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Il Grande Cretto di Alberto Burri a Gibellina vecchia

Una lettura critica sull'opera di Alberto Burri, realizzata a Gibellina, che è sia scultura, dal forte carattere pittorico, che architettura e urbanistica


Grande Cretto, Alberto Burri,1985-2017, particolari di ruderi e cemento | Gibellina vecchia (TP)

Photos © Carmelo Galati Tardanico

In occasione del cinquantesimo anno del terremoto della Valle del Belìce si ritiene particolarmente pregnante scrivere intorno all’opera maggiormente emblematica e complessa che è quella del Grande Cretto di Alberto Burri (1915-1995), nativo di Città di Castello a Perugia. Egli riceve l’invito da parte del sindaco Ludovico Corrao a creare un’opera per la rifondazione della città di Gibellina Nuova, mosso dalla tesi secondo la quale l’arte sia fondamentale. Nel 1981 l’artista si reca insieme all’architetto Alberto Zanmatti nella cittadina, rendendosi immediatamente conto che non è là che la vuole realizzare. In seguito fa un sopralluogo presso Gibellina vecchia e successivamente insieme al sindaco Ludovico Corrao osserva e fotografa il celebre tempio di Segesta, rimanendone parzialmente influenzato. Concepisce la sua opera per la tragica sorte toccata a Gibellina vecchia e ai suoi abitanti, ispirandosi, come dichiara lo stesso artista, a "forma e spazio". L'opera è l’espressione più alta e lirica delle sue plurime ricerche con richiami iconografici e dai valori profondi come la serie dei Sacchi che si considera probabilmente essere la sua prima fase dolorosa.


Vi sono altresì riferimenti iconografici alla serie dei Gobbi, a partire dalla quale egli indaga il passaggio dallo spazio bidimensionale a quello tridimensionale. Prosegue ancora verso quella dei Cretti degli anni '70 fino a quella scultorea e architettonica. In breve questi sono i caratteri precipui della sua poetica e della sua opera di Total Art che lo lega internazionalmente al vecchio sito della cittadina siciliana e che è considerabile, a nostro parere, come la sua seconda fase dolorosa. Si vuol pertanto avanzare una probabilistica posizione a partire dalla famosa conferenza di Martin Heidegger, intitolata: "costruire abitare pensare" edita nel 1954. Egli pone l’attenzione sui primi due verbi, sottolineando il fatto che la parola bauen, ovvero costruire, si riferisca originariamente a buan, ossia abitare. Allorquando si costruisce si pensa al problema del termine successivo, poiché esso è intrinsecamente connesso. Memorabile è l’esempio del ponte che è sì una costruzione ma non è un alloggio né una casa. Vi sono numerosi esempi in tal senso. Eppur vero che essi concernono sempre la questione umana dell’"abitare", giacché l’uomo vive sulla terra. A tal proposito, il significato più legittimo dei primi due verbi si rifà anche al termine tedesco, bin, cioè “io sono”.


Si comprende quindi la correlazione tra il costruire, l’abitare e l’essere. L’essere umano quindi, è, abita e costruisce. Quest’attività richiede sempre l’uso del pensare. Inoltre, per una costruzione ci si relaziona con i luoghi dell’uomo che sono essi stessi un segno fondamentale della sua presenza. L’opera profondamente angosciante di Alberto Burri, ovvero il Grande Cretto, può essere probabilmente letta in questa maniera, dal momento che essa è sia scultura, dal forte carattere pittorico, che architettura ed urbanistica inserite nel paesaggio. L’artista sembra quasi declinare queste parole poiché la costruisce in un luogo, nella cui edificazione si inserisce forse la complessa concezione dell’abitare e quindi del pensare. Pare proprio plausibile avanzare l’ipotesi che possa essere ad un tempo bauen (costruire), buan (abitare) e bin (pensare) ed ovviamente arte, ovvero scultura, volumi, corpi e spazio. Quest’ultimo, come dichiara Martin Heidegger, "fa spazio (sfoltisce), libera ciò-che-è libero per contrade e luoghi e sentieri", ovvero per i cretti-percorsi dell’immenso e monumentale Grande Cretto. È di fama internazionale sia per l’innegabile specificità che per la sua imponenza segnica nel territorio. Si inserisce all’interno della Land Art, distinguendosi tuttavia per la sua singolarità.


Attualmente, il Grande Cretto si articola in 184 blocchi, alti 1,60 mt. circa e larghi circa 2-3 mt. e interviene modificando lo stesso paesaggio con una notevole forza critica, come sottolinea Laura Vinca Masini. Ma oltre ad essere un segno è anche un simbolo, poiché è un sudario commemorativo che rievoca la storia, la tragedia, il silenzio e l'”angoscia” di memoria heideggeriana. È fondamentale, a nostro avviso, rileggere l’intera opera burriana, secondo il pensiero dell’eminente storico dell’arte Alois Riegl, il quale valorizza il Kunstwollen, inteso come "volontà" o "intenzione d’arte" lumeggiando in particolar modo il valore. Egli lo differenzia in monumento, in arte, in memoria od in commemorazione, in storico, all’interno della storia dell’arte, in attualità, in antichità, in novità, in valore d’uso o funzionale. Si può quindi sostenere con certezza che quest’opera, che è a nostro parere il suo più grande capolavoro, possa rientrare in questa concezione. Infatti, vi sono molti valori, come quelli indicati, che vi si ritrovano, ad esclusione di quello di antichità. Lo stesso Alois Riegl in "Il culto dei monumenti" distingue il monumento voluto, da parte dell’artista e dall’aspetto commemorativo, da quello non voluto.


Il Grande Cretto di Alberto Burri è quindi un monumento voluto dalla valenza testimoniale e conseguentemente gli interventi di restauro conservativo ed integrativo sono condivisi. Riemerge anzi il dialogo con l’assoluto, con una tragedia mai conclusasi, con il paesaggio circostante e con il cielo che lo sovrasta, in un perenne confronto solipsistico, ma commovente ed eterno, tra l’opera d’arte ed il fruitore di essa. Essa stravolge tutto, risultando come una vera presenza segnica ma, come rammentano Marcello Fabbri ed Antonella Greco, trionfale "sulla morte". Egli la ricorda, la celebra, ma sa vincerla consegnandola alla storia per via anche della scelta coloristica che affiora con la sua "prepotenza" grazie agli attuali interventi di restauro. Alberto Burri sceglie in questo in caso il bianco che è un colore acromatico che diventa materia, corpo, volumi, arte, scultura, ecc. ovvero "Essere", nella visione heideggeriana. Per tutto questo e non solo, l’artista innova l’arte contemporanea.


© Edizioni Archos

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