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L’Angolo Olandese

L'utilizzo di questa particolare tecnica di ripresa cinematografica sancisce la nascita del cinema soggettivo e sperimentale

"Mission, Impossible", 1996

I movimenti della macchina da presa sono fondamentali per trasmettere sensazioni ed emozioni allo spettatore. Una delle tecniche più affascinanti è senza dubbio quella dell’angolo olandese che consiste in un’anomala inclinazione della ripresa (in genere di 45 gradi, ma può essere anche più estrema) per ottenere un effetto drammatico utilizzato per ritrarre disorientamento, follia o disagio.


"Bastardi senza gloria", 2009


Il nome

Il nome “Dutch angle” deriva da una confusione degli americani tra le parole "deutsch" (tedesco, in lingua germanica) e “dutch” (olandese, in lingua inglese) e così, questa tecnica tipica dell’arte visiva tedesca, è diventata olandese! Un po’ come le patatine fritte, tipiche del Belgio, ma essendo gli immigrati belgi francofoni, sono diventate "french fries"! Per i francesi si chiama plan débullé (piano fuori bolla), ma un altro nome noto in tutto il mondo è “Batman angle”, a causa del suo largo utilizzo nel telefilm anni ‘60 dedicato al supereroe della DC Comics.


"Batman", 1966


La tecnica

Un angolo olandese è uno scatto in cui la camera viene ruotata rispetto all'orizzonte o alle linee verticali della inquadratura. Il risultato è quello di provocare un senso di disagio o di disorientamento nello spettatore. Il concetto alla base dell’angolo olandese sta nello studio delle belle arti, dove le composizioni che seguono linee orizzontali e verticali sono di più semplice assimilazione per l’occhio dello spettatore, mentre quelle che seguono linee diagonali trasmettono movimento e richiedono, quindi un maggiore sforzo di assimilazione. Si tratta spesso di inquadrature statiche, ma è anche possibile che in uno scatto angolare olandese vi sia del movimento dove la camera ruota o si sposta lungo l'asse diagonale della scena (piano sequenza).


"The Millionaire", 2008


Le origini

Durante la prima guerra mondiale l'importazione e l'esportazione di film dalla Germania erano vietate. Questa mancanza di contaminazione permise al cinema tedesco di svilupparsi in maniera completamente indipendente dal resto del mondo. Così, mentre a Hollywood imperversava una narrazione a lieto fine, autocelebrativa del sogno americano (con grandi capolavori come “Il cantante di jazz” di Alan Crosland del 1927 o “Perché cambiate moglie?” di Cecil B. De Mille del 1920), l'industria cinematografica tedesca cercava di digerire la follia della guerra mondiale dando la nascita a quello che conosciamo come il cinema espressionista. I film espressionisti si incentravano su temi forti quali psicosi, tradimento, suicidio e paura, rappresentandoli attraverso scenografie, costumi e inquadrature sperimentali.


L’utilizzo di inquadrature dinamiche come l’angolo olandese permettevano di porre in contrasto emozioni positive e statiche come l’amore e la gioia rappresentate da linee orizzontali e verticali con emozioni dinamiche come l’aggressività, l’ansia e la paura, rappresentate con linee diagonali. Esemplare il suo utilizzo nel capolavoro di Robert Wiene “Il gabinetto del Dottor Caligari” (che proprio quest’anno compie 100 anni) dove venne largamente utilizzata per enfatizzare la natura fantastica e decentrata della pellicola, specchio della distruzione sociale della Repubblica di Weimar in Germania a quel tempo. Fu alla fine degli anni '30 che le tecniche dell'espressionismo tedesco arrivarono ai cineasti americani. Grandi registi ne fecero largo uso (Orson Wells in “Quarto potere” (1939), John Huston nel “Falcone maltese” (1941) e molti altri), famoso è l’aneddoto secondo il quale alla fine delle riprese del film “Il terzo uomo” (1949) la crew regalò una livella al regista Carol Reed ironizzando sull’abuso fatto nel film dell’inquadratura.


"Quarto Potere", 1941


Oggi

L’abuso di alcune tecniche ha portato a considerarle pacchiane o inefficaci, così, nel corso dei decenni l’angolo olandese è sempre più raro e viene ad oggi utilizzato molto meno. Alcuni registi sono particolarmente affezionati a questa tecnica, spesso Danny Boyle è stato accusato di abusarne, così come Kenneth Branagh. Restano comunque tuttora esempi magistrali del suo utilizzo: "Mission: Impossible" (Brian De Palma, 1996), "Paura e delirio a Las Vegas" (Terry Gilliam, 1999), The Millionaire (Danny Boyle, 2008) e Bastardi senza gloria (Quentin Tarantino, 2009). In conclusione, l’angolo olandese è una delle tecniche di inquadratura più antiche e affascinanti della storia del cinema. La sua funzione può essere molto efficace se studiata e adattata al film poiché una sua sovrabbondanza rischierebbe solo di creare confusione nello spettatore anziché emozionarlo.



© Edizioni Archos

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