Super vernacular
- Claudia Orsetti
- 1 giorno fa
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Alcuni esempi di tecniche vernacolari impiegate in modo sapiente per generare infrastrutture sostenibili e resilienti, così da poter dare una risposta pratica, economica ed ecologica ai problemi climatici del territorio

Badgir (torri del vento) Yazd, Iran | Foto © Claudia Orsetti
Esiste una foto che mostra un angolo di superficie lunare e la Terra emergere come un’incredibile macchia blu dall’oscurità dello spazio. Si intitola Earthrise ed è stata scattata nel 1968, dall’astronauta William Anders che 50 anni dopo dichiarò "Siamo partiti per esplorare la luna e invece abbiamo scoperto la Terra". Quella visione in cui l'umanità appariva tutta insieme, unita su una sfera gloriosa ma fragile, divenne un potente messaggio veicolato da quella che era in effetti una delle prime immagini del pianeta terra diffuse al grande pubblico. Earthrise è considerata una delle foto più influenti di sempre, perché quella nuova prospettiva aveva diffuso un’idea di finitezza e un senso di appartenenza e unità a un pianeta che andava condiviso.
Invece di alimentare l’euforia per l’espansione illimitata, Earthrise produsse un cambiamento nell’ottica di molti, facendo della Terra il soggetto di una nuova coscienza e responsabilità ecologica, antropologica e sociale. Non a caso, fu scelta da Stewart Brand come copertina del Whole Earth Catalog, iconica rivista di counterculture americana che conteneva saggi e recensioni di prodotti legati ai temi dell'ecologia, dell'educazione alternativa, dell'olismo e dell’autocostruzione. Questo rovesciamento di prospettiva che portava un “ritorno alla terra” è il cambio di paradigma, necessario oggi, per sfatare il mito della tecnologia e l’idea di progresso come qualcosa che debba necessariamente basarsi su processi estrattivi, in senso ampio. Il design è da sempre un catalizzatore e un facilitatore di nuove visioni, e in quanto tale è oggi uno strumento importante per promuovere un cambiamento di valori e sistemi capaci di ridefinire un nuovo rapporto tra uomo e natura.

Interno del badgir dei giardini persiani di Bagh - e Dolat Abad a Yzad, Iran | Foto © Carsten ten Brink
Mentre per secoli, le società “moderne” hanno cercato di conquistare la natura in nome del progresso, le culture locali da sempre collaborano con essa, grazie all’utilizzo di materiali e tecnologie “indigene”, sostenibili, adattabili e resilienti. Promuovere una “rivoluzione ecologica”, significa adottare una mentalità e dei valori diversi, riconsiderando tradizioni, pratiche vernacolari e conoscenze locali all’incrocio tra antropologia, ecologia e innovazione, per generare risposte efficaci alle sfide contemporanee, come la scarsità d’acqua, l’aumento delle temperature o la decrescente biodiversità.
In contrasto con l’economia estrattiva “take-make-waste”, queste tecniche vernacolari sono radicate in sistemi e culture rigenerativi, che vivono in simbiosi con il pianeta anziché a spese di esso. Julia Watson li definisce sistemi Lo-TEK, acronimo che sta per Local (Lo) Traditional Ecological Knowledge (TEK), contrastando l’idea che l’innovazione locale e tradizionale sia low-tech, quindi lontana e separata dalla tecnologia. Il vernacolare è da sempre fonte di innovazione, in quanto la sua natura pragmatica e applicata lo rende economico, artigianale e facilmente costruibile, guidato da conoscenze dettate da necessità e buon senso. Da questo punto di vista, i sistemi locali sono al contrario sofisticati e progettati per operare con ecosistemi complessi, amplificando le interazioni tra diverse specie, in una simbiosi radicata e radicale che garantisce resilienza e adattamento.

Yiazd, Iran | Foto © Claudia Orsetti
Ho visitato Yazd, in Iran, nel 2018. Faceva caldissimo e l’aria condizionata non c’era; c’era però l’aria condizionata “naturale”. Da uno dei tanti tetti della città, si vedevano i numerosissimi badgir (torri del vento) che rendono lo skyline di Yazd assolutamente unico. Queste torri sono strutture alte in adobe, simili a grandi camini, per la maggior parte di forma rettangolare, con prese d'aria su ciascuno dei quattro lati, cosi da poter catturare il vento proveniente da più direzioni.
I badgir intercettano le brezze più fresche che soffiano ad altezze più elevate, reindirizzandole verso il basso attraverso le strette fessure verticali, spingendo successivamente l'aria calda contenuta all'interno degli edifici prima verso l'alto e poi fuori, grazie a un'apertura sul lato opposto della torre. Anche in assenza di venti, i wind catcher funzionano come camini solari, creando un gradiente di pressione che spinge l'aria calda verso l'alto sfruttando l’altezza della torre. Questa tecnologia antica, utilizza una serie di conoscenze scientifiche semplici, che vengono applicate in modo specifico, rendendole architettonicamente sofisticate, capaci quindi di generare una fortissima identità locale.
Allo stesso modo, il paesaggio di Lanzarote, nella zona della Gueria è unico: tentando di proteggere le viti dai costanti venti che spazzano l’isola, i contadini hanno sviluppato la tecnica di coltivare le viti a terra, in buche a volte profonde fino a tre metri, circondate da muretti a secco. Le piogge sono molto scarse, ma queste vengono compensate dall'umidità che i venti forniscono, la quale, infiltrandosi nel terreno, viene trattenuta dal picón (suolo di cenere vulcanica) impedendone l'evaporazione. L’umidità viene poi naturalmente rilasciata durante il giorno, consentendo cosi alla pianta di crescere. Questo paesaggio surreale e mozzafiato è il risultato di conoscenze locali e tecniche vernacolari impiegate intelligentemente per dare una risposta pratica, economica ed ecologica a un problema climatico.

Lanzarote, Spagna | Foto © Claudia Orsetti
In modo simile funzionano i giardini panteschi di Pantelleria: dei recinti costruiti interamente in pietra a secco, generalmente di forma circolare, eretti attorno a una pianta di agrume per creare un clima adatto al suo sviluppo, che sarebbe impossibile in condizioni climatiche con una bassissima media annuale di pioggia, venti forti e sbalzi termici enormi. Il muro, alto fino a quasi 5 metri, mantenendo in ombra per tutto l'arco della giornata il tronco dell’albero e il suolo, minimizza l’evaporazione dell'umidità dal terreno e concentra invece la condensa notturna, trattenendola tra le pietre della fondazione, generando così un vero e proprio microclima che consente alla pianta di crescere. Questi esempi e molti altri, raccontano come problemi locali sono stati risolti grazie a conoscenze fisiche, scientifiche e naturali, impiegate in modo sapiente, al fine di generare infrastrutture sostenibili e resilienti.
Questo significa spostare il pensiero e l'azione lontano dagli attuali modi di produzione intensivi in termini di energia e di sfruttamento delle risorse, e più vicino a quella prospettiva di finitezza e condivisione che generò Earthrise. In Architecture Without Architects, Bernard Rudofsky sostiene che la filosofia e la conoscenza dell'architettura vernacolare rappresentano una vasta fonte inesplorata di ispirazione per l'uomo industriale, poiché “Essi (i costruttori anonimi) raramente subordinavano il bene comune alla ricerca di profitto e progresso". Ed è forse questo il vero cambio di paradigma di cui abbiamo bisogno: ridefinire un senso di appartenenza al nostro più grande bene comune, la Terra, e farlo attraverso un’architettura intelligente ed ecologica capace di prendersi cura del nostro complesso ecosistema, con ascolto e attenzione.