Ecocompatibilità e fenomeno rituale
- Don Roberto Tagliaferri
- 3 giorni fa
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La visione ecologica supera l'idea di un mondo dominato dall'uomo e scopre nel rito un possibile nuovo ordine

La svolta culturale odierna più decisiva è la messa in mora dell’antropocentrismo a favore di una visione ecosostenibile in cui l’uomo è parte di un tutto e non può spadroneggiare a suo piacimento, pena la sua estinzione. La Carta della terra è il documento programmatico più avanzato per ridefinire i Diritti dell’uomo in senso ecologico. La nuova consapevolezza ecologica ha scardinato l’antropocentrismo su almeno due versanti: primo, come atteggiamento epistemologico perché l’uomo non è più la misura delle cose senza le cose; secondo, come mentalità olistica delle interferenze multiple perché ha messo in crisi il riduzionismo della tecnica ai bisogni e all’utile.
L’epistemologia ecologica deriva dall’ipotesi Gaia di J. Lovelock, in cui la Terra intera sarebbe un grande organismo vivente complesso che funziona secondo i princìpi dell’autorganizzazione, come nella pendenza del cumulo di sabbia quando la si fa scivolare dalle mani (J.D. Barrow).
Se l’esempio del mucchio di sabbia si applica a molteplici fenomeni, compresa la mente, si avrebbe un criterio di auto-organizzazione del sistema, che al di là dei fenomeni caotici, manterrebbe in equilibrio la complessità del mondo.
Se l’esempio del mucchio di sabbia si applica a molteplici fenomeni, compresa la mente, si avrebbe un criterio di autorganizzazione del sistema, che al di là dei fenomeni caotici, manterrebbe in equilibrio la complessità del mondo. Così il pensiero scientifico si sta convertendo dalla linearità alla complessità; non si parla più di meccanicismo né di teleologia. H. Atlan scrive: “Ciò che caratterizza l’autorganizzazione è uno stato ottimale che si situa tra i due estremi di un ordine rigido inamovibile, com’è l’ordine del cristallo, e di un rinnovamento incessante e senza alcuna stabilità che evoca il caos e gli anelli di fumo”.
Rivoluzione del modello ecologico
L’interconnessione dei sistemi auto-organizzatori, secondo L. Smolin, sarebbe rivoluzionaria come la teoria dell’evoluzione di Darwin. Il concetto di complessità ha decretato la crisi della visione lineare e teleologica della natura. La stessa organizzazione delle galassie sarebbe interconnessa. In questa visione olistica dove tutto si tiene, anche l’intelligenza fa parte del sistema ed è un modo per auto-organizzarsi attraverso azione e retroazione. “L’intelligenza, sosteneva Piaget, organizza il mondo organizzando sé stessa”.
In questa “epistemologia biologica” mente e natura coincidono; ogni cellula è un sistema cognitivo e adattativo. F. Varela afferma: “La mente e il mondo sorgono insieme”... La conoscenza non ha più soggetti e oggetti separati; il conoscente e il conosciuto si co-appartengono.
In rapida sintesi E. Morin propugnava questa necessaria inversione di prospettiva e scriveva: “Abbiamo bisogno di un pensiero ‘ecologizzato’ che fondandosi sull’idea dell’auto-eco-organizzazione, considera la connessione vitale di ogni essere vivente, umano o sociale con il suo ambiente”. Sul versante delle interferenze multiple l’ecologia ha messo in crisi la tecnica come strumento dell’uomo per dominare la natura. Il termine “ecologia” fu coniato nel 1886 da Ernst Haeckel (1834-1919) e significa “studio dell’ambiente” per una rivalutazione della natura nei suoi equilibri delicati e instabili. L’idea dominante è diventata questa: “O viviamo tutti insieme seguendo le leggi di un progresso ‘sostenibile’ o soccombiamo tutti allo stesso modo”. Oramai è dimostrato che il sistema terra si regola come un organismo vivente: ogni squilibrio inferto al sistema modifica il mondo.
Il modello Daisyworld (il mondo delle margherite) simulato al computer da J. Lovelock ha dimostrato l’autoorganizzazione del sistema, per cui come anelli di retroazione gli influssi ambientali modificano le margherite e la modifica delle margherite corregge il calore dell’ambiente. L’interferenza più clamorosa messa in luce dal pensiero solistico è la connessione tra mente corpo e salute. Oramai sono innumerevoli le ricerche che su questo terreno. La scoperta che le emozioni unificano corpo e mente, ha prodotto la crisi della medicina moderna e ha prodotto una rivoluzione nelle congetture del rapporto tra salute e malattia.
C.B. Pert scrive in un fortunato libro Molecole di emozioni: “In genere nelle mie conferenze dimostro in che modo le molecole dell’emozione regolano ogni sistema del nostro corpo, e come questo sistema di comunicazione sia in effetti una dimostrazione dell’intelligenza dell’unità corpo/mente, un’intelligenza tanto sviluppata da ricercare il benessere e tale da poter garantire in potenza la salute e l’assenza di malattie senza l’intervento medico della tecnologia moderna sulla quale oggi facciamo affidamento”. In tutta questa autoorganizzazione del pianeta qual è la funzione del rito? È un meccanismo mimetico che tende a mantenere l’ordine del mondo, come se ve ne fosse uno definitivo, oppure è innovativo?
Ecologia e rito
Il rito nella versione ecologica è una procedura omeostatica di molteplici aspetti da mantenere in equilibrio. Il principio ordinatore è l’adattamento, che secondo R. Rappaport serve “per designare i processi attraverso cui i sistemi viventi di ogni sorta mantengono sé stessi, o persistono nel confronto delle perturbazioni che si originano nei loro dintorni”. In tale prospettiva è palese un tentativo rassicurante di preservare l’ordine per evitare qualsiasi crisi. Eppure vi sono costi notevoli, che ogni aspetto del sistema deve pagare, compresi gli uomini.
Per esempio quando la popolazione Tsembaga in Nuova Guinea aumenta con la conseguente diminuzione di maiali, deve intervenire un meccanismo rituale violento come “il ciclo rituale del nemico” per ristabilire l’equilibrio. Evidentemente la sovrappopolazione non è l’unico fattore scatenante, tuttavia è incredibile che la stessa guerra sia un meccanismo ecologico e per questo vada regolata ritualmente. Così pure l’aumento dei maiali è regolato dal “kaiko”, “uno strumento rituale per eliminare il surplus parassitario degli animali” (R. Rappaport, Maiali per gli antenati).
Il meccanismo omeostatico del rituale è evidente. Ciò che importa non è la difesa a oltranza della popolazione indipendentemente dai costi ambientali come penseremmo noi. La vita umana è in relazione con l’equilibrio ecologico. Vita e morte si scambiano in un tutto regolato che è implicato nella sua totalità. La vita solo parzialmente è un diritto naturale, individuale e inalienabile. Prima della vita dell’individuo c’è l’equilibrio del sistema. Le stesse emozioni individuali, come pace e odio, sono regolamentate ritualmente in funzione del tutto. “L’adempimento del kaiko, scrive Rappaport, consente alle popolazioni locali di dare nuovamente inizio ad azioni di guerra. Le ostilità invece sono interrotte col rituale della piantagione del rumbim, che impedisce la ripresa della guerra fino a quando lo stato dell’ecosistema locale permette di bandire e di portare a termine un nuovo kaiko”.
Ogni emozione è legata al tutto, come la mente al corpo, ogni valore, anche quello della vita, è relativo all’ecosistema ed è il rito a presiedere culturalmente questa decisiva incombenza. Ovviamente temi discussi e laceranti, come la regolamentazione della popolazione nel mondo, troverebbero una differente soluzione rispetto al rigido antropocentrismo dominante. Sicuramente l’esempio degli Tsembaga ci offre un quadro stimolante per ripensare alla condensazione simbolica del rito che connette molti livelli vitali e per articolare i rapporti tra qualità della vita e quantità della vita. La qualità sembra nell’ordine ecologico dell’equilibrio del sistema, non nell’ordine dell’accrescimento incontrollato dei bisogni individuali sotto la spinta dell’economia senza attenzioni all’ambiente. Il rito da questo punto di vista è un regolatore eccezionale che mantiene gli equilibri ecologici tra natura e cultura, tra ambiente e mondo antropico, tra individuo e società