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La Biblioteca siculo araba e altre scritture

La Fondazione Orestiadi partecipa al Festival letterario Taobuk con la mostra “La Biblioteca siculo araba e altre scritture”, un viaggio nel rapporto tra immagine e scrittura


Le macchine sceniche di Arnaldo Pomodoro, Fondazione-Orestiadi | Foto © Luca Savettiere


La mostra "La Biblioteca siculo araba e altre scritture" che si inaugura domani a Taormina è un viaggio, se pur lieve, nel rapporto tra immagine e scrittura. L’incontro sullo stesso piano di due possibilità espressive, che nascono con l’uomo. La necessità di fermare la conoscenza con lo scritto, la necessità di fermare un’emozione con il colore e il segno. Spesso i due terreni si incontrano, si sovrappongono, scivolano l’uno sull’altro determinando una ricca sezione della storia delle arti e dei linguaggi espressivi. Come pianeti, i lavori in mostra orbitano attorno alla "Biblioteca siculo araba" di Stalker e De Luca, installazione che dà corpo tridimensionale alla scrittura, con un testo che narra delle città siciliane come le descrisse Al-Idrisi nel suo viaggio in Sicilia nel XII secolo.


"la Biblioteca siculo araba" Installazione di Stalker


Le opere mostrano, da differenti punti di vista, e da differenti realtà geografiche e culturali la vivacità di questo rapporto e la complessità della relazione. "Il quadrato magico" di Boetti viene riproposto con i ricami che le donne afgane realizzarono nel 1979 a Kabul. Il suo lavoro riflette sulla complessità del testo e sulle sue regole, affidando ai cromatismi del carattere e alla loro partitura geometrica la ricerca di un principio ordinatore del mondo e delle cose. L’azzeramento del testo operato da Emilio Isgrò, con le sue cancellature ridà un nuovo senso allo scritto “un mare di cancellature il cui peso era più forte delle parole”. I segni di un alfabeto arcaico, riportati sulle ceramiche da Carla Accardi, mostrano la vicinanza con quelli, apotropaici, che i berberi imprimono sulle loro terrecotte. Ripetizione, scomposizione del segno e la sua astrazione, diventeranno il leit motiv dell’opera dell’artista siciliana, oggi considerata tra i maggiori esponenti dell’arte italiana del dopoguerra. Come di matrice berbera sono i segni – graffiti dell’algerino Hakim Abbaci sulle sue tavole.


Ascanio Renda trasferisce il testo del Padrenostro su un pannello accartocciato in mosaico, per riflettere sulla mercificazione del sacro, religiosità presente anche nell’opera del tunisino Nja Madaoui, tra i più grandi calligrafi del Maghreb, dove la scrittura diventa uno dei principali mezzi espressivi della cultura islamica, come pure nell’installazione i "Maestri Invisibili" del maestro algerino Rachid Koraichi, che dedica la sua opera ai maestri sufi. Le false scritture di Giusto Sucato ed Emilio Angelini traslano la corrispondenza del significato delle parole su un terreno visionario e onirico, mentre nell’opera di Alfredo Romano la sovrapposizione tra immagine e testo è evidente, i due livelli scorrono su differenti paradigmi temporali, l’opera lega frammenti di testi dei poeti siculo-arabi del XII secolo con le immagini delle rivolte studentesche in Iran degli anni ‘90.


"Motagna di sale" di Mimmo Paladino per l’opera “La sposa di Messina di Schiller”


Se le sfasature di un uso non consueto tra i linguaggi creano un corto circuito la loro simultaneità, come nel bozzetto di Mimmo Paladino per l’opera “La sposa di Messina di Schiller” per le Orestiadi del 1990, testimonia dell’uso consueto del testo e dell’immagine nella comunicazione. Il codice fiscale di Pasolini, opera di Alfonso Leto, rende omaggio all’intellettuale ponendo il suo cifrario al centro di cornici degradanti, che ne esaltano l’immaginario ponendolo oltre la massificazione dell’individuo. Le ceramiche dei due grandi maestri Arnaldo Pomodoro e Khaled Ben Slimane riportano uno i segni di un alfabeto fantastico del Mediterraneo, l’altro un passaggio ulteriore della necessità di astrazione del segno grafico nella cultura islamica.


Nel tappeto mediterraneo di Jonida Xherri, realizzato dai giovani migranti dei centri di prima accoglienza siciliani, immagini e testo si fondono, diventano strumenti utilizzati indifferentemente per comunicare una condizione di sofferenza, l’aspetto istintivo e il desiderio di trovare un legame con l’altro, anelito che è anche del lavoro di Giovanni Bosco, artista outsider considerato tra i grandi dell’art brut, che nei suoi lavori trasferisce il senso innato in tutti del fare arte e la necessità universale del comunicare. Il signor K ci conduce dentro la magia del racconto di uno dei grandi maestri del novecento, Kafka, a cui fa riferimento l’opera. La capacità introspettiva del grande scrittore polacco di leggere l’animo umano, dà spunto ad Elisa Nicolaci per realizzare una scultura inquieta e misteriosa quanto il testo.

© Edizioni Archos

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