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Dominique Robin

Dal bando al manifesto

Quando un artista decide di partecipare a un bando pubblico...

"Un bando! Ma che siete matti!" © Zerocalcare, Macerie prime

Il mondo dell'arte ha pochi soldi, ma è pieno di gente animata da tanti desideri diversi: la torta è piccola e gli ospiti numerosi. Un artista, per sopravvivere in questo mondo difficile, ha poche possibilità economiche, perciò spesso cerca di partecipare a qualche bando per realizzare le sue opere. Poco tempo fa ne ho ricevuto uno del Québec. Questo bando è originale, cerca di essere diverso dai soliti concorsi artistici. Incentrato sull'idea della follia, propone di creare le condizioni di una critica artistica del mondo economico, visto come mondo iper reazionario.

Alla fine di questo bando c'erano però le solite richieste: allegare il CV, calendario, lettera di motivazione ecc. Tutti questi documenti sono i perfetti simboli del mondo del lavoro nella nostra società ultraliberale. Ho deciso di scrivere una risposta, una lettera a modo mio. Forse può essere letta come un manifesto sulla condizione dell'artista contemporaneo.

"Je ne me permettrais pas de m'adresser à vous si directement si vous ne l'aviez provoqué par le thème si stimulant de votre appel à candidature (merci pour cela). Ça fait des années que je produis des CV et que je tords mes phrases pour faire semblant d'avoir des projets : http://www.dorobin.com/institutions.html. Mais pour respecter l'esprit et non la lettre de votre appel, je dis simplement "merde" à vos exigences : pas de CV, pas de pdf, pas de projet en 500 mots. "Que peut-il advenir dans un monde où rien ne devrait être bousculé ?" (dixit votre appel). Je me propose donc de vous prendre au mot au risque de vous agacer. Les institutions n'ont généralement aucune imagination quand elles demandent aux artistes de prouver qu’eux, en revanche, ils en ont. Les modes opératoires sont partout les mêmes (CV, lettre de motivation, échéancier etc), ils sont lourds, chronophages, opaques et grosso modo calqués sur le monde économique. In fine, vous reproduisez, les sempiternelles injonctions qui en plus de nous faire perdre du temps sont un carcan relié aux chaînes que vous semblez vouloir dénoncer. L'art par définition est ce qui n'aurait pas dû arriver et de mon point de vue la production d'un "curriculum vitae" est un premier obstacle de taille à cet hypothétique avènement.

En fait, les artistes n'ont pas de "projet", pas de "démarche". Ces mots là d'ailleurs semblent avoir été inventés par les institutions pour transformer l'art en inoffensif évènement culturel. Le travail artistique se fait lors d'un processus qui peut avoir un début mais n'a aucune fin, aucune fonction et ne propose rien pour améliorer la société. Dans le même ordre d'idée, je dirais que l'habituelle question "sur quoi travailles-tu ?" est inepte parce qu'elle revient à exiger de l'artiste qu'il résume son univers en une seule idée reconnaissable immédiatement, comme s'il devait créer "sa "marque de fabrique" ? Sur quoi travaillait Leonardo ? Medardo Rosso ? Cy Twombly ? Pour ma part, j'ai envie de dire que je travaille sur la table de mon atelier quand je ne suis pas dehors, au milieu des arbres. Je vous suggère à l'avenir d'écrire vos appels à candidature en bannissant ces mots d'ordre de votre vocabulaire. Et si enfin on se posait des questions d'artistes et non de directeur d'institution déguisé en chef d'entreprise ?

Voilà je vous ai dit les mots inavouables qui me viennent à l'esprit quand je réponds aux appels à candidature. Merci en tout cas d'avoir permis cette réflexion.


"Non mi permetterei di parlarvi così direttamente se non lo aveste provocato proponendo temi così stimolanti (grazie per quello). Ho prodotto CV e distorto le mie frasi per anni fingendo di avere progetti: dorobin.com/institutions.html. Ma per rispettare lo spirito e non la lettera della vostra chiamata, dico semplicemente "merde" alle vostre ingiunzioni: niente CV, né pdf, né testo di 500 parole. "Cosa può succedere in un mondo in cui nulla dovrebbe essere scosso?" (cito il vostro bando). Quindi lasciate che vi prenda in parola con il rischio di infastidirvi. Le istituzioni generalmente non hanno immaginazione quando chiedono agli artisti di dimostrare che invece ne hanno. I metodi operativi sono gli stessi ovunque (CV, lettera di motivazione, calendario ecc.). Sono pesanti, dispendiosi in termini di tempo, opachi e approssimativamente modellati sul modello economico. In fin dei conti, voi riproducete le eterne ingiunzioni che oltre a farci perdere tempo, sono una camicia di forza legata alle catene che sembrate di voler denunciare. L'arte per definizione è ciò che non avrebbe dovuto accadere, e dal mio punto di vista la produzione di un "curriculum vitae" è un primo grande ostacolo a questo ipotetico avvento.


In effetti, gli artisti non hanno un "progetto", nessun "approccio". Queste parole, inoltre, sembrano essere state inventate dalle istituzioni per trasformare l'arte in una proposta culturale innocua. Il lavoro artistico viene svolto durante un processo che può avere un inizio ma non ha fine, né finalità, non ha nessuna funzione e non offre nulla per migliorare la società. Allo stesso modo, porre l’abituale domanda "a cosa stai lavorando?" è maldestro perché equivale a richiedere all'artista di riassumere il suo universo in un'unica idea immediatamente riconoscibile, come se dovesse creare il suo "marchio di fabbrica". A cosa lavorava Leonardo? Medardo Rosso? Cy Twombly? Da parte mia, mi viene da rispondere che io lavoro al tavolo seduto o in piedi nel mio studio quando non sono fuori, tra gli alberi. In futuro, vi suggerisco di scrivere i vostri bandi di concorso escludendo queste parole d'ordine dal vostro vocabolario. E se finalmente ponessimo domande da artisti e non da direttori istituzionali travestiti da manager aziendali? Ecco, vi ho detto le parole inconfessabili che mi vengono in mente ogni volta che preparo una candidatura per un bando di concorso.

Grazie in ogni caso per avermi permesso questa riflessione.


La mia lettera finisce con una proposta artistica intitolata per l’appunto "Pensieri Secreti", ma temo che la giuria del concorso non mi selezioni. Dopotutto chissà? La "follia" -il tema di questo bando- può permettere tante cose.



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© Edizioni Archos

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