I Kanji sono la sola arte astratta in cui forma e contenuto si uniscono e si completano a vicenda: ogni ideogramma ha un significato ben definito, I Kanji sono la sola arte astratta in cui forma e contenuto si uniscono e si completano a vicenda: ogni ideogramma ha un significato ben definito, un suono inequivocabile, una storia
La scrittura per ideogrammi, i kanji, è formata da un sistema di segni che servono a definire spazi e a comunicare concetti. Poiché i segni hanno significato, colpiscono l’occhio che li decifra con amore e curiosità. Si stabilisce così una profnda relazione fra gli occhi e quei segni che si imprimono saldamente nell’inconscio. Poi l’inconscio, saturo di segni, detta necessità estetiche alle mani, e quei segni riappaiono nella vita di ogni giorno: nelle curve eleganti degli stadi di Kenzo Tange a Yoyogi, nelle armonie dorate, nella sabbia di Ginkakuji a Kyoto, nei percorsi disegnati nel giardino della villa di Katsura, nella preziosa stoffa di un kimono o in una preghiera di carta immacolata che manda il suo messaggio nel vento C’è un continuo fluire dai segni agli occhi, dagli occhi ai segni e dagli occhi al mondo. Così i segni riflettono il sapore di un’epoca, di una cultura, di una civiltà.
Nati in Cina nel IV secolo d.C. oggi gli ideogrammi sono espressioni straordinarie di bellezza astratta. Sono organismi di linee, di spazi, di pieni e di vuoti, di rapporti visibili ed invisibili la cui somma totale di equilibri è opera di generazioni di artisti. Ogni tratto di pennello ha raggiunto nell’insieme una perfetta funzionalità estetica. È un grafico tridimensionale di gesti possibili e ripetuti, un nobile ed elegante residuo di tempo astronomico e di movimenti infiniti. Quintessenze di sforzi di slanci che si perdono nella storia. Gli ideogrammi, in quanto opere d’arte, devono manifestare movimento. Non sono mai statici come i nostri caratteri che vanno a morire sulla carta. I maestri cinesi e giapponesi ci ricordano che l’ideogramma pienamente riuscito deve vivere, vibrare, “essere un’avventura di movimenti”. Ogni kanji è contenuto in un quadrato immaginario.
Raramente i tratti sono simmetrici: nella asimmetria, che per definizione è dinamica, sta già un seme iniziale e necessario di vita. Nel tracciare un ideogramma, una frase, una pagina, non è assolutamente ammesso il pentimento, il ritorno del pennello su quanto è già nato. La correzione è impossibile, per la semplice e profonda ragione che, sotto l’aspetto dinamico, la scrittura rappresenta l’ideogramma continuo di una danza. Danza della mano, danza del braccio, danza delle dita, danza simbolica e microscopica che trascina però il corpo e lo spirito, che fa l’uomo partecipe del fluire della vita del cosmo che non ha mai sosta. Infine questa danza parla non solo all’intuito, con le sue qualità d’eleganza, forza, sensibilità, ma è un preciso linguaggio per l’intelletto. [...]
Photo © Paolo Riani
Il rapporto fra la forma e il suo significato non è affidato agli elementi realistici di un’immagine. L’immagine emerge piuttosto come un messaggio segreto di linee e di ritmi. Per raggiungere la vera libertà in quest’arte, perché essa diventi strumento di espressione intima e personale, occorrono anni di addestramento e di lavoro. Il risultato però si inserisce tra le grandi conquiste estetiche dell’avventura umana. Scritte chiaramente in quattro kanji sono le sillabe sha-ka-mon-butsu (la traduzione letterale del nome di Sakami Buddha). È un piccolo esempio, ma è scritto con grande vigore in uno stile (quello detto dell’erba) nel quale sono permesse grandi libertà nella struttura di base dei caratteri. La firma a lato è Obaku Ingen e appartiene a un monaco cinese che arrivò in Giappone nel 1655. Dopo aver tracciato il segno di sha, il primo carattere, il monaco immerge il pennello nell’inchiostro e con un tratto solo brillante ed ininterrotto traccia il resto del ka. Poi completa il carattere con due pennellate, nell’ultima delle quali l’inchiostro è quasi asciutto e lascia un effetto speciale. Infine aggiunge gli ultimi due caratteri, mon e bustsu con lo stesso tratto forte, sicuro ed elegante del primo sha. [...]
Estratto dall'articolo pubblicato su ArtApp 20| IL SEGNO
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