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Colori per capillarità

Florian de La Salle sviluppa un particolare metodo artistico che sfrutta la colorazione capillare. Un modo per osservare il potenziale colorante del materiale scelto secondo un processo chimico che produce degli effetti singolari


"Carta assorbente", Florian de La Salle


In un articolo della Rivista "Actualité Nouvelle Aquitaine", Florian de La Salle dice che le parole chiave del suo lavoro di creazione sono tre: protocollo, sperimentazione e osservazione. Queste tre parole non sembrano venire da un artista, ma piuttosto da una scienza sperimentale come la biologia. Non è forse un caso che l'artista, prima di entrare nella scuola d'arte di Annecy si sia dedicato alla scienza come specialista di elettronica. A un primo sguardo, tra queste tre parole quella che sembra più originale per un artista è "protocollo". Nel ambito della scienza, un protocollo di ricerca è considerato il piano di lavoro che il ricercatore deve seguire. È necessario identificare ciò che si vuole fare, da quale prospettiva si intende lavorare e come si opererà.


Ma questa originalità e solo apparente: gli artisti lavarono spesso seguendo dei rituali che possono essere visti come dei protocolli: tal pittore mette sempre i sui colori sulla sua tavolozza in un ordine preciso e lavora tutti i giorni ad ora precisa; tal fotografo lavora solo dalla sua finestra, e così via. Più recentemente, l'idea del protocollo è emersa nell'arte contemporanea ma generalmente si tratta di opere create da artisti che lasciano una seria di descrizione per permettere a un altro di realizzare l'opera: Claude Rutault fa fare i sui dipinti da "definition methode", Michel Blazy scrive protocolli per la creazione di opere effimere generalmente fatte di materia corruttibile come frutta o legumi. Vedere la realizzazione di un'opera dal punto di vista del protocollo dei artisti mi sembra un'angolatura molto stimolante per studiare la fenomenologia della creazione. Nell'arte di Florian de La Salle il protocollo non è lo strumento concettuale di uno storico dell'arte, non entra neppure nel ambito molto contemporaneo del "far fare”, è il suo modo di osservare la materia e di fare del mondo visivo un'area di gioco e di meraviglia.


"Blu" Florian de La Salle


Il suo protocollo cerca di oggettivare l'atto di creazione e in questa prospettiva siamo lontani dell'idea del rituale, siamo piuttosto vicino a quello che dice Gilles Deleuze sull'arte di Henri Michaux: «lui sa sbarazzarsi di riti e civiltà per elaborare protocolli di esperienze ammirevoli e meticolose.» (G. Deleuze e F.Guattari Mille Piani, 1980). Florian de La Salle spiega: «per esplorare le possibilità di ottenere colori diversi, uso il seguente protocollo: inizio dissolvendo un sale in acqua fino alla sua saturazione. Quindi, preparo 10 contenitori in cui diluisco la soluzione iniziale, diminuendo la concentrazione di sale con incrementi del 10%. I contenitori sono riempiti in modo tale che l'oggetto sia immerso solo di un centimetro. Quando tutto è pronto, inzuppo i pezzi: cilindri, piastrine, persino macchie per una serie sperimentale di carta. Quindi lascio risalire la soluzione per capillarità, in un tempo determinato. Prendo atto dell'ora del bagno.


Dopo la cottura identifico le aree di ricerca da rielaborare per ottenere una scansione il più sottile possibile. E così via, fino ad ottenere i risultati "previsti". Poi ricomincio modificando le condizioni di cottura della porcellana, del tipo di carta o scelgo un nuovo sale. Il risultato sulla carta assorbente è osservabile non appena viene asciugata. D'altra parte, la particolarità dell'opera sulla porcellana è l'azione del fuoco per rendere visibili i colori che non erano presenti durante la risalita per capillarità. L'implementazione di questo protocollo è un modo per riprodurre i colori del cielo o quelli di grotte, scogliere, montagne che ho conosciuto durante il mio girovagare nell'adolescenza, quando sognavo di essere una guida alpina. Rosso, rosa, giallo...l'arenaria dei Vosgi, la scogliera calcarea grigia, gialla e blu del Monte Ceüse, o quando passavo attraversavo il rosso delle rocce delle Aiguilles Rouges...»

© Edizioni Archos

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