

Maria Cristina Galli
23 ore fa


Paolo Timossi
5 giorni fa
I Kodama, gli spiriti degli alberi nel film Principessa Mononoke
La visione della Natura nella cultura giapponese si presenta con radicali differenze da quella occidentale, che spesso la vede come madre-matrigna da sottomettere e arginare. L’influsso della religione Shintoista, una forma di politeismo animista, ha sicuramente plasmato il modo di intendere questa forza generata-generatrice e il rapporto tra natura e uomo, così come le particolari condizioni storico geografiche che hanno e ancora interessano l’arcipelago del Sol Levante. Se nella cultura occidentale si tende ad avere un ordine gerarchico, che stratifica per “importanza” tutte le creature, il modello shintoista, che riconosce la presenza di uno spirito - kami - in tutte le cose, è invece orizzontale e restituisce pari importanza e dignità a tutte le cose, che vengono indistintamente dotate di “un’anima”.
A questo fattore culturale si aggiunge quello geopolitico, il Giappone è stato fin dall’antichità abituato a convivere con eventi naturali estremi quali terremoti, tsunami ed eruzioni vulcaniche. Come anche per altre culture, la convivenza con i continui cataclismi, in questo caso incentivata dalla presenza del vulcano attivo del Fuji, ha portato la popolazione giapponese a sviluppare un senso di resilienza e al contempo a considerare gli eventi come divinità, fonti al tempo stesso di terrore, gratitudine e rispetto. Se i disastri naturali, in Occidente, si attribuiscono spesso all’incapacità umana di controllare la natura, in Giappone sta all’uomo sopportare e trovare il modo di rimettersi in armonia con essa e ingraziarsi i kami arrabbiati. I kami giapponesi, quindi anche la natura, non sono né buoni né cattivi, essi hanno in sé un aspetto violento, impetuoso e distruttivo insieme a una componente pacifica e benefica.
Ritratto illustrato di Hayao Miyazaki, opera dell'artista d'animazione Jeff Delgado
Ad esempio il mare è fonte di nutrimento e vita, ma anche di minaccia di distruzione. In questo frame si inserisce il lavoro dello Studio Ghibli, e in particolare di Hayao Miyazaki, capace di tradurre nei propri film di animazione le paure e le speranze nei confronti di un rapporto sempre più difficile tra uomo e natura. L’ecologismo di Miyazachi si somma, nelle sue produzioni, a una evidente tecnofilia che, seppur a volte possa sembrare dissonante, centra il punto sulla questione della continua e utopica ricerca di una convivenza tra uomo, macchine e natura. Quella tra distruzione e ricostruzione è una dualità fondamentale per la cultura giapponese e Miyazaki la pone alla base delle proprie opere. Il risultato è un immaginario del disastro vasto e complesso, le sue storie infatti si svolgono prevalentemente in scenari sconvolti da cataclismi o guerre, ideali per esaminare il comportamento e la psicologia degli umani alle prese con la devastazione naturale, ma anche per infondere quella speranza necessaria e l’ideale che dalla tragedia possa, in fondo, rinascere sempre qualcosa.
Nausicaä della Valle del Vento
Nel film Nausicaä della Valle del Vento, nato in piena Guerra Fredda e ancora prima della fondazione ufficiale dello Studio Ghibli, la protagonista, a differenza di tutti gli altri, non prova paura ad addentrarsi nella foresta del Mar Marcio, una giungla tossica frutto delle devastazioni umane. Nausicaä vi si inoltra per studiarne, con la dedizione di una scienziata, le spore e la tossicità, scoprendo che la foresta non sta avvelenando il terreno ma lo sta bonificando. Gli ultimi umani sopravvissuti, accecati dalla paura, vogliono dare alle fiamme ciò che invece, seppur tossico per l’umanità, sta ripulendo il mondo. Ecco quindi che Nausicaä, conscia dell’esistenza di una convivenza possibile, intesse alleanze tra umani e non-umani per rigenerare l’ecosistema globale e si immola per evitare la distruzione totale e ricordare che non importa quanto grande possa essere il potere della tecnica, il mondo non può esistere senza un sentimento di amore ed empatia nei confronti del non umano.
Un frame del film Il mio vicino Totoro (in giapponese Tonari no Totoro)
Maggiormente permeato della componente spirituale e metafisica, oltre che dalla cultura shintoista, è invece Principessa Mononoke. Nelle foreste incorrotte abbondano kami, modana e yokai, oltre al dio della foresta da cui dipende l’intero equilibrio della biosfera. Accanto alla foresta sorge il villaggio-fucina di Tataraba, che fonda la sua stessa sopravvivenza sulla produzione di armi da fuoco. Per procurarsi il ferro, i suoi abitanti scavano la montagna e distruggono la foresta millenaria, condannando a morte tutti i suoi abitanti. Miyazaki mette qui in scena una vera e propria guerra tra uomo e natura, riprendendo il dibatto tra sfruttamento delle risorse e conservazione del suolo. Dietro a questo conflitto si nasconde il desiderio di potere dell’uomo, che uccidendo il dio della foresta ne vuole acquisire gli arcani poteri.
Da questa morte, però, si innescherà la fine di tutto l’ecosistema, attraverso una melma tossica capace di risucchiare tutto il creato, umanità compresa. La rigenerazione avverrà attraverso un cataclisma e un sacrificio, questa volta della natura stessa, che darà il via alla rigenerazione. La metafora appare quindi evidente: la lotta dell’uomo contro la natura è una lotta contro sé stessi, che porta solo all’autodistruzione. In Ponyo, Miyazaki, attraverso i personaggi protagonisti, evoca antiche leggende del folklore secondo cui un pesce dal volto umano sarà causa di un terribile daikasho - tsunami che sommergerà la terra. Fujimoto, padre della piccola Ponyo, disgustato dal genere umano e dal trattamento che questo riserva alla natura e in particolare al mare, decide di ritirarsi nelle profondità degli abissi per studiare, con le tecniche della scienza e della magia, i misteri del mare, e condurre esperimenti volti alla rigenerazione della vita marina e all’innesco di una nuova era geologica opposta all’Antropocene.
Laputa, la misteriosa isola fluttuante nel cielo
Sarà proprio la figlia, involontariamente, a scatenare la catastrofe: le onde si gonfiano spaventosamente, la marea inonda le strade e il mare regredisce allo stadio devoniano, pullulante di pesci preistorici. L’inondazione tuttavia non distrugge la vita degli umani, ma, pur lavandone via lo sporco, rischia di far collassare il pianeta. Anche in questo caso la coesistenza è possibile in funzione della ricerca di un equilibrio che si basi su un sentimento di empatia nei confronti della natura. L’egemonia umana sulla natura è invece molto evidente in Laputa, la misteriosa isola fluttuante nel cielo che tutti bramano per la sua potenza come arma tecnologica. Dominata da un grande albero, simbolo benevolo della vita, la città diviene metafora della natura più pura che, senza l’influenza dell’uomo, ha ricoperto e inglobato ogni elemento tecnologico. Solo la distruzione di tutta la conoscenza tecnica può in questo caso liberare la natura, permettendo a Laputa, ora solo magnifico giardino, di librarsi in cielo lontano da tutti.
Infine uno sguardo più fanciullesco è quello proposto nel film Il mio Vicino Totoro, dove la foresta è un luogo di pace e serenità, ultimo baluardo all’espansione della città e all’urbanizzazione. Qui Mei e Satsuki incontrano gli spiriti della foresta, che risiedono sotto un enorme albero di canfora, e grazie al loro sguardo innocente riescono a vederne l’influenza sulla gestione dell’ecosistema, sulla crescita delle piante e sull’equilibrio di tutte le cose. Un equilibrio sempre in pericolo è quello che emerge da queste produzioni, che ricordano continuamente quanto sia complesso provare empatia verso l’altro, animato o inanimato che sia. La paura della natura è qui mitigata da un’orizzontalità non gerarchica, che Miyazaki continua a ricordare. Ove l’uomo tenta il predominio, ecco che la natura, né madre né matrigna ma essere dotato di anima, reagisce e solo un sacrificio consapevole e una presa di coscienza possono riportare tutti sullo stesso piano, quali componenti di un ecosistema complesso e spirituale.
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