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Città è paesaggio

Di recente è tornato l’interesse a ragionare sul rapporto tra insediamento e natura, e il paesaggio sembra riposizionarsi potentemente al centro della pianificazione territoriale e del progetto urbano, in ragione delle domande ecologiche emergenti


Hight Line, parco lineare di New York realizzato nel 2009su una sezione in disuso della West Side railway | Foto © Alexander Spatari


Oggi essere rivoluzionari significa togliere più che aggiungere,

rallentare più che accelerare, significa dare valore al silenzio,

alla luce, alla fragilità, alla dolcezza.

 Franco Arminio, 2018

 

Negli ultimi decenni, la necessità di attribuire aggettivazioni al termine “città” si è fatta più evidente. Abbiamo assistito a svariati tentativi, a volte ridondanti e forzatamente allusivi, di trovare soluzione ai fenomeni che stiamo attraversando, proponendo idee e modelli di città etichettati con appellativi pescati da diversi campi disciplinari. Ma la città, la sua descrizione e la sua comprensione ne hanno davvero bisogno? In fondo, quel che conta è che la città a noi necessaria sia “capace” di essere città, come “altra natura”, sintesi di “artificio” e “selvatico”… dove, appunto, il selvatico ritrova spazio e stabilisce nuove relazioni con i nostri corpi in movimento, conferendo benessere e armonia.


Di recente è ritornato l’interesse a ragionare sul rapporto tra insediamento e natura, in una più matura e interessante articolazione del concetto stesso di paesaggio come infrastruttura ipertestuale che acquista senso in virtù delle relazioni socio-ecologiche di cui si alimenta e che al tempo stesso costruisce. Da questa angolazione, siamo all’alba di una nuova stagione della pianificazione e della progettazione urbana che si spera possano lavorare alla ricerca di una qualità aumentata dello spazio fisico esistente, comprendendone e valorizzandone l’efficacia dentro piani strategici di area vasta. Oggi l’urbanistica, avvicinando le altre discipline che si occupano della terra, sta tentando una sua rivincita: guarda al paesaggio come ambito di indagine e progetto attraverso cui dare risposte utili e riscattarsi dagli errori del passato. In particolar modo, ricercando tridimensionalità e capacità di adattamento nel tempo, per attivare e abilitare “nuove terre” alle esigenze della contemporaneità.


La progettazione di “spazi a volume zero”, riqualificando l’esistente, è il campo di indagine più frequentato da molteplici punti di vista: in particolare, quello morfologico-percettivo, legato a una tradizione culturale che interessa soprattutto i valori patrimoniali del paesaggio e la sua estetica; e quello squisitamente ecologico, che mosso dalle urgenze ambientali, rivendica il valore della natura selvatica per adattare la città agli stress del contemporaneo. Le tante ricerche realizzate in campo internazionale si confrontano con una tassonomia piuttosto articolata, che comprende i vuoti urbani interclusi, le reti e gli spazi legati all’acqua (waterscape), le aree del drosscape, i territori delle campagnes urbaines, il sistema delle reti infrastrutturali, gli spazi in-between (tra le reti e i materiali dei paesaggi attraversati).


Studio Mecanoo, Biblioteca dell'Università di Tecnologia, TU Deft (Olanda)


Appare sempre più evidente quanto l’orizzonte della nuova questione urbana sia fortemente connesso alla salvaguardia, alla risignificazione delle componenti ambientali e al contestuale ripensamento di quelle forme insediative come leve essenziali per qualificare una rinnovata abitabilità urbana, fondata, appunto, su una diversa intelligenza capace di coniugare salute ambientale e benessere delle relazioni sociali. Oggi, interpretare il paesaggio come infrastruttura che attraversa il costruito vuol dire dover affrontare il tema dell'uso e del riuso degli spazi aperti, ovvero eleggerli a componenti di reti, capaci di dialogare con una idea di città “multiscalare”: per rispondere contemporaneamente a esigenze puntuali e di sistema, locali e sovralocali, ai bisogni delle comunità, partecipando all’attuazione di strategie di area vasta, e assicurando prestazioni ecologiche, perché devices per la ricerca della resilienza territoriale. Questi ragionamenti attraversano i centri storici, i tessuti moderni e le espansioni contemporanee; interessano gli spazi che abitiamo e la città che viene.


“Transcalarità” e “multiscalarità” non sono retoriche del processo progettuale, ma un approccio da perseguire, utile per ricucire geografie interrotte; per rendere efficaci le tattiche place-based, dando soluzione alle discontinuità contro fenomeni di “urbanalizzazione”(Muñoz F. 2008), “mettendo in scena l’ambiente” e interpretando il paesaggio come mass medium, come strategia e non più come design (Gustafson K., 2005). I network paesaggistici hanno in questo senso la forza di proporre figure e racconti e di ridisegnare in modo incrementale la forma delle agglomerazioni urbane, costruendo una generazione di spazi multifunzionali entro cui collocare un’offerta qualificata e aggiornata di luoghi del welfare. Spazi quindi capaci di irrigare e rigenerare i tessuti urbani esistenti, passando da un’ottica di resistenza normativa al consumo di suolo, sostanzialmente inefficace nel medio-lungo periodo, a una strategia progettuale di produzione di “nuove terre” utili al pianeta.


Si è aperta una nuova stagione del “progetto di suolo” all’interno del progetto urbano, che oggi si arricchisce di altri valori e obiettivi in ragione delle domande ecologiche emergenti; ma anche per il senso che possono assumere alcuni beni comuni che permettono di orientare lo sguardo e l’interazione tra i soggetti attraverso le scale, dalla dimensione locale del frammento urbano alla multi-città e alla sua dimensione geo-strategica. Come ha scritto qualche anno fa Rosario Pavia, “Terriccio, terreno, territorio, Terra: c’è una comune radice etimologica che li accomuna e ci rivela che deve esserci un legame profondo tra queste diverse dimensioni. È come dire che il progetto di suolo non può che attraversare tutte le scale. Una prospettiva che rivoluzionerà nel profondo anche il progetto urbano”. È stato Bernardo Secchi, a partire dagli anni '80, a sollecitare sul disegno della città partendo dal basso, dalla cura per gli aspetti tecnici e qualitativi degli elementi che compongono lo spazio a terra: nel momento in cui la città si disperdeva, trasformandosi in una urbanizzazione diffusa, veniva posto il tema di dare forma allo spazio tra i corpi urbani ed edilizi.


Studio Aires Mateus, impianto di trattamento delle acque reflue, Lisbona | Foto © Fernando Guerra FG+SG 


Questa attenzione andava oltre la richiesta di una maggiore cura dello spazio pubblico (su cui, a differenza dell’Italia, altri paesi europei continuavano a investire: si pensi alla Danimarca e alle opere di Jan Gehl), e si apriva decisamente alle problematiche della sostenibilità ambientale nei tessuti. Oggi il paesaggio sembra ritornare potentemente al centro della pianificazione territoriale e del progetto urbano. Certamente, la città contemporanea in crisi ricerca un nuovo dialogo con i materiali della terra. Paesaggisti come Michel Desvigne, Michel Corajoud, James Corner, Alexandre Chemetoff hanno colto nuove possibilità di intervento, rinnovando la qualità dello spazio pubblico, riconnettendo parti di città, trasformando e bonificando suoli inquinati e abbandonati, per esempio avviando un processo di ricomposizione tra città e campagna fondato sulla “alternativa paesaggistica”, mettendo in valore le tante “interferenze” che conferiscono tensione e amplificano il senso del patrimonio depositato e immateriale.


Temi che affiorano nel secolo scorso, ma che diventano preponderanti negli ultimissimi decenni, perché è necessaria una nuova azione di cura, di manutenzione e rigenerazione dei suoli per far si che i territori contemporanei siano paesaggi. Non lo sono, devono diventarlo. Lavorare in questa direzione sta significando andare oltre ciò che è stato stabilito dalla Convenzione Europea del 2000. Non basta classificarlo e leggerlo come effetto delle trasformazioni antropiche. Bisogna curarlo, sostenerlo con interventi di consolidamento, di bonifica, di infrastrutturazione; occorre connetterlo ad altre reti, ad altri paesaggi; bisogna considerarlo appartenente al contesto locale, sociale, al paese, e al tempo stesso al pianeta. Emerge quindi la centralità del “progetto di suolo come primo paesaggio necessario” e nella sua cura si nasconde l’etica profonda dell'essere città.

 

 

 

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