungo il litorale teatino, proprio perché connettono terra e mare, e frangono con delicatezza la linearità della cimosa costiera, rendono riconoscibile un'importante porzione di territorio: oggi sono circa trenta i trabocchi rimasti in questo tratto di costa, anche se non mancano esempi in Molise e in Puglia. Molti sono stati restaurati e riportati alla loro bellezza originaria, alcuni di essi ospitano ristoranti particolarmente apprezzati, anche se accessibili ai più abbienti e, forse, capaci di offrire servizi poco diversificati - appunto, si sta diffondendo la logica del trabocco-ristorante produttore di economia.



Ma siamo proprio sicuri che il destino commerciale ed enogastronomico sia l'unico futuro possibile per queste strutture straordinariamente identitarie? Il rischio è che l'architettura dei trabocchi diventi ossimoro della specificità, paradossale manifestazione/traduzione di quella città teatro (G. Amendola) che maschera  contenuti vuoti di senso, dove l'atopìa si fa spazio oltre la line di soglia... lì dove la terra si spinge nel mare. Il carattere ipertestuale della Costa dei Trabocchi, sottolineato dall'interessante intervento di recupero della vecchia linea ferrata dismessa trasformata in percorso pedo-ciclabile, di contro, suggerirebbe altrettanta complessità nel riabitare queste macchine, fuori dalle logiche di mercato e dentro una prospettiva di futuro pienamente sostenibile: per il paesaggio e la cultura di un Paese che ha bisogno di tornare a guardare al mare con coscienza, creatività e intelligenza; per esempio, quella dei traboccanti, spontanei architetti inconsapevoli.


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