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Marta Coccoluto

Abitare l'abito


La vita artistica dello stilista Roberto Capucci, costruttore di forme ardite e temerarie

Roberto Capucci

Quanto dura la magia dei cerchi concentrici che increspano l'acqua al lancio di un sasso? In eterno, se un sarto architetto ne fa rivivere l'attimo irripetibile in un abito. Una scultura tessile in taffetà di seta rosso, composta da nove gonne concentriche, aperte sul davanti e lasciate cadere nella parte posteriore. Roberto Capucci realizzò l'abito Nove Gonne nel 1956, guadagnandosi, con il plauso pubblico di monsieur Christian Dior, il titolo di miglior creatore di moda italiano. Ideatore, sperimentatore, visionario, l'utopia di Roberto Capucci è di imitare e ricreare la natura per abitarla.

È fare di abiti realizzati in infinite varianti di una stessa tinta, o in un caleidoscopio di colori, luoghi per il corpo. Nel 1958, i vestiti della sua Linea a scatola, dai volumi scultorei, sono forme da abitare, spazi di tessuto che trascendono il perimetro del corpo. Di nuovo, nel 1959 nove colli in tessuti leggerissimi, come l'organza satinata, sono sovrapposti l'uno sull'altro, un'architettura impalpabile eppure maestosa e regale. I suoi sono abiti da abitare, architetture che creano un altro corpo, esperienze sensoriali che si fondano sulla sperimentazione geometrica e sui volumi architettonici. Per Capucci «la moda non è ornamento, è architettura. Non basta che un vestito sia bello, dev’essere costruito come un palazzo, poiché come un palazzo esso è la materializzazione di un’idea». [...]

Abito da sposa per la marchesa Valentina Marini Clarelli-Nasi, 1982

Capucci ha il coraggio visionario di spingersi oltre quel che conviene: nel 1980 lascia la Camera Nazionale dell’Alta Moda, liberando la propria creatività dal giogo dell'industria della moda, governato dal mercato e scandito dall'agenda dei défilé. Da lì in avanti sfilerà fuori calendario, “nella città che vorrà accogliermi di volta in volta”; non conoscerà confini e le sue creazioni saranno esposte nei più grandi musei del mondo. Capucci è un costruttore di forme ardite e temerarie, che sembrano sfuggire alla più inoppugnabile delle leggi, la gravità. I suoi abiti sono guizzi improvvisi, vertigini di stoffa, involucri scenografici al limite dell'utopia sartoriale. Egli disegna per una donna astratta, la 'capuccina' è in realtà una donna che non abbiamo mai incontrato. [...]

Le stoffe sono protagoniste di inaspettate metamorfosi, assimilabili solo ai prodigi della natura. L'utopia di Capucci sta nel volerne strenuamente catturare colori e forme: «davanti a un abito in cui siamo riusciti a inserire dodici toni di verde mi sono emozionato: sono i momenti in cui capisco che non posso smettere. Quando per esempio riesco a trovare un raso che ha proprio il colore del temporale, o quando il grande tessitore o tintore francese, con una trama rossa e un ordito viola, compie il miracolo, per me incredibile, di ridarmi le esatte sfumature di una mammola. Vedo una cascata di fiori su un muro diroccato di Capri e lavorando e pieghettando fiumi di taffetà riesco a ridarne la magia. Un giorno in Sudafrica […] ho visto un uccello meraviglioso e ignoto, che di colpo aprì una corona di piume [...]: per anni ho tentato senza riuscirci di farne un abito, ed eccolo qui, finalmente, basta aprire due automatici sui fianchi e di colpo si alza una grande aureola rossa.» [...]

Tra spruzzi di fresca spuma, nelle ventisette gradazioni di blu di un'opera realizzata mediante la sovrapposizione di 1200 pezzetti di plissé, tagliati e applicati a mano, s'innalzano alte onde d'acqua (abito Oceano, 1998), riportando conchiglie dalle accese valve aperte (abito color bordeaux a effetto conchiglia, in arancione, giallo e ocra, 1987). Le volute scenografiche e le audaci sovrapposizioni riverberano una luce screziata e vibrante, fino a far sembrare gli abiti organismi viventi. Anche gli elementi come l'aria, l'acqua, la terra e il fuoco rivivono nelle sue creazioni ingegneristiche: quattordici i toni di rosso usati per le fiammelle plissettate che incendiano l'abito Fuoco (1985).

La sua utopia si spinge oltre i limiti della portabilità con le dodici 'Architetture in Tessuto', create nel 1995 per la Biennale di Venezia, nel centenario dell'Esposizione Internazionale delle Arti Visive. Esposte su manichini acefali, queste opere sono la più alta espressione del suo studio sulla più perfetta delle architetture, ovvero la natura, tradotta in arte di stoffa. Capucci scende nel ventre della terra, dove sono custoditi i minerali che danno nome, forma e colori alle sue creazioni: Sagenite, Fluorite, Lapislazzuli, Violano, Emanite, Ossidiana, Diaspro, Cinabro, Antimonite, Pirite, Allanite e Siderite. Nel 2011 l'Omaggio alla Vittoria Alata, il celebre bronzo del I secolo d.C. dagli echi ellenistici, che ritrae la sensuale dea Afrodite, qui simbolo di bellezza e trionfo. [...]

Capucci realizza il suo omaggio restituendone l'algida eleganza e raccogliendo le suggestioni delle patine che ricoprono l'antico bronzo: tre diverse tonalità di verde, una di mauve e una di bronzo. Sulla profonda scollatura posteriore, si spiegano due magnifiche ali, doppiate e riccamente drappeggiate, e dalle maniche, partono due code che si posano a terra, sfiorando la gonna-manto. Robertino, come lo chiamò Oriana Fallaci sulle pagine di Epoca all'indomani della sua prima sfilata alla sala Bianca nel 1951, è ormai l'irraggiungibile Maestro Roberto Capucci.

Estratto dall'articolo pubblicato su ArtApp 18 | L'UTOPIA

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