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Come piccioni

Come piccioni che si tuffano sui chicchi di granturco gettati in una piazza. Sono tutti ammucchiati lì, con qualsiasi cosa possa contenere un po' di cibo, pentole, padelle. Sono affamati, gridano


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Foto © Abed Rahim Khatib/Flash 90


Da dove sono appostati, anche se da lontano, i soldati riescono a vedergli gli occhi, così spalancati che sembrano uscire dalle orbite, ci sono pure vecchi, donne, tutti si spingono, si urtano, cercano di farsi largo. Così ammassati basta puntare al mucchio e si è certi di non poter sbagliare. O forse qualche soldato mira proprio centrando quel volto di bambino, o di vecchio. E magari sussulta di piacere, oppure vomita per il disgusto di averlo fatto.


Questo orrore così evidente e mostruoso è quello che si può percepire, in parte, a distanza, dai servizi dei reporter che intanto crepano per potercelo documentare, è un orrore incommensurabile che si tenta di far scivolar via nelle affermazioni di condanna, negli appelli perché cessi, nelle firme per denunciarne la violenza, nelle ipocrite, deboli, prese di posizione dei governi europei, compreso quello italiano che non è capace neppure di far cessare l’invio di armi ad Israele, di fatto tutti complici del massacro. 


Ogni giorno, a sentire quel che accade, mi prende uno sgomento che mi lascia annichilito, mi assale una stanchezza infinita, che non è dettata dall’impotenza. È che non riesco a non pensare di appartenere allo stesso genere umano, alla stessa specie che permette l’esistenza di questi giovani soldati capaci di tanto misfatto, mi assale una paura esistenziale senza remissioni e senza difese.


Perché so, sento, patisco anche io la possibilità di essere o divenire come uno di quei soldati, basta che cambino le circostanze, basta che una nuova guerra mi costringa ad imbracciare armi che, in pace, detesto, ma che intuisco cosa mi farebbero diventare nella foga di uno scontro armato. Il quinto comandamento perde quella pleonastica negazione iniziale, il “non” scompare e rimane solo il nudo obbligo di “uccidere”.


La guerra pone le condizioni per forme di assassinio sempre più efferate, e a poco serve, per cercarne una ragione, accumulare quell’insieme di paura, adrenalina, droghe, lavaggi del cervello, fede religiosa, vendetta, le componenti che un soldato si porta addosso e che crede di poter scaricare uccidendo e spargendo dolore.


Mi sento trascinato nella loro deriva di morte, come venissi costretto a incarnarne la violenza, a com-patirne le azioni, non riesco a staccarmene, arrivando a sentire la terribile fratellanza che ci lega come una inveterata malattia da sempre presente in questa nostra specie.

Forse il nudo potere è la chiave.

La stessa forma di potere esercitata da Hamas in quello sciagurato 7 ottobre di due anni fa. 


Il potere di disporre dei corpi delle vittime, di farne scempio, come fossero cose, oggetti. Quei soldati che sparano nel mucchio mettono in atto un potere concreto, materico, tattile, mentre la banda criminale di Netanyahu e dei suoi ministri quel potere lo godono su larga scala, sulle cifre, sull’estensione della conquista, sui numeri dell’annientamento, perché ancor prima che i territori il potere vuol conquistare e annientare quei corpi.


Quei soldati si ricorderanno dopo, nella vita che li attende, di quelle immagini mentre sparavano per uccidere innocenti? No, forse riusciranno a cancellare tutto, a farsene una ragione, a tornare anni dopo su quei luoghi in gita turistica.

Anche questo è terribilmente umano.

 


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