Davide Sapienza, scrittore, “geopoeta”, giornalista e profondo conoscitore delle aree di wilderness locali ed europee (Scozia e Norvegia) analizza il rapporto tra Uomo e Natura
Davide Sapienza | Foto © Claudio Carminati
Il grande scrittore Goethe sosteneva uno stretto legame tra Natura e Spirito. La prima poteva essere conosciuta solo attraverso lo spirito che vive nell’uomo. Rudolf Steiner, suo grande ammiratore, riprendendo questi concetti giunse a dire che «l’osservazione goethiana della Natura conduce la scienza naturale verso la scienza spirituale». I tempi sono cambiati; teosofia e antroposofia sono lette e studiate da una nicchia di persone e, grazie anche al progressivo materialismo della società presente, la Natura viene indagata con il cosiddetto “metodo scientifico”, e trasformata, troppo spesso, in base a logiche di profitto. Helena Norberg-Hodge, svedese, pioniera del movimento a favore dell’economia locale, autrice di “Ancient Futures”, best seller internazionale, intervistata da E. Ambrosi per il Fatto Quotidiano dice: «Abbiamo perso di vista la possibilità di sviluppare tecnologie che operino entro strutture che siano su scala umana, tecnologie che servano e vadano realmente a vantaggio degli esseri umani, senza distruggere l’ambiente.
[...] In Italia, molto lentamente sta crescendo una maggior consapevolezza verso la protezione dell’ambiente, dopo la quasi scomparsa del movimento politico dei Verdi. Una consapevolezza stimolata anche dalla scrittura di alcuni autori che hanno posto la Natura al centro delle loro opere. La Natura non è più vista come un mondo favolistico slegato dalla vita quotidiana, ma nemmeno come una nemica da assoggettare. Davide Sapienza è uno di questi autori che da anni si batte per proporre un modello di rispetto e convivenza con il mondo naturale. Scrittore e poeta, anzi “geopoeta” come si definisce, collaboratore di quotidiani nazionali, già nel 2012 scriveva: «con questo approccio incitiamo a superare la vecchia separazione ideologica tra la Natura madre e l’Uomo, figlio della Natura. In varie fasi storico-culturali e in particolare in seguito al dualismo cartesiano, la sacralità e la dimensione intima di questo rapporto si sono infrante; il razionalismo della società industriale ha condizionato il punto di vista di tanta narrativa. [...] Profondo conoscitore delle aree di wilderness locali, ma anche europee (Scozia e Norvegia), ci è sembrato la persone più adatta per discutere oggi il rapporto tra Uomo e Natura.
"Goethe in der römischen Campagna" di Heinrich Wilhelm Tischbein | State Museum for Art and Cultural History, Oldenburg, Germania
Alberto Mazzocchi: L’addomesticamento della Natura ha portato aspetti positivi e negativi: come vedi gli anni attuali?
Davide Sapienza: L’addomesticamento della natura è in realtà una grande illusione. Noi ne facciamo parte (la nostra presenza biologica è inferiore allo 0.1%), ma continuiamo a ragionare su tempi, spazi o eventi tarati sull’esistenza della specie umana: è giusto, ovviamente, ma è anche facilmente fuorviante inebriarsi della nostra centralità in tutto questo straordinario meccanismo che chiamiamo Vita. Nonostante i 70.000 anni di storia di homo sapiens, così definito dal fatto che fu la rivoluzione cognitiva a metterlo sulla strada del cammino, negli ultimi secoli le scelte di semplificazione e predazione irresponsabile delle risorse hanno dato caratteri pericolosi al percorso. Prima abbiamo pensato di poter fare a meno, o considerare folkloristica, la sacralità attribuita a tutti gli elementi del Pianeta – come invece accadeva nelle società politeiste e indigene – semplificando (con il monoteismo, che va a riflettersi su tutte le nostre scelte, le nostre visioni, le nostre impostazioni sociali, anche quelle teoricamente laiche). È stato utile per ricondurre le nostre azioni a codici ben riconoscibili, ma ha dato il potere a poche persone. Oltre al “genocidio” di biodiversità, ne abbiamo compiuto un altro tagliando fuori dettagli, sfumature, colori intermedi, interconnessioni.
[...] Sarebbe tempo di ascoltare i rappresentanti della comunità scientifica e culturale, filosofi, scrittori, artisti e movimenti, ispirati alla saggezza della natura come fece Thoreau, primo occidentale a farci capire che la più grande conquista tecnologica è quella spirituale e che nella rinuncia al consumo c’è il plus valore. Ora noi dobbiamo scegliere. Sappiamo di avere mezzi meccanici che possono stravolgere ettari di territorio in pochi giorni? Bene, dobbiamo scegliere di non farlo. [...] Noi oggi crediamo di essere illuminati, invece dobbiamo imparare nuovamente ad accendere un fuoco per vedere bene che il processo naturale capace di darci un dono simile, non è nostro ma ne facciamo parte. L’unione di tante intelligenze ha portato a cose come Internet, ma prima di usarlo, avremmo dovuto trovare il modo di sperimentarlo per molti anni. Come per ogni innovazione epocale, abbiamo la tendenza a “buttarla sul mercato e vedere come va” (facendo intanto profitti da capogiro), per poi dimostrarci incapaci di tornare indietro. [...]
A.M.: Tecnologia e Natura sono realmente incompatibili?
D.S.: Credo davvero che sia più una questione di scelte globali: quando comprenderemo che non esistono le razze ma solo la specie umana e che condividiamo, nelle nostre bellissime diversità (che dobbiamo evitare di cancellare), un solo destino collettivo, allora saremo veramente evoluti. Ci sono tecnologie utili: si dice che la tecnologia giusta sia quella che migliora la nostra vita: dobbiamo imparare che per “nostra vita” si intende quella della Comunità della Terra. Una tecnologia, per me, è davvero compatibile, se tiene conto di tutti gli effetti la cui portata va ben oltre la nostra comodità. Come ho già detto, la tecnologia dovrebbe aiutarci a ridurre, non aumentare, la produzione materiale, lo sfruttamento delle risorse, per rendere migliore il nostro tempo umano, che è un battito di ciglia.
A.M.: Quanto è stato importante il pensiero ecologista in Italia, ammesso che sia stato importante?
D.S.: Siamo un paese con un tasso di rispetto per l’ambiente vicino allo zero: basta vedere le varie classi politiche espresse nel dopoguerra: l’ambiente, la natura, non sono neanche citati nella Costituzione e il lavoro che ho fatto sui Diritti della Natura, voleva toccare anche questo aspetto, sul quale stanno lavorando alcuni accademici, ma che non sembra entrare nel discorso pubblico come dovrebbe. Per questo in Italia è stato un pensiero coraggioso, da Italia Nostra, la prima associazione, nata anni prima perfino di Greenpeace, ai tanti movimenti locali, il pensiero ecologista è fondamentale e deve però stare attento a non ragionare ideologicamente come i partiti, ad adattarsi ai compromessi richiesti da quella dialettica. La situazione ambientale, soprattutto in regioni come la Lombardia, tra le più inquinate al mondo, richiede molta azione e poco compromesso. Se qualcosa è migliorato è stato grazie a lotte importanti sostenute dai movimenti ambientalisti: certo i partiti come i Verdi hanno fallito e sono i movimenti ad avere avuto più effetto capillare tra la gente, ma solo per via parlamentare si possono fare delle leggi, ma anche cambiare i paradigmi del pensiero ecologista, riconoscendo ad esempio a tutti gli elementi sulla Terra lo status giuridico di “persona” e non di “oggetto”. Si, un albero per me è una persona. Un fiume, è una persona. Un cane, un orso, un tasso, un camoscio, per me sono persone. E come tali devono godere di diritti, perché noi siamo la specie che, con violenza sanguinaria, si è posta in cima alla catena alimentare e di questo deve risponderne, con responsabilità. Perché questo manca: il senso di responsabilità. [...]
Una faggeta italiana
A.M.: Fenomeni cooperativi in Natura? Perché se ne parla poco e si insiste solo sulla selezione del più forte = vincente?
D.S.: Noi esseri umani e le piante: due grandi esempi. Negli ultimi dieci anni, anche grazie ad autori come Tiziano Fratus da una parte e scienziati come Stefano Mancuso dall’altra, il mondo vegetale ha assunto un ruolo centrale nella narrazione della natura. Inoltre, i fenomeni cooperativi non escludono la selezione e stiamo attenti, “survival of the fittest”, non significa del più forte o vincente, ma del più adatto. Il che si traduce in termini quotidiani nelle dinamiche all’interno di un posto di lavoro, piuttosto che di un bosco: in una faggeta, non c’è posto per altre essenze, non perché il faggio sia “più forte”, ma perché “più adatto” a quel terreno per garantire l’interscambio biologico necessario alla sua sopravvivenza. Tutto tende alla vita: nessuna specie animale, tranne noi, crea allevamenti intensivi o va a modificare gli ambienti. Io preferirei avere orsi e lupi nelle nostre foreste, piuttosto che i cacciatori: la selezione sarebbe realmente naturale e non è dato che la presenza dei grandi predatori porti all’estinzione di altre specie. Solo homo sapiens ha massacrato migliaia di specie, facendole scomparire dalla faccia della Terra. [...]
A.M.: Che cosa è cambiato dal 2010 nel percorso di scrittura della Natura?
D.S.: Se devo dire, in breve, cosa è cambiato, si è andato certamente a formare un quadro più completo, che mi ha spesso aiutato a smascherare i miei limiti, modificare idee e visioni, uscire da schematismi potenzialmente nocivi a me e dunque, indirettamente, a chi mi legge o mi segue. Direi, per rifarmi all’immenso e inarrivabile genio di Alexander Von Humboldt, che i “Quadri della natura” (libro fondamentale e finalmente ristampato a fine ottobre del 2018) sono concentrici e fatti di talmente tante connessioni da aiutarmi, fisicamente e spiritualmente, ad avere molta fiducia nella potenza della Terra e del Cosmo e a sentirmi bene – come già scrissi molti anni fa in un mio libro – proprio perché sono così infinitesimamente piccolo da poter tendere a questo grande enigma e mistero che ci regala, ogni giorno, meraviglie. E la meraviglia, non si addomestica, proprio come la natura: è il nutrimento dell’immaginazione, la tecnologia insostituibile di ogni essere umano.
Estratto dall'articolo pubblicato su ArtApp 21| LA TECNICA
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