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Grazie Carlo 

Marco Balliani ricorda l'amico Carlo Formigoni, regista teatrale, deceduto recentemente



È raro incontrare Maestri e Maestre nella vita e quando accade il dono che se ne riceve è incommensurabile. I maestri posseggono la maestria, sanno trasmettere il loro sapere, o meglio l’esperienza di vita che quel sapere ha forgiato in loro e lo trasmettono sempre nel fare, nella concretezza dell’agire, nell’esempio che sottende i loro gesti.


I maestri sono all’opposto dei guru, non vogliono formare sette, non ambiscono a essere considerati unici, non vogliono fare proseliti. Sanno come Socrate di non sapere mai abbastanza, in modo da restare perennemente curiosi nell’incontro con l’allievo. Se l’allievo è bravo, cioè se sa sentire che nell’incontro sta accadendo qualcosa di eccezionale, starà a lui rubare dal maestro frammenti di quel sapere, intuizioni, riflessioni da impastare poi nella propria esistenza. La maestria non ha a che fare con un contenuto preciso, può venire nell’incontro con un muratore, un professore, un contadino: ciò che conta è che quel particolare contenuto veicola una visione del mondo che ha a che fare con la vita, molto al di là della materia su cui si fonda.


Carlo Formigoni possedeva e trasmetteva la maestria del teatro in una forma apparentemente così semplice che ti sembrava di averla conosciuta da sempre. Eppure in quegli esercizi, in quegli allenamenti col corpo, in quel mettere e mettersi sempre in gioco in forme ludiche c’era l’essenza profonda di come abitare il teatro. Quando a Vieste, molto tempo fa, io e Maria Maglietta lo incontrammo, era il nostro primo vero stage di formazione, lì con la semplicità del gioco che solo i grandi Maestri sanno mettere in atto, fummo introdotti ai misteri della creazione corale, a quel fermento di idee che nasce quando chi conduce sa dove dirigere le anime.


Lì imparammo anche il senso profondo della disciplina, una disciplina al servizio di una passione però, non fine a se stessa, ma necessaria per non perdere la bussola del proprio impegno. Uscimmo da quel seminario con la certezza che di lì in poi avremmo tentato a tutti i costi di fare teatro, nonostante tutte le difficoltà, ed è stato così, con intatta passione. La stessa che ci guida ancora oggi e che fu lui a instillare in noi.


Carlo era schivo, sempre, anche nei nostri ringraziamenti nei suoi confronti, come se ci fosse sempre un pudore che preservava il sapere da lui posseduto. Se ne è andato così, consapevole di essere giunto al suo ultimo giro di boa, lasciando l’involucro di una sedia in riva al mare, un paio di scarpe, una poesia come estremo saluto.

Grazie Carlo.


© Edizioni Archos

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