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The Devil’s gold

L’oro del diavolo, come da sempre viene chiamato lo zolfo, viene estratto a mano da uomini che si calano a novecento metri, nella pancia del vulcano Ijen Kawah a Giava


Photo © Luca Catalano Gonzaga


È dentro il ventre del vulcano Ijen Kawah, nella parte orientale di Giava, in Indonesia che i minatori si calano alla ricerca dell’oro del diavolo, come da sempre viene chiamato lo zolfo. 300 uomini che ogni giorno, dal campo base che si trova alle pendici della montagna, raggiungono a piedi la sommità del vulcano. Si inerpicano per tre chilometri per poi iniziare la discesa nel bordo del cratere dove si trovano i cristalli di zolfo. Novecento metri in discesa verso l’inferno, sfidando il calore insopportabile, la scarsa areazione e il buio, senza alcuna protezione.


Photo © Luca Catalano Gonzaga


Il gas sulfureo afferra la gola, brucia i polmoni, fa lacrimare gli occhi. Pochi hanno in dotazione vecchie maschere antigas: molti preferiscono lavorare di notte perché il caldo è più tollerabile, sulla bocca uno straccio bagnato nell’illusione di proteggersi dal fumo e respirare meglio. Un lavoro durissimo che finirà presto; qui la speranza di vita non supera i 50 anni. Le lastre di zolfo vengono rotte con l’aiuto di aste di metallo e poi caricate in cesti di vimini che in genere pesano 70-90 chili.


Photo © Luca Catalano Gonzaga


Inizia così il viaggio a ritroso del raccoglitore di zolfo del XXI secolo che arranca sotto il peso, in equilibrio precario, verso la bocca del vulcano, un peso devastante che modifica la spina dorsale, piega le gambe, crea ulcere sulle spalle. Qui consegnerà le lastre per la purificazione processo che avviene di notte e dura 14 ore. Tutto ciò per € 5 al giorno, 10 se è in grado di ripercorrere il tragitto due volte.


Photo © Luca Catalano Gonzaga

© Edizioni Archos

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