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Sustainable Thinking, al Museo Salvatore Ferragamo


In mostra a Firenze, artisti, fashion designer, aziende produttrici di tessuti e di filati propongono una pluralità di spunti per una progettualità in grado di impiegare le nuove tecnologie senza subirle, declinare il locale con il globale e salvaguardare il nostro ecosistema

Credits Salvatore Ferragamo

La sostenibilità, ovvero la capacità di “soddisfare i bisogni del presente senza compromettere la possibilità che le generazioni future riescano a soddisfare i propri”, è il tema del momento e il Museo Ferragamo ha scelto di raccontarla secondo le visioni della moda e dell’arte. Il messaggio di Sustainable Thinking - a Firenze, fino all’8 marzo prossimo - è chiaro: non è necessario negare il progresso o esserne antagonisti, ma una tecnica che non stringa un’alleanza con la Natura, un patto di amore, rispetto e conoscenza reciproca, è destinata a sfociare nella distruzione e nell’autodistruzione. Tra gli anni ‘30 e ‘40 del Novecento Salvatore Ferragamo creò i suoi modelli di calzature utilizzando materiali inediti e sorprendenti, che oggi non esiteremmo a definire sostenibili.

Allora la ratio non era la salvaguardia ambientale, ma quanto imposto dalla propaganda nazionalista del Fascismo, e dalle ristrettezze seguite allo scoppio della Seconda Guerra Mondiale. Un intenso studio e una sperimentazione continua guidarono Salvatore Ferragamo nella creazione di veri capolavori da calzare utilizzando materiali che poco si prestavano - o almeno così era fino alle sue sorprendenti scarpe - a rispondere alle sollecitazioni che ancora stanno alla base della moda, ovvero l’estetica e l’innovazione. Nelle mani del calzolaio prodigioso, carta, sughero, feltro, rafia, paglia, pelle di pesce e il cellofan si trasformarono in oggetti del desiderio. Negli anni ‘50 si aggiunse il nylon.

Una lezione che presto è stata dimenticata, ma di cui già brand - tra cui proprio Ferragamo - fashion designer, artisti e progetti innovativi si stanno riappropriando. In mostra abiti sartoriali, capispalla, tessuti e fibre ottenute dagli scarti di lavorazione industriali, dai rifiuti post consumo, da riciclati e scarti editoriali, da scarti di pellame, linguette di alluminio, dal recupero di materiali militari, dalla fermentazione di microorganismi capaci di produrre cellulosa. Da materie prime giunte a fine vita che grazie alla tecnologia possono essere riconvertite in prodotti di qualità, secondo il principio che sta alla base dell’economia circolare, di cui molti parlano ma pochi sanno.

Credits Salvatore Ferragamo

Tessuti ecologici, poliestere riciclato, fibre di vetro, scarti dalla lavorazione industriale, tessuti biodegradabili, lane biologiche per l’artigianato di riciclo che trasforma in creazioni di pregio il materiale di scarto, come quello di Stella Jean e Andrea Verdura, e per l’artigianato sociale, per il riscatto delle comunità locali attraverso il recupero di saperi e tradizioni fagocitati dalla globalizzazione, come quello della cooperativa calabrese GOEL. E poi la nuova ribalta delle fibre naturali, come canapa, ortica e lane autoctone, insieme al feltro, alla polpa di legno, al bisso, o seta del mare, e alla seta non violenta, in cui la produzione non uccide il baco ma fa sì che diventi una farfalla e continui il suo ciclo vitale.

È questa la ‘responsabilità’ a cui siamo chiamati oggi come Umanità: farci carico delle sorti della Natura che noi stessi abbiamo compromesso. Essere maggiormente responsabili del nostro impatto sulla Terra, delle conseguenze delle nostre azioni e delle nostre abitudini, dei danni incalcolabili delle nostre pigrizie, mentali e materiali.

Nota: la mostra SustainableThinking ha la Certificazione ISO20121 relativa all’organizzazione sostenibile di eventi. I manichini di Bonaveri, azienda leader del settore, sono biodegradabili; realizzati in BPlast, brevetto del 2016, una bio plastica composta per il 72% da un derivato della canna da zucchero.


© Edizioni Archos

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