La forma dell'incertezza
- Michele Manigrasso
- 5 giorni fa
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La tecnica e la tecnologia odierne permettono di avanzare sperimentazioni tese a innovare nella tradizione, per produrre spazi speciali che in virtù della loro capacità di adeguarsi all’imprevisto, si fanno luoghi sicuri di inedita qualità ambientale

Enghavenparken (Parco Climatico), Copenaghen. Il paesaggio si trasforma in base alle stagioni | Courtesy Studio Tredje Natur
La crisi ambientale, e in particolar modo climatica, ha innescato riflessioni ampie e ha prodotto evoluzioni importanti nei linguaggi dell’architettura contemporanea. L’uso del verde, materiale ritenuto ampiamente irenico e salvifico, riempie le pagine patinate di riviste scientifiche e di volumi specialistici… come se fosse l’unica possibilità per l’adattamento, come se la storia dell’architettura non avesse insegnato altro. Oggi la tecnica e la tecnologia permettono di avanzare sperimentazioni, per tentare di superare retaggi aberranti, per innovare nella tradizione, per produrre spazi speciali che in virtù della loro capacità di adeguarsi all’imprevisto si fanno luoghi sicuri di inedita qualità ambientale: per dirla con le parole di Chantal Mouffe, “spazi agonistici” che come in uno scambio ecologico, contengono più prestazioni, usi e conflitti. Molti spazi pubblici adattivi sono emblematici di questa ricerca.
Progetti che dimostrano che per rispondere ai cambiamenti climatici, o più in generale per lavorare al grande tema della sostenibilità, l’uso del verde non è un imperativo categorico: per mitigare e gestire l’azione dell’acqua nelle giornate di pioggia intensa si può lavorare con un approccio differente, affidandosi in parte alla forma, in parte ai materiali, in parte alla tecnologia. Lo spazio non è solo valvola di sfogo per mitigare l’impatto dei fenomeni estremi, ma può essere pensato in modo da generare atmosfere cangianti attraverso forme plastiche del suolo, non esclusivamente drenante. Questo aspetto è evidente nella riqualificazione del parco Enghaveparken, nel quartiere Vesterbro di Copenaghen; un progetto dello studio Tredje Natur, vincitore di concorso e realizzato di recente: attraverso il sistema del suolo. Qui si gestiscono 24.000 mc di acqua piovana, trasformando il rischio in una grande varietà di opportunità ricreative.

Enghavenparken (Parco Climatico), Copenaghen. Il paesaggio si trasforma in base alle stagioni | Courtesy Studio Tredje Natur
È un intervento che continua la storia di uno spazio pubblico realizzato nel 1928 come parco neoclassico, e che negli anni ’90 aveva perso il suo ruolo di centralità a causa del progetto di rinnovamento del quartiere, molto focalizzato all’inverdimento dei cortili chiusi. Le esigenze contemporanee hanno spinto gli architetti della “Terza Natura” a riconoscere un nuovo ruolo a questo spazio, ponendosi in una conversazione aperta con il contesto. Il concetto è semplice: in una reinterpretazione delle precedenti e più famose water squares di Rotterdam, il parco funge da bacino di ritenzione per ritardare l’acqua che in parte viene convogliata verso la fognatura, in parte restituita alla falda, in parte resta in superficie per le attività ludiche. Questo viene fatto con cura, senza distruggere gli alberi o le strutture esistenti del parco: è un intervento multifunzionale che offre molte esperienze ricreative e sensoriali.
È uno spazio in cui la modellazione del suolo costruisce topografie mitigative che consentono all’ordinario di incontrare lo straordinario. Qui, nella dimensione dell’incertezza, anche l’acqua prende forma, secondo una filosofia del divenire che rintracciamo, ormai, in numerose esperienze nel mondo. Come nel progetto di riqualificazione sul fiume Meno, in Germania, realizzato dallo studio Holl-Wieden a Miltenberg. Sorta su una stretta terrazza a valle, la città segue la curva del fiume la cui vicinanza ha sempre rappresentato una grossa minaccia. Infatti, le frequenti inondazioni avvenute negli ultimi anni del ’900 a causa dello stravolgimento dei cicli idrici, hanno spinto alla realizzazione di un nuovo sistema di protezione lungo 1.5 chilometri. La città ha sfruttato l’occasione della messa in sicurezza per aumentare la qualità dei propri spazi, integrando i vari elementi di gestione delle inondazioni nella struttura urbana esistente e trasformando l’argine in una passeggiata attrezzata. La protezione è stata risolta lavorando a due quote differenti e attraverso la predisposizione di elementi temporanei.

Argini del fiume Meno a Mittenberg, Germania | Courtesy Studio Holl-Wieden
Il sistema divide la sponda del fiume in un livello superiore dietro il muro di sostegno e una terrazza inferiore, ovvero la banchina, che può essere allagata. Il livello inferiore è accessibile attraverso rampe e scale, è uno spazio per parcheggi, percorsi pedonali e verde, ed è utilizzato anche per eventi particolari, fiere e manifestazioni cittadine. La differenza di quota è supportata da un muro rivestito in pietra arenaria dalla forma sinuosa e dallo spessore variabile da 0.85 m a 2.8 m. Di sera la forma mutevole del muro viene enfatizzata da un sistema di luci pensato proprio per esaltarne la sinuosità: funge da muro di sostegno e da parapetto, generando una zona salotto dove incontrarsi. Solo i punti di accesso al livello inferiore hanno bisogno di chiusure temporanee durante le inondazioni. Mentre la protezione di base (per un’inondazione possibile “una volta in 25 anni”) è assicurata dal “sistema fisso”, durante eventi estremi l’altezza del muro può aumentare grazie all’implementazione di chiusure leggere e reversibili, in modo tale da resistere e proteggersi dal livello dell’acqua corrispondente a quelle esondazioni possibili “una volta ogni 100 anni”.
Basato su elementi fissi e sull’applicazione “additiva” di elementi mobili, questo sistema ha consentito alla città di conservare la vista del fiume e, in controcampo, l’immagine caratteristica del centro storico. Il muro di protezione è diventato l’elemento dominante nel paesaggio fluviale, magnete per turisti e residenti, soprattutto di sera, quando, illuminato, è protagonista indiscusso dello spazio. Estetica della forma, sistemi additivi e materiali impermeabili permettono di rispondere contemporaneamente a più esigenze, anche in divenire. C’è chiaramente una risposta urbanistica e architettonica che fa leva su una nuova configurazione spaziale, per realizzare un sistema aperto ad accogliere l’innalzamento del livello delle acque e le possibili esondazioni; e quindi più resiliente, perché capace di abbandonare qualsiasi forma di resistenza e lavorare a favore di una “scioltezza strategica” che fa dello spazio un “luogo in continua evoluzione”, generativo di un nuovo paesaggio urbano, adatto ad accogliere anche l’imprevisto.

Argini del fiume Meno a Mittenberg, Germania | Courtesy Studio Holl-Wieden
Queste esperienze, infatti, dimostrano la possibilità di andare oltre quelle soluzioni meramente ingegneristiche, solo apparentemente risolutive, che avrebbero allontanato le città dall’acqua: è possibile, invece, optare per approcci differenti che costruiscono rapporti di qualità tra gli elementi coinvolti, dando valore spaziale al dispositivo di difesa. Costruendo “bordi” anziché “limiti”, lo spazio si fa “luogo della mutazione”, “metamorfosi” da governare e, in parte, da realizzare, per l’incolumità di chi fruisce, abita e usa quel luogo. L’introduzione del tema della flessibilità fa del progetto una “struttura aperta” disposta a cambiare rispetto agli eventi. La mutazione, tra espansione e riduzione, si manifesta per rispondere a diversi livelli di pericolo; per contrastare quelli più importanti, interviene la tecnologia che con duttilità e leggerezza presta un alto grado di efficacia, secondo una visione multi-temporale dell’adattamento: risponde al rischio e consente di mitigare gli impatti paesaggistici. Tra forma e tecnologia si stabilisce un livello di cooperazione che si fa materia. La materia si fa spazio. Il tempo dell’incertezza ne svelerà gli accordi e le possibili configurazioni.