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Finis terrae?

Salvatore Ligios

Un viaggio fotografico nel mondo marino, che esplora i limiti del mezzo per riflettere su quelli del conoscibile

Mausa, Sardegna 2013 - Photo © Luca Spano

Fin dalle origini l’uomo ha dovuto prendere coscienza che la terra sulla quale camminava era circondata dall’acqua e percepiva ostile la sua alterità.

La storia degli uomini che sono entrati in contatto con il mare ha testimoniato nel tempo lo scontro titanico profuso per cercare di vincere la forza oscura di questa natura altra.

Alle brevi conquiste si sono succeduti drammatici fallimenti in un’altalena continua arrivata sino ai nostri giorni e, nonostante le scoperte scientifiche e le tecnologie più sofisticate, nulla è cambiato, o quasi.

Certo, oggi tutti si va al mare, si circumnavigano le isole in cerca di spiagge esotiche e solitarie ­– nell’intero Mare nostrum se ne contano oltre tremila – si geolocalizza in tempo reale la posizione dei naviganti dal computer di casa, si va in crociera allegramente da un porto all’altro, ma l’acqua del mare resta sempre qualcosa che ci sfugge. Ci attrae e ci terrorizza allo stesso tempo. Lo sanno bene i marinai secondo i quali la prima impressione che se ne riceve è la paura.

Porto Conte, Sardegna 2013 - Photo © Luca Spano

Le disavventure di Ulisse raccontate da Omero, per citare uno tra i tanti episodi diventati mito, sono la rappresentazione degli incubi che hanno accompagnato gli avventurieri di ieri e di oggi, i quali hanno cercato e ancora riprovano ad andare au fond de l’Inconnu pour trouver du nouveau, come scrisse efficacemente Baudelaire nella poesia Il viaggio.

E anche se oggi c’è poco o nulla da scoprire nell’alveo che ha fatto da culla alla civiltà dei popoli vissuti nelle terre bagnate dal Mediterraneo, l’uomo continua a interrogarsi, mette da parte il certo e sceglie l’incerto, seguendo l’istinto “nel navigare all’infinito”.

Il lavoro fotografico di Luca Spano si muove su questo solco: abbandonare il terreno già battuto per andare verso l’Inconnu nella convinzione che esplorare spazi “ostili” possa, forse, appagare la voglia di infinito che ogni uomo si porta dentro fin dalla nascita.


Per questo decide di scattare fotografie sott’acqua, con la tecnica della sola apnea; il suo lavoro ha per titolo Blood shift. Guardando le immagini, la prima impressione è una visione claustrofobica: è come entrare in un luogo sconosciuto dove non si vedono confini, quasi ostile. Ma con il passare del tempo si mette da parte la paura e l’occhio va in esplorazione.

La composizione rimane dentro i canoni della rappresentazione storica che l’arte nelle varie epoche ha espresso, meticciando e mescolando linguaggi e strategie estetiche prese in prestito dalla pittura, dal cinema, dall’arte contemporanea e dalla stessa fotografia.

A tratti si respirano le atmosfere dei paesaggi onirici di C.D Friedrich, sembra di assistere ai silenzi religiosi e angoscianti di Solaris e Stalker del regista A. Tarkovskij, in altri scatti l’horror vacui rimanda ai liquidi di mortale trasparenza delle vetrine dell’artista Damien Hirst o innesca forme di repulsione come alla vista della brodaglia torbida cara al fotografo Andres Serrano. Il fotografo precisa: “Il lavoro esplora il paesaggio sottomarino della mia terra nativa, la Sardegna, usando i confini creati dalla scarsa visibilità nelle acque profonde, come riflessione sul concetto di rappresentazione fotografica. La ricerca visuale si indirizza verso le distese marine, custodi di immagini nascoste ai nostri occhi, di cui il medium fotografico non riesce a restituire contorni nitidi, lasciando spazio per l'incertezza del vuoto.

Cala Cortoe, Sardegna - Photo © Luca Spano

Sotto la superficie dell'acqua, in questo ambiente indefinito privo di coordinate, la percezione dell'infinito diventa il soggetto prncipale, una sorta di pieno/vuoto che circonda il fotografo e l'atto di fotografare… La rappresentazione fotografica perde la sua presunta veridicità, lasciando spazio per qualcosa di presumibile, ma che non possiamo possedere. Il progetto si focalizza su questo spazio incerto dove il vuoto lasciato dall'incapacità fotografica di ritrarre accresce la fluidità del significato, lasciando ampio spazio all'interpretazione soggettiva.

Articolo pubblicato su ArtApp 13 | IL MEDITERRANEO


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