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Intelligenza e Ecologia

Sinergie tra intelligenza umana, ecosistema naturale e architettura: dalla cooperazione alla creazione di spazi urbani sostenibili e inclusivi


© Ralph, spore fungine microscopiche generate con l'intelligenza artificiale


Ho chiesto a ChatGPT una definizione di intelligenza, mi ha risposto così: “L'intelligenza è una complessa capacità mentale che comprende la capacità di apprendere, comprendere, ragionare, risolvere problemi, adattarsi a nuove situazioni e interagire in modo efficace con l'ambiente circostante. Si manifesta attraverso varie forme di pensiero, come il ragionamento logico, l'astrazione, la creatività, la memoria, la comprensione verbale e la capacità di apprendere dai propri errori”.


La parola ecologia, coniata da Ernst Haeckel nel 1866, studia le relazioni tra gli organismi e il loro ambiente, i luoghi in cui vivono, dove trovano sostentamento e dove interagiscono con la natura. L’intelligenza si affina e cresce attraverso questo processo, dapprima conflittuale e poi cooperativo e sinergico. Ne sono la prova i licheni, un incrocio tra fungo e alga che ha contribuito alla formazione delle terre emerse o i funghi micorrizici, i miceli, i lieviti, i microbi, esseri viventi che sono sopravvissuti a cinque grandi estinzioni di massa e sono in grado di comunicare tra loro a centinaia di chilometri di distanza (da L’ordine nascosto di Merlin Sheldrake, Marsilio editore). L’uomo è l’essere vivente che ha avuto meno tempo per sviluppare questa intelligenza complessa e, mediante la presunzione degli ignoranti, è convinto di essere il più intelligente di tutti. A.I. non ha la più pallida idea di come misurare l’intelligenza in un contesto naturale e questo perché ignora che possono esistere intelligenze diverse da quella che l’ha informata con le quali entrare in risonanza attiva per dialogare con l’ambiente, cosa impossibile per chi è privo di corporeità.

Viene spontaneo dedurre che l’architettura più ecologica sia quella più intelligente, vale a dire quella dettata da necessità di sopravvivenza e quindi di cooperazione tra gli esseri viventi. Non è neppure così difficile arrivare a un’architettura intelligente, non a caso quella autarchica e spontanea, progettata da chi vive e sa di vivere nella natura, tra altri esseri viventi coi quali interagire, quella adattiva, è quella che in generale amiamo di più. Dovrebbe, l’architettura, prioritariamente adoperarsi a essere una struttura concreta in grado di connettere la mente delle persone con tutto quello che le circonda. Sto pensando al mondo vegetale − che rappresenta il 97,3% di tutta la materia vivente contro il 2,7% del regno animale del quale i 2/3 sono gli insetti e l’uomo solo lo 0,01% (secondo Atlante della Terra, Utet 1999, a cura di Piero Bianucci) − nutrimento e polmone della terra che stiamo mettendo in crisi limitando il nostro interesse al legno che produce. È inevitabile riconoscere che noi umani siamo interarborati con i vegetali molto più di quanto siamo in grado di pensare e/o percepire. Gli alberi non ci forniscono soltanto beni materiali, ma ci offrono continuamente metafore: abbiamo foreste nella nostra mente, i nostri neuroni somigliano alle architetture degli alberi. Gli scienziati hanno chiamato queste fibre ramificate “dendriti” (dal greco “dendron” – alberi). Quando esse si intersecano (si interarborano) formano alberi dendritici… noi pensiamo con alberi.

Le neuroscienze ci hanno spiegato ormai molto bene il funzionamento del nostro “cervello sociale”, come le relazioni intreccino tra loro i nostri cervelli addirittura modificandoli biologicamente. L’artista Letia (Letizia Cariello) nelle sue opere fatte di fili rossi che si intrecciano e catturano cose, descrive poeticamente “il potere” che questa connessione ci da, “ci porta a riflettere prima di tutto sul fatto che l’altro è te…. Se vivi entri in un sistema di interconnessioni” (dall’intervista all’artista Letia di Manuela de Leonardis per Artribune). L’edilizia consuma il 65% delle risorse del pianeta diventando la prima responsabile di guerre, carestie e inquinamento; ha prodotto 660 miliardi di tonnellate di artefatti, molto più della metà dei 1.000 miliardi della biomassa vivente comprendente il mondo animale e vegetale, abbondantemente superati da tutti gli oggetti prodotti dal genere umano e presenti sulla terra (1.100 miliardi).

C’è da chiedersi quale intelligenza sia profusa nei progetti edili, tutta rivolta alla estinzione del genere umano per asfissia del pianeta. D’altro canto, possiamo certamente affermare che ecologia significa progettare, e mai come in questo momento storico, nel quale la creatività a ogni livello è appiattita attorno alla ricerca spasmodica del consenso e da un’offerta consumistica per lo più insensata, c’è bisogno di progetti visionari e fortemente creativi in grado di generare beni comuni e collettivi. Gli scienziati, i biologi, ormai sanno che l’evoluzione della nostra comprensione dell'intelligenza va oltre la razionalità umana, abbraccia aspetti misteriosi che ci collegano al mondo che ci circonda, per questo lo studio dell’architettura deve partire dall’esplorazione del legame tra l'intelligenza, l'ecologia e la tecnologia.


La nostra intelligenza razionale spiega solo una piccola percentuale di ciò che sappiamo o percepiamo e questo rende evidente come l’intelligenza artificiale, che non può usufruire della meditazione o di altri sentieri neuronali attraverso i quali la natura interagisce con la mente umana, non possa essere considerata ecologica e questo perché la connessione tra intelligenza e ambiente non si manifesta nella comprensione dei sistemi che permeano la nostra esistenza, bensì nello starci dentro.


L'intelligenza, intesa in modo ampio, è un fenomeno che si sviluppa attraverso conflitti, cooperazione e connessioni con il mondo naturale. Esplorare i misteri della mente e della natura ci invita a considerare un'ecologia dell'intelligenza, un dialogo senza fine tra la complessità umana e la vastità del nostro ecosistema. L’affollamento delle nostre città, che determina necessariamente una forte densità del costruito assieme alla crescente disgregazione sociale − dovuta a difficoltà relazionali − e alla crisi dell’economia, sta spostando l’architettura dalla concretezza della forma (firmitas), a una dimensione immateriale basata sulla cura delle relazioni nella ricerca di un’intelligenza collettiva, un problema di tipo conoscitivo e di responsabilità sociale: ecologica appunto. Come ecologico è essere curiosi, di tutto quello che ci circonda, nella mia prima lezione dell’anno ai miei studenti dico: “se non siete curiosi cambiate mestiere”. Cura e curiosità non a caso hanno lo stesso etimo, il curioso si interessa, ha premura, si prende cura, pone domande, si apre a nuove strade. Così l’architettura ecologica, in quanto architettura intelligente, più che mettere alberi su tetti e terrazzi e focalizzarsi sugli oggetti, deve agire producendo esperienze corporee e psichiche anche mediante dispositivi in grado di collaborare con i sistemi complessi degli altri esseri viventi che sono tra noi, lavorando sulla dimensione collettiva che è stata la risorsa fondamentale nella fondazione della città. Il nostro sistema più dinamico resta comunque la città nella quale, nel giro di un paio di decenni, confluirà più del 70% dell’umanità; trasformare le sue interrelazioni sociali in un sistema di sistemi è il compito dell’architettura. “[…] si fa urgente una domanda di pensiero e di visioni nuove che mettano al centro le relazioni umane, i nessi tra le cose, l’immateriale, le connessioni tra saperi e discipline, gli ecosistemi, le reti, la biologia, i sensi” (Elena Granata Il Senso delle Donne per la Città per Passaggi Einaudi).


L’architetto Norman Foster sta già operando con un pensiero intelligente che, non a caso, ha chiamato Geografia Emozionale, certamente ispirato alla nostra intelligenza sociale (Daniel Goleman) che sottolinea il dinamismo delle città come dispositivi attivi che generano energia attraverso le interazioni sociali. È noto sin dai tempi dei tempi quanto l’architettura sia in grado di influenzare il pensiero e gli stili di vita delle persone; pensando pertanto all’architettura come veicolo di vero cambiamento, se dovessi ora darle un indirizzo ecologico, in un momento nel quale l’edilizia è di indubbio disturbo al pianeta, auspicherei l’uso di strumenti di partecipazione attiva e di interdisciplinarietà, con il preciso scopo di riportare le persone, in quanto esseri interconnessi con la Terra, al centro di qualsiasi progetto, pubblico o privato, lungo un percorso di riappropriazione di un ambiente abusato e violato del quale al contrario dobbiamo non solo avere cura, ma letteralmente curare con l’aiuto di menti complesse con le quali al momento non siamo in grado nemmeno di confrontarci. “L'intero sistema terrestre si fonda sulla vivibilità e l'ospitalità, ossia sul permanere di connessioni biofisiche alla base della sopravvivenza di ogni forma di vita. Al contrario la sostenibilità non è una legge di natura ma un'invenzione umana... l'ennesima. Quindi la sostenibilità non è speculare alla vivibilità, tanto è vero che esistono economie sostenibili dentro condizioni invivibili. La vivibilità inoltre esclude la povertà, la sostenibilità no.” (Patrizia Menegoni, ricercatrice ENEA).

© Edizioni Archos

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