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I colori dell'architettura

Bruno Taut, figura antesignana dell’architettura, ha fornito uno dei tentativi più appassionati di sdoganamento architettonico del colore

Hufeisensiedlung, Berlino

Spesso l’architettura si manifesta materica, nuda e cruda, come se non dovesse esserci spazio per il colore, elemento che, soprattutto in passato, stenta ad essere incluso nel pensiero progettuale. Se ci fermassimo a ragionare un istante sull’essenza perlomeno materiale delle cose, ci accorgeremmo che l’attributo con cui molte volte definiamo, qualifichiamo ed identifichiamo la realtà che ci circonda è il colore, elemento di sintesi, astrazione e semplificazione di tutto ciò che la anima. Negli ultimi anni sono stati compiuti dei passi propositivi che hanno portato ad una architettura contemporanea dove il colore è un’opzione non più marginale; uno dei tentativi più appassionati di sdoganamento del colore si deve al tedesco Bruno Taut (Königsberg 1880 - İstanbul 1938), figura antesignana dell’architettura dibattuta e costruita, che nella primissima metà del secolo scorso ha fornito un contributo segnante sotto vari aspetti.


Viene ricordato in particolare per la realizzazione del padiglione dell’industria vetraria, il Glashaus, realizzato nel 1914 in occasione dell’Esposizione del Deutscher Werkbund di Colonia; inoltre fondamentale è stato il suo ruolo da promotore della Gläserne Kette o Catena di Vetro, che può essere definita come un fertile scambio epistolare tra Taut ed importanti personalità dell’epoca; non meno rilevanti furono le sue pubblicazioni, prima fra tutte le Alpine Architektur, un ciclo di disegni utopici su un’architettura alpina e la sua relazione con la natura. Uno dei più affascinanti aspetti dell’operato di Bruno Taut riguarda l’uso del colore, di cui riscattò la centralità in quanto elemento architettonico degno di essere incluso nell’insieme dei modelli compositivi. A tal proposito, per analizzare le possibilità e le potenzialità di una progettazione che includa il colore nel processo di finitura, si possono prendere a campione due suoi progetti coevi, ma diversi per tipologia edilizia, scala e contesto.



Hufeisensiedlung, Berlino


Il primo è la Großsiedlung Britz (1925-31), un intervento di 1480 alloggi nella periferia sud-est di Berlino, nel distretto di Neukölln, commissionata dalla cooperativa edilizia Gehag e realizzata in collaborazione con Martin Wagner; l’estensione della lottizzazione e la proporzione notevole del complesso residenziale pose gli architetti dinanzi a varie sfide; nell’economia del discorso, l’impiego del colore fu funzionale a smorzare l’effetto alienante derivante dalla ripetitività delle unità abitative. Bruno Taut e Martin Wagner, tramite diversi accorgimenti progettuali, sono riusciti ad umanizzare un’intervento di grande scala, giocando con le percezioni, sia sul piano visivo che psicologico, del complesso al variare di luce e distanza e offrendo una ricchezza di gamma cromatica decorativa, così affine all’invito formulato decenni dopo da Bruno Munari per progettare i viali urbani con una maggiore sensibilità. Munari, che è stato uno dei massimi protagonisti del design e delle arti visive del XX secolo, si è interrogato sul motivo che alimentava il movimento centrifugo dalle città verso territori rurali: la risposta era in un vizio di forma del disegno urbano che, a causa di una visuale monotona e ripetitiva, generava nel cittadino inquietudine e noia.


Il secondo progetto di Taut preso in analisi è quello della sua residenza a Berlino-Dahlewitz (1926), uno spicchio spaziale in cui racchiuse la sua peculiare idea di abitare. Già dall’esterno la casa presenta una dicotomia di tinte bianco-nera, per sottolineare il ruolo progettuale del colore quale protagonista indiscusso che assolve la funzione di sistema solare passivo: ad oriente un fronte nero e curvo funge da accumulatore di energia termica, mentre le due facciate bianche che puntano all’occidente riflettono la calda luce pomeridiana. Questa soluzione pone l’edificio in evidente contrasto con ciò che verrà realizzato l’anno seguente per l’esposizione di abitazioni promossa dal Deutscher Werkbund, in occasione della quale, un collettivo di architetti, capitanato da Ludwig Mies Van Der Rohe, progetterà un intero quartiere sperimentale conosciuto col nome di Weisshenhof (Weißenhof-siedlung) di Stoccarda, dove il bianco (in tedesco weiß) si imporrà come nuance prevalente, adatto al purismo programmatico dell’iniziativa.


Weißenhofsiedlung, Stoccarda


Fra i progettisti figureranno anche Le Corbusier, Walter Gropius, Peter Behrens e persino Bruno Taut, che non a caso fu l’unico a distaccarsi dal leitmotiv cromatico. Tornando all’abitazione a Berlino Dahlewitz, all’interno ogni elemento si accende di una cromia differente, in base a posizione e funzione: ad esempio il soggiorno presenta pareti e soffitto rossi in modo da creare un’atmosfera calda di accogliente, rafforzata dalla luce filtrante da occidente; pareti e soffitto blu caratterizzano invece una delle stanze da letto, donando all’ambiente toni rasserenanti propri di questo colore; persino i corpi radianti presentano tinte sature, anticipando la rivincita impiantistica High-Tech.


Nell’attingere alla tavolozza di colori, l'architetto tedesco non trascura i suoi impulsi poetici; nel dipingere di un neutro grigio sabbia una superficie di una stanza affacciata sul giardino non fa altro che accendere la natura circostante. Bruno Taut si è servito del colores senza pregiudizio come strumento funzionale alla risoluzione di aspetti fondamentali della progettazione architettonica, come quello ambientale, psicologico, decorativo e sociale; nel farlo ha solcato diverse strade, variando l’utilizzo del colore di volta in volta e dimostrandone la flessibilità e le potenzialità.



© Edizioni Archos

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