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Il custode sincero

Silenzio e scrittura nella narrativa di Stefano Corbetta



Quante forme può avere il silenzio? Tutte quelle che riesce a custodire. Condizione ideale per scrivere, il silenzio diventa tema centrale nella scrittura sincera di Stefano Corbetta, e la sua forma si fa dimora e romanzo.


Sandra Maria Dami: Arredatore d’interni, batterista jazz, autore. Spazio, musica, scrittura, luoghi indiscussi della creatività. In quale abiti più volentieri, e perché?

Stefano Corbetta: Tutto è iniziato con la musica. Suonare jazz mi ha educato a costruire in modo induttivo e questo approccio si è poi riflesso nella scrittura. Per me improvvisare ha sempre significato “vedere” una storia e immaginarla dentro un respiro piccolissimo che si allargava poi durante l’esecuzione. Ho lasciato la musica per poter entrare in questo meccanismo di istantaneità in cui fosse la parola ad avere il potere di indagare e non più le note. Oggi, a distanza di dieci anni da quell’abbandono, abito la scrittura con lo stesso bisogno di capire il senso di un frammento nel tutto. Da lì in poi inizio ad abitare il silenzio.


Lo scrittore francese Henri Bosco afferma che nulla suggerisce, come il silenzio, il sentimento degli spazi illimitati. Può la scrittura contenere questo sentimento?

La scrittura ha il potere di indagare gli spazi come fosse una grande lente d’ingrandimento che riesce a trovare il senso di tutto ciò che nasce e muore. Pensa a Calvino e al suo Palomar, al suo osservare le stelle o un seno nudo che suscita in lui “benevolenza e gratitudine per il tutto, per il sole e il cielo, per i pini ricurvi e la duna e l’arena e gli scogli e le nuvole e le alghe, per il cosmo che ruota intorno a quelle cuspidi aureolate”. Tutto ciò che Palomar vede e pensa, ogni suo movimento, ogni sua scelta, avviene senza interazione, non ci sono dialoghi, solo silenzio. Palomar è un grande occhio che guarda in silenzio.


Ricerca e immedesimazione sembrano presupposti necessari per nutrire le tue storie. Prima di ogni narrazione osservi il mondo che vuoi scrivere. Per Sonno bianco sei stato al Nucleo di Accoglienza per Persone in Stato Vegetativo dell’Istituto Palazzolo di Milano, mentre per La Forma del Silenzio ti sei avvolto di quello complice dei sordi per non trascurare nessuna percezione di Leo/Michele. Pura aderenza alla realtà, timore di tradire ciò che non conosciamo o la scrittura è esigente e non basta a se stessa?

Ricerca, innanzitutto, acquisizione di conoscenza per permettere che arrivi la storia. Per me non si è mai trattato di raccontare la storia che avevo in mente, quello è venuto dopo. Entrare in un determinato mondo, iniziare a conoscerlo attraverso lo studio o gli incontri con luoghi e persone, mi è sempre servito per accumulare informazioni, stratificare dati, lasciarmi condurre in una dimensione che a volte mi ha messo a dura prova (penso alla prima volta in cui la dottoressa De Valle mi ha portato davanti a una donna in stato vegetativo e mi ha chiesto di toccarle la mano: ho dovuto uscire dalla stanza per non perdere i sensi) ma che alla fine ha suggerito la trama attraverso sporgenze che io dovevo soltanto collegare con i movimenti dei personaggi nella successione delle scene. Il risultato credo sia sempre stato conforme ai criteri che mi sono dato quando ho incominciato a scrivere storie in cui potesse essere riconosciuta aderenza alla realtà, questo sì, ma anche la possibilità di mostrare un mondo nascosto in cui il silenzio ne fosse il custode.


La tua scrittura, a volte, sembra avere il passo di una sceneggiatura. Hai mai pensato di prestare le tue storie al cinema?

Diciamo che riconosco nella mia scrittura un incedere in cui la parte visuale è effettivamente una componente importante. Credo che questo dipenda dal modo in cui scrivo, sostanzialmente una trasposizione sulla pagina della successione di scene che la mia immaginazione produce in modo abbastanza lineare. È quello il momento in cui decido di iniziare a scrivere, cioè quando intuisco di trovarmi di fronte a quella sorta di sceneggiatura di cui mi hai chiesto. Per La Forma del Silenzio c’è stato un interessamento da parte di un noto regista, ma non so se questa storia diventerà mai un film. Prestare una mia storia al cinema? Dipendesse da me, certo, lo farei con grande entusiasmo. Spero possa accadere, ogni storia ha un suo destino.


Così quel lungo silenzio era diventato il rifugio di tutti loro, l’unico modo per sopravvivere al tempo dell’assenza, uno dei punti più incisivi di Sonno bianco. Può un silenzio essere soltanto buono?

Niente è buono in sé, nemmeno la parola, dipende dall’uso che si decide di farne. Ricordo un bellissimo romanzo di Chaim Potok, Danny l’eletto. Il padre di Danny, importante studioso del Talmud, educa il figlio attraverso il silenzio, svelando soltanto alla fine del romanzo le ragioni di questa scelta. Il silenzio è un’amplificazione di sé, oppure il suo contrario, l’annullamento.


Se è vero che la scrittura abita il silenzio e lo sostiene, nel tuo ultimo romanzo La Forma del Silenzio accade fin dal bellissimo titolo e dalla suggestiva copertina di Vincent Xeus. Il silenzio è il protagonista assoluto, come custode sincero della vita di ognuno, ma anche come Lingua dei Segni, necessaria a Leo per esprimersi e alla sorella Anna per sentirlo vivo. Tutto nelle sue forme si sospende, fino al punto di mettere in ombra la vita dei protagonisti. È così?

È così, il silenzio rinchiude Leo in un non-luogo in cui Anna deve inventare un lessico familiare per poter restare in contatto con lui. Dopo la scomparsa del fratello, la sua vita rimane sospesa in un limbo in cui il senso di colpa le impedisce di elaborare l’assenza, senza poter mai dimenticare il piccolo Leo mentre plasma il silenzio con il movimento delle sue mani. Ombra e luce in queste due vite, inscindibili e così lontane. Lo ha detto Camus meglio di tutti: “Non v’è luce senz’ombra, ed è essenziale conoscere la notte”.


In Diario ultimo Lalla Romano, una delle scrittrici più eclettiche del Novecento, afferma Di cosa vive il silenzio? Di se stesso… La tua risposta?

Siamo noi a vivere del silenzio, da lui veniamo e in lui finiamo.


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© Edizioni Archos

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