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La vita degli edifici: quando l’architettura non basta

Il Villaggio ENI di Borca di Cadore fu realizzato dalla fine degli anni ’50, grazie alla capacità politica e allo slancio sociale di Enrico Mattei

Villaggio ENI, architetto Gellner | planimetria

Il Filarete (Antonio Averlino), nello scrivere il suo trattato di architettura dedicato al duca di Milano Francesco Sforza, fece ricorso ad una metafora adulatoria divenuta poi celebre: associò l’atto creativo che dà luogo ad un edificio all’atto di gestazione di un essere umano. Infatti, come quest’ultimo abbisogna di un uomo e di una donna, così un edificio non può prescindere da una coppia di figure identificabili nel committente e nell’architetto, rispettivamente nei ruoli di padre e madre.


Nella recente storia d’Italia abbiamo un esempio particolarmente significativo di quanto scritto dall’Averlino, ovvero di un’architettura fenomenale partorita dalle menti illuminate di Enrico Mattei e dell’architetto Edoardo Gellner, ma anche di quanto l’architettura possa essere fugace se lasciata a se stessa e di come non possa affatto prescindere da una funzione, da una visione e spesso da un ripensamento.


Campeggio del Villaggio ENI, Borca di Cadore (BL)


IL PADRE

Erano gli anni del dopoguerra e del boom economico italiano, Enrico Mattei (1906 - 1962) aveva da poco fondato l’ENI, opponendosi così alle istanze di privatizzazione dell’Azienda Generale Italiana Petroli (AGIP). Mattei è ricordato anche come un imprenditore che cercò di umanizzare le dinamiche capitaliste, riponendo una grande attenzione al benessere dei propri dipendenti. Con Zegna e Olivetti è tra i fautori delle prime colonie di welfare aziendali ed in questa pratica si inquadra il suo programma di edificare un villaggio vacanze per i dipendenti del Gruppo Eni.


LA MADRE

Enrico Mattei identificò come progettista ideale per il suo sogno sociale l’architetto fiumano Edoardo Gellner (1909-2004). Gellner si formò in prima battuta nella bottega del padre artigiano, successivamente frequentò i corsi di Disegno e Architettura degli Interni a Vienna sotto la direzione di Josef Hoffman e nel 1946 conseguì la laurea in Architettura nella Serenissima (RIUAV), dove beneficiò degli insegnamenti di Giuseppe Samonà e Carlo Scarpa. Delle esperienze successive con l’Istituto Nazionale di Urbanistica lo resero un progettista capace di gestire le complessità progettuali “dal cucchiaio alla città”, anche se nel suo caso si dovrebbe dire piuttosto “dal cucchiaio al paesaggio”.


IL FIGLIO

L’intervento prefigurato da Gellner è un complesso di edifici costruiti ai piedi del Monte Antelao, nella frazione di Corte di Cadore, nel comune di Borca di Cadore, non lontano da Cortina d’Ampezzo. Il sito individuato dall’architetto era una pietraia apparentemente inospitale, che tuttavia godeva di un’ottima esposizione e nella quale Gellner operò un sapiente intervento di inzollamento e di ripristino della vegetazione ad alto fusto. Il piano includeva una colonia per bambini, un centro sociale, una chiesa, due hotel, un impianto sportivo, un campeggio a tende fisse e circa cinquecento villette unifamiliari. Di questi corpi in arrampicata sul pendio all’ombra dell’Antelao non videro la luce il centro sociale e circa metà delle villette, a causa della morte nel 1962 di Enrico Mattei per incidente aereo.


Chiesa di Nostra Signora del Cadore


Nonostante a detta di Gellner il complesso mancava del centro sociale, il cuore del progetto, colpisce comunque per la brillantezza delle soluzioni adottate a livello compositivo, tecnologico e strutturale. Dal basso verso l’alto ci si imbatte in primis nella Colonia pensata per ospitare mezzo migliaio di bambini: l’edificio include circa quindici corpi di fabbrica collegati da rampe coperte; in queste unità si accentrano refettori, dormitori, una cappella, la mensa, l’infermeria ed altri servizi. Spicca per forma, qualità architettonica e dimensioni il padiglione dell’aula magna: un prisma irregolare a sezione triangolare, motivo ricorrente nel villaggio, che fino agli anni novanta fece da capanna di attività ai piccoli in villeggiatura. Il prisma era illuminato naturalmente da due enormi facciate vetrate ed artificialmente da delle catenarie intercettate da innumerevoli lampade sferiche.


Stesso motivo a sezione triangolare riecheggia nella Chiesa di Nostra Signora del Cadore, progettata in collaborazione con Carlo Scarpa, le cui falde, un tempo in posizione dominante sul paesaggio, ora si mimetizzano fra i caratteristici abeti rossi. La Chiesa è divisa in tre navate: le laterali, illuminate da nastri vetrati, assomigliano più ad un passaggio per via della loro sezione ridotta e sono divise dall’imponente navata centrale per mezzo di due file di pilastri in cemento armato a sostegno delle grandi travi inclinati del tetto. Le villette singole erano posizionate ad una distanza reciproca tale da evitare al contempo l’introspezione e l’isolamento e venivano assegnate a sorteggio tra i vari dipendenti del gruppo ENI, scongiurando qualsiasi differenza dettata dalla gerarchia aziendale.


Ex Villaggio ENI


LA MALATTIA E LA GUARIGIONE

Il villaggio funzionò fino agli anni novanta circa, quando l’ENI da ente pubblico venne convertita in società per azioni; dal duemila il villaggio è stato acquistato dalla società Minoter, che ha provveduto a rimettere in funzione i due hotel e a vendere le villette. Tornando al Filarete, nel suo trattato egli scrive: “"Io ti mostrerò l'edificio essere proprio un uomo vivo, e vedrai che così bisogna a lui mangiare per vivere,come fa proprio l'uomo: e così s'ammala e muore, e così anche nello ammalare guarisce molte volte per lo buono medico". La Minoter, davanti alle difficoltà di rimettere in piedi l’impianto edilizio e funzionale del resto del complesso, ha deciso di affidarsi a “lo buono medico” ed ha iniziato una collaborazioni con Dolomiti Contemporanee, un laboratorio di arti visive in ambiente, ideato dal bellunese Gianluca D'Incà Levis e curato insieme ad un gruppo di lavoro che include diverse figure professionali.


"Dolomiti Contemporanee" è nata nel 2011, all’indomani della nomina delle Dolomiti a Patrimonio Naturale dell’Umanità UNESCO, individuando in questo evento delle potenzialità, ma soprattutto dei rischi per la montagna, spesso vista come una cartolina da vendere al turismo di massa. Nel 2014 è stato avviato quindi Progetto Borca, volto a riattivare la Colonia del Villaggio ENI. Il format attuato è culturale, dinamico e flessibile destinato alla rifunzionalizzazione dei siti in coma, nei quali la vitalità era latente. La cultura, l’arte, le concettualizzazioni e le visioni si fanno occasione di ricerca e ripensamento; le varie professionalità chiamate a pensare e soprattutto ad agire qui mischiano le proprie competenze ed instaurano un dialogo edificante. Viene riservato tanto margine d’azione agli artisti, poiché si riconosce loro una suscettibilità peculiare nel ragionamento sul contesto.


Interno della Chiesa di Nostra Signora del Cadore, oggetto di riqualifica


Di paradigmatico ci sono due pratiche: la residenza e la produzione, che sono considerate imprescindibili per elaborare una visione inedita e funzionale di questi luoghi, poiché il processo è inteso come un atto critico dall’interno assegnando agli attori e al sito un ruolo produttivo. In questo modo si scongiurano mausolei della contemplazione di ciò che è stato e che non è più. Ora la Colonia del Villaggio ENI di Borca è un centro di produzione culturale, si aggiorna ad ogni contributo; in essa l’architettura non restaura, non aggiunge volumi, non è autoreferenziale, non è nostalgica. Insieme alle altre discipline e professionalità è ricerca e cultura di innovazione. Non è un contenitore da riempire col turismo di massa, ma un catalizzatore per gente interessata a dare un contributo.



© Edizioni Archos

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