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Il gioco dei bambini della generazione 3.0 negli scatti di Stefano Ottomano

Laura Cavalieri Manasse

Le istantanee del fotografo pugliese mostrano i classici giochi dei bambini di una volta, storpiati dall'utilizzo dello smartphone. Un confronto risoluto e molto interessante tra generazioni di ex bambini e nuovi adulti

Stefano Ottomano insegna musica alla Scuola Media “Dante Alighieri” di Lucera (FG), passa le sue giornate con i suoi giovani allievi; guardarli durante le lezioni è un suo dovere, ma la sua innata curiosità di fotografo gli ha permesso di osservarli durante i loro momenti di pausa e di svago. Il paragone con il bambino che lui era all'età dei suoi studenti è stato automatico, i suoi ricordi d'infanzia vissuti all'aperto con i compagni di gioco si sono sovrapposti ai comportamenti dei ragazzini della “generazione 3.0”. Da qui è nata una serie di fotografie molto interessanti che fermano, nello scatto di un'istantanea, il paradosso di un gioco fisico disturbato dalla distrazione dello smartphone.

Stefano ci spiega: «chi si occupa di arte ha l'obbligo di raccontare la società in cui vive, il bene e il male che la caratterizzano. È evidente che l'uso del cellulare abbia avuto e continua ad avere i suoi vantaggi, ma è chiaro che ha completamente distrutto alcuni elementi primordiali della comunicazione e del vivere in comunità, sia se si tratta di lavoro, sia se si tratta di svago per non parlare delle situazioni sentimentali. Ecco che ho voluto far vivere a dei ragazzi i bellissimi giochi che facevo io alla loro età, sperimentandoli però con il disturbo del telefonino. La bellezza di giocare a biglie per strada o correre nei sacchi, o altri svaghi simili ci permettevano di divertirsi, comunicare realmente, interagire ed emozionarsi con i nostri amici, i bambini che avevamo di fronte e che partecipavano attivamente alle nostre sfide. I nostri giovani sono sempre fermi, con la testa bassa concentrati sullo smartphone, così perdono di vista il mondo reale, i sorrisi autentici, i pianti, le gioie e soprattutto non imparano ad utilizzare la loro manualità.»

È un rammarico comune in molti adulti quello di constatare come le nuove generazioni abbiano perso la capacità di stare in gruppo e divertirsi in modo fisico, correndo e urlando e sfidandosi in giochi di abilità corporea, sudando e vivendo in modo tangibile la sana competizione del gioco. Ottomano prosegue: «oltre alla tradizione, le nuove generazioni hanno perso la manualità nel costruire un gioco e di metterlo in atto, che sia un salto alla fune, o disegnare una campana... Sono fortunato di aver vissuto a pieno e al meglio della genuinità dell'amicizia, la strada, e questo mi ha spinto a realizzare questo lavoro, che non vuole essere la descrizione dei giochi del passato, ma il loro racconto analizzato con assurdo dualismo degli strumenti, che mostra l'involuzione e l'aridità dei comportamenti quotidiani dei nostri giovani e giovanissimi, che noi adulti abbiamo il dovere di scoraggiare e correggere.»


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