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L'uomo, la vita, la poesia

Il Piccolo Museo della Poesia a Piacenza, istituzione unica nel suo genere, rischia di chiudere per mancanza di mezzi. A questo, noi non possiamo restare indifferenti


Piccolo Museo della Poesia, ex Chiesa di San Cristoforo, centro storico di Piacenza


L’indifferenza e la fretta sono grandi malattie del nostro tempo. Hanno, in comune, il più totale disinteresse per il percorso, come se si muovessero nel nulla, in un’entità, tra la partenza e l’arrivo, funzionale dell’obiettivo. Certo, bisogna riconoscere all’agire la necessità di puntare efficacemente a una finalità, di farlo con il minore sforzo e nel tempo più breve possibile, come dettano gli istinti fondamentali della sopravvivenza e della riproduzione. Il che non impedisce di domandarsi quali sono gli effetti di una pratica che esaurisce la ragione in se stessa, se è possibile, ad esempio, ovviare al dettaglio che in un simile contesto, il tempo e lo spazio, diventano entità evanescenti subalterne ad un esito che si legittima da solo, che comunque lascia senza risposte domande fondamentali della vita, sul come è potuto accadere e perché.


Di fatto, il metodo cancella la storia e non solo nella sua versione lineare del succedersi di eventi e date, ma in quanto espressione del complesso sistema dell’accadere, del senso del vivere, delle modalità e delle qualità che costituiscono le civiltà nelle diverse forme e di ciò che le nega. Sembra quasi che a decidere sia l’onnipotenza, una specie di partenogenesi delle qualità necessarie per realizzare qualsiasi progetto. Orbene, la storia dice che non è così che i suoi cammini ben tracciati sono veri e propri riferimenti orientativi che non si esauriscono nel genere degli eventi, ma si connettono al come e al perché, alla lingua, per esempio, agli usi e credenze, alle tecniche costruttive per ripararsi dalle inclemenze climatiche e temporali, per attraversare un fiume senza bagnarsi i piedi o superare ostacoli uscendone indenni.


Rarissima copia del primo numero della Rivista storica Poesia, fondata da Marinetti nel 1905


La storia dice come l’uomo si è confrontato con la fame, perché e come si è organizzato in comunità che consegna alle generazioni a venire, con quale modalità lo ha fatto, come ha organizzato la comunicazione e con quali fini, in quale contesto si è prodotta la qualità ambientale del suo vivere fra cui l’eleganza, il modo di mangiare, se con le posate o con le mani, seduto su una sedia comoda o su una pietra, al riparo o alle intemperie; come ha affrontato i problemi della salute e soprattutto in quali condizioni ha creduto necessario farlo, quali sensibilità e conoscenze sono alla base delle norme, del concepimento del diritto, della salute come bene e addirittura diritto, al pari dell’apprendimento, della scuola, del tempo libero, della dignità, del diritto alla vita. In un meccanismo valutativo funzionale all’obbiettivo, tutto ciò diventa coreografia, scenario o addirittura non senso.


Sicuramente mette in crisi tutto ciò che costituisce l’ambiente culturale delle comunità urbane e rurali, il complesso sistema di conoscenze, abilità, sensibilità, convenzioni e simbologie sedimentatosi nel corso di secoli, millenni. Le città storiche con tutte le qualità – tradizione cumulativa, la chiama l’antropologo Konrad Lorenz - che le caratterizzano e le definiscono, diventano come il contenuto di un film cui si assiste passivamente per godere in modo effimero della loro affascinante esistenza, come accade con Venezia, Mantova o Roma dove pure esiste un’attualità fatta di cittadini, di convivenza. In un paese come l’Italia dove il fattore storico è determinante, il prezzo è la perdita di un ambiente culturale attivo, fondamentale per quella qualità della vita che si trasmette al suo sistema produttivo e permette al paese di godere di un ampio credito mondiale, nonché di disporre di un sistema di convivenza.


Antologie storiche del Novecento italiano, tutte prime edizioni


Tra le grandi vittime della società performante bisogna purtroppo annoverare la città storica, sedimento fertile di civiltà e la poesia, le arti, viaggi nell’insondabile, percorsi orientativi e di convivenza. La poesia porta nell’oltre, rimuove l’ostacolo, è capace di andare aldilà del limite, dell’impedimento. I fondamenti della società umana sono la ricerca della verità delle cose e il ricorso alla finzione in quanto possibilità altra, potenzialità da esplorare. Sono questi i motivi per i quali aderisco con forza all’appello, purtroppo sempre più frequente, di un’istituzione culturale, il Piccolo Museo della Poesia di Piacenza, che vive il rischio di chiudere i battenti per mancanza di mezzi. L’istituzione è unica nel suo genere, è un’oasi in cui si ritrovano la poesia, le arti e le anime che in esse trovano suggerimenti, indicazioni.


Nella ex Chiesa di san Cristoforo, un gruppo di persone di buona volontà che fanno riferimento al direttore Massimo Silvotti, realizzano mostre, presentazioni di libri, incontri, ma soprattutto trasmettono esperienze alla città di cui sono nucleo referenziale, proposta di convivenza e di pace, il che non è poco nei nostri tempi confusi e agitati. Come è possibile sostenere, diceva il poeta cubano José Martí, “...La poesía unisce o disgrega,…dà o toglie agli uomini la fede e il respiro, è più necessaria…dell’industria stessa, giacché questa fornisce il modo di sopravvivere, mentre l’altra gli dà il desiderio e la forza della vita.” Come avremmo potuto conoscere i sogni del nostro profondo senza sederci dietro la siepe leopardiana che apre e chiude all’infinito, entrare nei meandri dell’anima e delle nostre paure senza la poesia di Shakespeare? Come avremmo potuto avere un’idea del divino senza la Cappella Sistina?


Si usa dire che la poesia porti nel mondo fantastico dei sogni, io credo che la poesia e l’arte portino piuttosto nel mondo fantastico della vita. Come si potrebbe vivere in un mondo così grande, così complesso e problematico senza disporre della sensibilità necessaria per percepirlo?

Auguro perciò al Piccolo Museo della Poesia di Piacenza lunga vita.


© Edizioni Archos

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