Alessandro Grassani. Emergenza climatica. Un viaggio ai confini del mondo
- Redazione ArtApp
- 18 mar
- Tempo di lettura: 4 min
Aggiornamento: 27 mar
Il fotografo e giornalista visivo punta il suo obbiettivo sulla migrazione climatica, che in tutto il pianeta costringe uomini e donne ad abbandonare il proprio stile di vita ancestrale per un futuro incerto nelle città

Bangladesh Dhaka, baraccopoli di Kawran Bazar | Foto © Alessandro Grassani
Il Museo Diocesano Carlo Maria Martini di Milano, fino al 27 aprile 2025, presenta la mostra fotografica Alessandro Grassani. Emergenza climatica. Un viaggio ai confini del mondo, a cura di Denis Curti, che attraverso una quarantina di scatti, articolati in quattro capitoli (Mongolia, Bangladesh, Kenya, Haiti), si focalizza sulla migrazione climatica, che in tutto il pianeta costringe uomini e donne ad abbandonare il proprio stile di vita ancestrale per un futuro incerto nelle città. In un pianeta sempre più urbanizzato, i cambiamenti climatici cancellano terre fertili, sommergono villaggi e spezzano legami antichi, riscrivendo il destino di intere comunità.
Dall’estremo freddo della Mongolia alla siccità in Kenya, fino alle inondazioni e all’innalzamento del livello del mare in Bangladesh e Haiti, il fotografo evoca visivamente un futuro prossimo in cui l’umanità lotta per trovare un luogo dove sopravvivere agli effetti del riscaldamento globale, rappresentando in modo diretto ed empatico le sorti delle persone coinvolte. Protagonisti degli scatti sono pastori, agricoltori e pescatori che appaiono stremati dalle avversità ambientali, costretti a cambiare il proprio stile di vita, spesso tramandato da generazioni, e a trasferirsi nelle città in cerca di mezzi di sussistenza alternativi, destinazioni che spesso deludono le loro aspettative, condannate a infrangersi a causa della mancanza di risorse, competenze e opportunità.

Mongolia, provincia di Arkhangai | Foto © Alessandro Grassani
"La mostra – dichiara Nadia Righi, direttrice del Museo Diocesano - vuole essere una risposta, parziale ma necessaria, all'appello di Papa Francesco a impegnarsi nella sensibilizzazione nei confronti di un tema delicato e di interesse comune, che non coinvolge solo popoli distanti, ma interessa ognuno di noi. Attraverso le fotografie di Alessandro Grassani diamo voce a persone che soffrono nell'indifferenza generale, la stessa che troppo spesso avvolge il problema del cambiamento climatico, così da stimolare attraverso l'arte la conoscenza di una delle più grandi minacce globali contemporanee, e la partecipazione attiva nel contrastarla".
Papa Francesco già nel 2015, nella lettera enciclica “Laudato sì” sottolineava che “Il clima è un bene comune, di tutti e per tutti”, e denunciava una generale indifferenza di fronte a tragedie come quelle raccontate nelle fotografie di Grassani. Per il Santo Padre, “non possiamo illuderci di risanare la nostra relazione con la natura e l’ambiente senza risanare tutte le relazioni umane fondamentali”, indicando nell’esperienza di una conversione, di una “trasformazione del cuore”, la via per la cura della nostra casa comune. “Ho guardato le fotografie di Alessandro - afferma Denis Curti, curatore della mostra - con una forte propensione ambientalista...e devo dire che, subito, ho spostato la mia attenzione su altro. Da un'attesa documentaria alla sorpresa "umanista". Alessandro si muove come uno sciamano contemporaneo. Il suo talismano è la macchina fotografica. E il suo è un esercizio inquieto all'interno di un mondo che appare capovolto. L'emergenza climatica vive dentro e fuori ognuno di noi”.

Bangladesh Dhaka, baraccopoli di Kawran Bazar | Foto © Alessandro Grassani
Grassani racconta, per esempio, la storia di Erdene Tuya, 29 anni, mongola, la cui famiglia negli ultimi anni ha perso gran parte dei capi di allevamento a causa del freddo rigido (-50°), immortalando le carcasse degli animali e il contesto di stenti in cui sopravvivono i pastori, alla ricerca dei mezzi per potersi muovere al più presto verso climi più miti. Contesto opposto in Kenya, dove secondo l’Internal Displacement Monitoring Centre, tra il 2008 e il 2022 sono stati circa 1,7 milioni gli sfollati interni al Paese, in fuga da quell’80% di territorio keniota classificato come arido o semi-arido. Tra loro Rose Juma, 34 anni, che con il marito ha lasciato il villaggio di Amagoru per sottrarsi alle sempre più sanguinose dispute tribali per il controllo dell’acqua e delle terre fertili.

Haiti, Port - au - Prince, baraccopoli di Village des Repatriès | Foto © Alessandro Grassani
Ad Haiti, la popolazione è invece afflitta da uragani sempre più frequenti, così come dalle piogge devastanti e dalle conseguenti inondazioni, che l’assenza di alberi, dovuta a un’incessante deforestazione, ha reso ancora più pericolose. Lo sa bene Nadie Preval, 28 anni, che Grassani ha ritratto nella baracca dove vive in miseria con la figlia e il marito a Port-au-Prince. Ex contadini, hanno venduto per pochi spiccioli il terreno che possedevano nella campagna haitiana, ormai non più produttivo a causa delle condizioni climatiche avverse.

Kenia, Nairobi, baraccopoli di Kibera | Foto © Alessandro Grassani
Spostandoci nelle zone del Bangladesh troviamo una situazione molto simile: ogni anno oltre 300 mila bengalesi sono in fuga dalle campagne, inondate e colpite dall’innalzamento del livello del mare e dalla salinizzazione, in direzione Dhaka, capitale del Paese e tra le città in più rapida crescita al mondo, con una popolazione attuale di circa 20 milioni di abitanti. Sovrappopolamento, povertà e un’irreale compenetrazione tra natura e città emergono dagli scatti del fotografo.
La mostra è realizzata con il sostegno della Fondazione Grana Padano.