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L'oblio e il dubbio

Come è possibile che nella cucina tradizionale del Piemonte, che non si affaccia sul mare nemmeno per sbaglio, ci siano così tanti piatti a base di acciughe?



L'oblio e il dubbio. Ciò che non si conosce, si può dimenticare. Ma questa storia no. Come è possibile che nella cucina tradizionale del Piemonte, che non si affaccia sul mare nemmeno per sbaglio, ci siano così tanti piatti a base di acciughe, come la bagna cauda, patrimonio Unesco, e il bagnet verd? Ecco il dubbio. Chi conosce la professione predominante nell'Ottocento degli abitanti di Moschiéres, piccola borgata di Dronero, nella Valle Maira in provincia di Cuneo? Ecco l'oblio. L'Alta Via del Sale percorre suggestivi boschi e crinali tra le montagne piemontesi sino al mare ligure e provenzale. Lungo questa strada bianca, irta e difficile, dal mare fino a ombrosi paesini vicino agli alpeggi, risalivano gli "sfrozadori", disobbedienti e resistenti mercanti, definiti anche contrabbandieri. L'arte della salagione e la conservazione di cibo sotto sale ha radici antichissime e funziona grazie alla proprietà ipertonica del sale: la capacità di sottrarre al cibo l'acqua, ambiente in cui proliferano i batteri, è un fenomeno chimico chiamato osmosi.


L'osmosi in cucina è utilizzata specialmente nelle fermentazioni, durante le quali la crescita di microorganismi e batteri cattivi viene inibita e si creano batteri benefici, i lactobacilli, capaci di conferire ai sapori dei cibi fermentati punte di acidità e piccantezza naturali e inimitabili. Per quanto riguarda la conservazione, le tracce dell'uso del sale a questo scopo si perdono nell'origine del mondo e lo consacra in tutte le culture come magico, prezioso e insostituibile: dai sublimi prosciutti italiani o spagnoli, passando alle uova dei cent'anni cinesi, senza tralasciare i kimchi coreani, la bottarga, i capperi e le olive della zona mediterranea, i limoni confit del Nord Africa, le carni essiccate del Nord Europa. C'è in particolare un cibo il cui viaggio nella storia e tra le culture è intimamente legato al sale. L'acciuga.


L'Antica via del Sale, la strada bianca che collega le Alpi Piemontesi e Francesi al Mar Ligure


Il Piemonte non ha sbocchi al mare, ma il regno dei Savoia da Savona a Nizza lo ha sempre avuto. La teoria più accreditata in merito all’introduzione del consumo di acciughe in Piemonte afferma che furono i contrabbandieri a portarle: il fiorente commercio clandestino di sale richiedeva un colpo da maestro degno di un prestigiatore. Le acciughe nascondevano il sale, una volta superati i controlli, le dogane, i dazi, le acciughe venivano lasciate agli abitanti delle montagne, in cambio di ospitalità perché avevano un valore decisamente inferiore rispetto al sale. Tradizionalmente le acciughe, anciùe, andrebbero pescate nelle notti senza luna con il metodo della lampara; le “Acciughe sotto sale del Mar Ligure” sono l'unico prodotto ittico riconosciuto dalla certificazione IGP con tanto di disciplinare dal 2008, nonostante siano secoli che i liguri lavorano questo prodotto.

"Chi furono i primi contrabbandieri che nascosero il sale sotto le acciughe. Quelli che volevano ingannare i gabellieri di Genova prima, di Savoia dopo. (...) E dunque se quel trucco fu messo in atto non servì a far volare l'acciuga oltre i monti né ad aprire vie del sale." Così Nico Orengo ne "Il salto dell'acciuga" del '97, testo prezioso sul tema e brillante testimonianza dell'uso della lingua italiana per ricreare atmosfere e profumi, racconta come furono i Saraceni, gli arabi che nel Medioevo invasero i Paesi affacciati sul Mediterraneo, a risalire dal mare alle montagne per cercare la pace, per difendersi dalle invasioni degli Aleramici, dopo aver messo a ferro e fuoco il territorio alla ricerca di ricchezze e bottini. "Comunque andò, ciò che rimase fu la nostalgia del mare. Furono loro a portare le acciughe fra le montagne e in pianura? Furono loro a tornare indietro, ogni anno, per riprenderle?" Davvero un atto romantico, quasi onirico: immaginate grandi e feroci guerrieri arabi che appendono le scimitarre alle porte delle case di pietra espropriate, tra i boschi di castagni e cirmoli, tra cinghiali e caprioli, per occuparsi di pastorizia e agricoltura e, una volta all'anno, scendono i sentieri verso il mare per riportare a casa un po' del sapore delle proprie origini, le acciughe.


Dronero (CN) Ponte del Diavolo | Foto di Ale Zena


È un'ipotesi. Ma tra le ipotesi la più esaltante, perché ha il gusto della nostalgia e del movimento proattivo per conservare un ricordo, che nei secoli si trasforma in tradizione. Ma torniamo a Dronero, comune di 7.000 anime a 600 m. sul livello del mare all'imbocco di una delle valli occitane piemontesi: ogni anno ospita la Fiera degli Acciugai, ci sono numerosi luoghi che celebrano questo antico mestiere itinerante e, nonostante tutto, su numerosi libri e ricerche in merito nessuno sa l'origine di questa professione in quel territorio. Nel suo VI volume del “Dizionario geografico, storico, statistico, commerciale degli stati di S. M. il Re di Sardegna” del 1833, lo storico Goffredo Casalis nelle pagine dedicate a Dronero scrive “…gli abitanti della borgata montuosa di Moschiéres si danno esclusivamente al traffico speciale delle acciughe, cui vanno a comperare nei paesi della riviera ligustica, e rivendono poi in tutti i paesi del Piemonte ed anche in alcuni della Lombardia.”


Moschiéres oggi è un borgo completamente disabitato, ma si racconta che da lì nell'Ottocento partivano gli acciugai, nipoti di quei Saraceni che mille anni prima si erano stabiliti lì. In questa valle lavoravano anche i bottai, i costruttori di botti di legno, i costruttori di carretti e i fabbri. Alcuni raccontano che il commercio di acciughe avrebbe avuto origine da occupazioni preesistenti: un bottaio locale, di ritorno da un lavoro in Liguria portò un paio di botti piene di acciughe, rivendendole lungo la strada e rendendosi conto che quel tipo di commercio sarebbe stato redditizio. Altri, invece, raccontano che questa professione nacque grazie a un contadino di Celle Macra che, trovandosi a Genova, acquistò un barilotto di acciughe che riuscì a vendere con facilità, ottenendo un buon guadagno. La notizia si diffuse in Valle Maira e il commercio delle acciughe divenne caratteristico solo nella parte iniziale della vallata e in una zona limitata posta sulla destra orografica del fiume Maira: Celle Macra, Macra, Paglieres, Albaretto, Lottulo e le frazioni più alte di Dronero, Moschieres e Santa Margherita, oltre a San Michele di Prazzo e Roata Prato.


Gli Anciué, immagine tratta dalle relazione al seminario "Mestieri e Migrazioni" Torino, 2009


La verità è che in questo luogo il commercio delle acciughe ha raggiunto il suo più alto livello di specializzazione, perché e con quale origine non è chiaro, ma rimane affascinante. Gli anciué partivano a settembre, appena terminati i lavori agricoli, giravano tutto il nord Italia durante l'inverno e tornavano a casa appena si poteva ricominciare a lavorare nei campi. Scendevano a piedi da Dronero, prendevano il treno fino al luogo di destinazione: gli abitanti di Macra e Celle Macra erano soliti dirigersi verso il milanese; quelli di Paglieres, Soglio e Celle Macra verso Torino; quelli di Santa Margherita verso l’astigiano. Pare che qualcuno dalla Valle si recasse talvolta anche in Francia e qualcuno anche in Emilia Romagna.


Gli acciugai (anchoiers in occitano) della Valle Maira


Inverni in pianura a vivere per strada, con il panciotto pieno di soldi e un sacco per dormire, trascinando il carretto e passando di casa in casa urlando "Acciugheeee": un mestiere in proprio, considerato certamente redditizio. Dopo l’ultima Guerra Mondiale, questo mestiere si è trasformato, il venditore ambulante, itinerante e resistente dell'inizio '800 diventa commerciante sedentario di vari generi alimentari nei mercati urbani, il carretto viene sostituito dagli autocarri. Oggi è estinta la pratica originale di povera gente, legata a condizioni di grande miseria, sofferenze, sacrifici e grandi soddisfazioni, ma anche di tradizione e solidarietà. La poesia oggi viene sostituita dalla facilità.


© Edizioni Archos

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