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Salade de mots


Una cena tra amici che non si vedono da anni, un convivio e una conversazione a due, che sfiora i grandi temi della vita

Wallace Shawn

“...E quel che è peggio è che, per una strana serie di circostanze, mi ritrovai ad accettare un invito a cena da un uomo che da anni letteralmente evitavo! André Gregory. Non ero proprio nello spirito per una cena con una persona del genere...”

Una clamorosa scoperta cinematografica fu per me "La mia cena con André" (My Dinner With André, USA, Louis Malle, 1981). Pensare di aver rischiato di non vedere questo film mi preoccupa ancora retroattivamente. Un’opera molto teatrale, un distillato di un milione di pensieri meno il caos, composto con la rara grazia intellettuale dai due protagonisti – Wallace Shawn e André Gregory, qui attori e sceneggiatori – audaci, opposti e splendidamente newyorkesi nel modo finissimo di porgere e argomentare.

Magistralmente tradotto e doppiato in italiano da Oreste Lionello, è vedibile anche

nell’edizione italiana perfino dai critici più fini. Inadatto, invece, agli amanti dell’azione, poiché si svolge essenzialmente in una stanza, offre solo emozioni sottili e ha tempi piuttosto dilatati.

Chi lo percepisce d’istinto, tuttavia, ne ricava una vera interazione personale, perché parole e visioni raggiungono direttamente quelle di chi guarda, le agganciano e continuano a lavorarle dall’interno, in silenzio, anche per anni. Un film che, se entra nell’organismo, diviene subito residente.

L’anima, il cervello e una bramborová polévka (zuppa boema)

“Se tu potessi percepire insieme tutto ciò che esiste nella tabaccheria accanto a

questo ristorante, ti scoppierebbe il cervello!”

Wallace Shawn e André Gregory, amici e colleghi commediografi nel film e nella vita, parlano, si confessano, si scontrano e si incontrano nel corso di una cena a due in un bel ristorante polacco di New York. Quasi un unico piano-sequenza, racconto ininterrotto di due vite e visioni, questa produzione del 1981 è fin da allora un cult e una pietra miliare nella storia del cinema sperimentale. Loquacissimo e inarrestabile, André racconta a Wally le sue recenti e strabilianti esperienze di fuga dal consueto e i suoi viaggi in giro per il mondo alla scoperta dei mezzi più strambi di esplorare l’inconscio, tutto ambendo alla finale e pura percezione della realtà.

Conduce un gruppo di sperimentazione teatrale in una foresta con Jerzy Grotowsky e una banda di quaranta sconosciuti; medita nel fracassante silenzio del Sahara in compagnia assente di un monaco tibetano muto; conversa con gli insetti nella comune scozzese di Findhorn, per ritornare puntualmente a New York e ritrovare il puntuale disagio che stenta comunque a comprendere.

Wally ascolta paziente l’intera solfa di André per lanciarsi in una risposta fiume che giunge già oltre la prima metà del film.

La sua visione è, invece, rigorosamente scientifica, razionale, lucido ed essenziale fondamento della sua esperienza del reale. Irritato dagli accessi mistici di André, non riesce a concepire l’idea che, per riallineare il senso occidentale della percezione, sia necessario il rifiuto della dimensione pratica e quotidiana della vita urbana contemporanea.

Perché andare sul monte Everest per riuscire a percepire un istante di realtà?

Il monte Everest è forse più “reale” di New York? Un match tra anima e cervello che si chiude forse in parità, quando, tornando a casa, Wally riguarda la sua città dal finestrino del taxi. I luoghi della sua vita, dall’infanzia fino a quel momento, ora gli sembrano nuovi, diversi.

Scienza e misticismo a tavola. “Ci aggrappiamo ai ruoli di padre, madre, marito, moglie, perché ci danno sicurezza. Ma chi è una moglie? Cosa significa? Un figlio? Tieni per mano un bambino ed è già l’uomo adulto che ti aiuta ad alzarti. E se n’è già andato, dov’è quel figlio?”

André Gregory

Wally: “Per esempio, se mi portano un biscottino della fortuna in un ristorante cinese, certo lo leggo! Se dice, per esempio ‘Una conversazione con un uomo dai capelli neri sarà molto importante per te’, istintivamente penserei a quali uomini conosco con i capelli neri e se ho avuto una conversazione con uno di loro, di cosa abbiamo parlato... In altre parole, qualcosa in me mi spinge a leggerlo e a interpretarlo come presagio del futuro ma, per la mia coscienza logica, si tratta semplicemente di un biglietto che è stato scritto nella fabbrica dei biscotti diversi anni fa e che non può in alcun modo riferirsi a me!

La persona che l’ha scritto non sa nulla di me, pertanto il biscottino non può avere alcuna relazione con me. Riceverlo e leggerlo è solo un gioco, capisci? Se io stessi per prendere un aereo e un biscottino della fortuna dicesse ‘Non andare!’, certo mi preoccuperei, naturalmente, per... un secondo. In realtà poi partirei tranquillo, perché so che quel viaggio andrebbe bene o male secondo lo stato dell’aereo e le condizioni del pilota, che il biscottino non è in alcun modo in grado di conoscere! Se tu credi ai segni e ai presagi, ciò significa che pensi che il futuro già esista e mandi indietro questi segnali a noi, nel presente. Qualcosa che io non riesco nemmeno a concepire!”

André: “Bene, allora se tutto semplicemente esiste senza un significato, qual è la differenza tra accettare la previsione del biscottino della fortuna o le statistiche della Fondazione Ford?

Il punto è, Wally, che credo che sia proprio questa adorazione smisurata per la scienza ad averci portato a un tale disorientamento della coscienza. La scienza è stata a lungo presentata né più né meno come la nuova forza magica in grado di risolvere qualsiasi cosa, ma ha in realtà un’enorme forza distruttiva. Proprio questo ha portato a questa fortissima reazione contro la scienza che vediamo sempre più diffusa.

Come i demoni del nazismo si manifestarono nella Germania degli anni Trenta per reazione a una visione troppo oppressiva ed esageratamente razionale. Perciò io ritengo che il misticismo sia qualcosa di potenzialmente molto pericoloso, ma che la scienza moderna non lo sia necessariamente di meno.”

Articolo pubblicato su ArtApp 12 | IL CONVIVIO

 

Chi è | Franca Pauli

Editor e traduttrice italiana che vive e lavora in Inghilterra. Dai tardi anni 90 cura anche progetti di identità aziendale, comunicazione e arte sociale con il leitmotiv di creare comunicazione e sostenerla nel modo più demograficamente trasversali possibile. A Margate, nel Kent, ha aperto il “101 Social Club”, formula mista di studio personale, bistrot e centro sociale.

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© Edizioni Archos

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