Il nemico che non c’è. Leggendo “Guerra e pace”
- Franco Avicolli

- 1 ott
- Tempo di lettura: 5 min
Il grande libro di Lev Tolstoj è un’opera che porta respiro al nostro tempo di affanno e di paure. Essa, è come una immensa foresta che pompa ossigeno salutare in un’atmosfera avvelenata e lo fa nel modo efficace della narrativa: dando forma scritta al farsi della vita

“Il 12 giugno 1812 le forze dell’Europa occidentale, varcarono le frontiere della Russia e cominciò la guerra, cioè si compì un fatto contrario alla ragione umana e a tutta la natura umana”. Giunto a metà di Guerra e pace, Lev Tolstoj usa queste parole per fissare una cesura tra la guerra e “la vera vita degli uomini coi suoi essenziali interessi, come la salute, la malattia, il lavoro, il riposo, con gli interessi del pensiero, della scienza della poesia, della musica, dell’amore, dell’amicizia, dell’odio, delle passioni”. Il romanzo ha già una struttura solida, la maggioranza dei circa seicento personaggi è già apparsa sulla scena nel modo tolstojano molto attento al dettaglio che contraddistingue la ricchezza e la varietà dell’umano.
Circa gli eserciti e i loro comandanti, lo scrittore ritiene che essi siano “involontari strumenti della storia”, protagonisti inconsapevoli di “un lavoro ignoto ad essi, ma comprensibile a noi,” ai posteri. “Nella battaglia di Borodinò”, Kutuzov e Napoleone, secondo Tolstoj “agirono passivamente e assurdamente…; non uno degli ordini da lui, Napoleone, impartiti poté essere eseguito.” Andrej Bolkonskij e Pierre Bezuchov, ai quali è nota la dinamica incontrollabile della guerra, rilevano che questa non ubbidisce a qualche principio di giustizia e che la vittoria di una parte comporta l’annientamento dell’altra: “la guerra non è un’amabilità, convengono, ma la cosa più brutta della vita. /…/ Lo scopo della guerra è la strage, strumenti della guerra sono lo spionaggio, il tradimento e l’istigazione a tradire, la spoliazione degli abitanti, il saccheggio e il furto…l’inganno e la menzogna, detti astuzie di guerra.” La guerra non è semplicemente il contrario della pace, è cultura, concezione e modo di operare.
Scritta tra il 1865 e il 1869, Guerra e pace narra di avvenimenti accaduti tra il 1805 e il 1815 incentrati sull’invasione napoleonica della Russia. Con la vittoria sull’esercito francese e il Congresso di Vienna, la Russia può finalmente dare corpo alla sua anima europea. Si tratta di un fatto complesso al quale partecipano in modo decisivo la letteratura e l’intelligencija, la narrazione e la riflessione, perché è proprio la loro azione a dare un profilo intelligibile alla coscienza nazionale storicamente oscillante fra slavofilismo e occidentalismo.
Ad aprire tale percorso chiarificatore, è Aleksandr Puškin, considerato, a ragione, il fondatore della letteratura russa. Egli scrive il poema in versi Evgenij Onegin (1825) con cui la lingua russa conquista dignità letteraria. Ne rileva il senso e l’importanza il pensatore Vissarion Grigor'evič Belinskij che tesse il collegamento tra le opere di scrittori contemporanei come Nikolaj V. Gogol' - autore di L’ispettore generale, Il cappotto, Le anime morte - e la realtà del paese. Un grande contributo alla costruzione di un pensiero liberale verrà dal giornale Sovremennik e dal suo fondatore Nikolaj A. Nekrasov.
Sul suo giornale scrivono le penne più brillanti del paese come Saltykov-Ščedrin, Nikolaj A. Dobroljubov, autore dell’illuminante saggio Che cos’è l’oblomovismo, che offre un quadro della società russa costruito sulla figura di Oblomov, personaggio dell’omonimo romanzo di Ivan Gončarov; Nikolaj G. Černyševskij, autore del romanzo Che fare? e mente essenziale del pensiero populista, Aleksandr I. Gercen, fondatore del giornale Kolokol. Questo gruppo di personaggi e di scrittori come Fedor Dostoevskij, Ivan Turgenev e altri daranno linfa al dibattito molto vivace che si sviluppa in concomitanza con l’abolizione della servitù della gleba nel 1861. Guerra e pace fiorisce in questo contesto culturalmente impregnato delle problematiche storiche della Russia e partecipa alla formazione del senso marcatamente umanistico e escatologico della letteratura russa, cui concorre Anton P. Čechov con le sue ariose visioni della natura e del suo popolo.
Guerra e pace è un’opera che porta respiro al nostro tempo di affanno e di paure. Essa, è come una immensa foresta che pompa ossigeno salutare in un’atmosfera avvelenata e lo fa nel modo efficace della narrativa: dando forma scritta al farsi della vita. Il romanzo possiede lo speciale pregio di rendere visibile la visione, sa addentrarsi nei recessi dell’animo dei suoi personaggi, ne costruisce i profili, popola l’accadere dei flussi emozionali umani, ne tratteggia la variabilità. Tolstoj si muove nella dimensione del vivere con la convinzione che “tutto accade per caso”, in uno spazio dove l’uomo appare come un Prometeo dimezzato in un incessante andare tra progetto e finalità, in quel cammino in cui, a suo parere, si realizza “la vera vita degli uomini”. I quali sono figure storiche e creazioni della sua penna che interagiscono in un contesto dove i loro destini si incrociano.
Essi hanno il volto delle ambizioni e sono mossi da molteplici sentimenti, da incertezze e supponenze e se Napoleone o lo zar Alessandro hanno la presunzione di essere artefici della storia, Andrej Bolkonskij, Pierre Bezuchov e Natasa Rostova, le figure principali del romanzo, sono coloro che danno carne e sangue all’esistenza con la loro fragilità umana, con la vita che dialoga e diventa corpo con le molteplici domande del giorno, in corrispondenza di istinti, paure, di regole della convivenza non scritte, di vincoli familiari che orientano fra innumerevoli pulsioni, in un mondo dove la guerra è un’intrusa, è il simulacro crudele di un nemico che non c’è.
La stessa morte di Andrej Bolkonskij, del generale Kutuzov e di altri personaggi appaiono, così, in un loro ruolo naturale che rende giustizia di una vita in cui il femminile e il maschile con l’accadere, rispondono ad un percorso sensibile e casuale, in un contesto in cui si incontra “l’infinita diversità delle menti umane, la quale fa sì che una verità non si presenti nello stesso modo a due persone.” Sono i passaggi con cui la penna di Tolstoj offre il volto e i contorni di una dimensione aperta, molteplice e complessa nella quale la guerra non trova posto per piccolezza, per una sua inconsistenza ben chiara ai posteri che perciò la riterranno irrazionale. Nel mondo che disegna Tolstoj c’è il protagonismo della variabilità dinamica ispirata dall’amore, Guerra e pace esprime la forza della scrittura che dà vita e visione all’esistere.
Perciò sarebbe limitante collocarla tra i romanzi storici. L’opera è vita di un mondo dove la guerra non è schematico opposto della pace, ma la dimensione in cui il nemico è un parto “contrario alla ragione umana e a tutta la natura umana”, come narrano le vicende di Andrej, di Natasa, di Pierre e dei molti personaggi che scelgono di dare corpo alla vita, come suggerisce anche la natura. L’opera si muove nel mare magnum dell’accadere in cui la guerra appare nella pochezza dell’atto di forza, è un buco nero dove la vita scompare. Ed è la grande opera della narrativa, della fondamentale ed evidente necessità che la letteratura, il pensiero, l’arte siano parte attiva e propositiva della costruzione della convivenza.
Un giovane studente chiese al regista argentino Fernando Birri di definire l’utopia ed egli lo portò a guardarsi sull’orizzonte della pampa fisso e immobile e sempre lontano malgrado lo sforzo per raggiungerlo. “Ma allora, chiese il giovane, a che cosa serve? A questo, rispose, il regista, a camminare”. Si narra e si cammina per esistere, per sé stessi, per la comunità e perché il mondo lo sappia. Tra il Congresso di Vienna e l’abolizione della servitù della gleba, in Russia si narrò e si camminò con il protagonismo della narrativa, della letteratura, romanzo, racconto e analisi, lungo un tracciato che tracciò la parola. La lingua – ed è bene prenderne coscienza in tempi di IA - ha il ruolo speciale di trasferire alla narrazione qualità che si fanno convinzione, sicurezza di poterlo fare, appartenenza ad una società che costruisce, così, la qualità per sapere che può farlo avendo gli strumenti adeguati. Guerra e Pace appartiene a questo percorso che dà corpo alla vita nella complessità di un esistere che con la guerra non sarà mai tale.


































