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Shopping center, icone dei non-luoghi


La caricatura della città fatta da spazi protetti, aria condizionata e illuminazione artificiale

Photo: Oleksiy Maksymenko/Getty Images

Vi è un complesso rapporto tra centri commerciali, centri urbani e consumatori: esso è la manifestazione dell’intreccio tra i meccanismi della società consumistica, le nuove abitudini al consumo dettate dai cambiamenti socio-economici e la riduzione delle criticità tipiche del centro storico. Lo sviluppo e la diffusione nell’ambito del pensiero geografico di scuola principalmente angloamericana nel corso degli anni ottanta della corrente nota come Postmoderno, ha comportato una riscoperta della dimensione spaziale nell’analisi sociale.

Tale corrente si affermò con circa un decennio di ritardo rispetto al Postmoderno in architettura, classificabile come fenomeno effimero (Curtis, 1995) che fornì un’immagine caricaturale del Movimento Moderno come espressione funzionalista, priva di radici e significato, distorcendo la prospettiva storica. L’architettura postmoderna, intrisa di riferimenti storici – sovente non facilmente comprensibili ai suoi fruitori - manifestò la sua volontà di richiamo al passato attingendo da un atteggiamento revivalista che non appariva coinvolto dalla ricerca di rigore e che spesso degenerava in un eclettismo eccessivo.

Venne data una posizione di rilievo all’immaginario, alla sofisticazione formale, all’esplorazione concettuale mettendo in secondo piano la risoluzione funzionale, l’interesse sociale e la necessità strutturale.

Con queste premesse alcuni critici associarono gli aspetti più immediati del postmoderno ai valori del consumismo; tali tendenze, particolarmente vive negli Stati Uniti, sembravano rispecchiare l’interesse per i packaging colorati e per un brillante immaginario commerciale. Gli eclettici radicali - utilizzando un termine di C. Jenks - corsero il rischio di produrre opere prive non solo di sostanza simbolica, ma anche materiale: opere con riferimenti storici difficilmente comprensibili al pubblico, opere al limite dell’allusione alla consistenza materica e strutturale, con colonne e trabeazioni in compensato o sottili applicazioni di modanature e vernici per un risultato fotogenico, ma inconsistente. L’approccio della geografia postmoderna alle tematiche legate al commercio riveste un ruolo di particolare interesse ed esplica tutte le proprie potenzialità in termini di chiave di lettura alternativa, quando oltre alle strutture si analizzano le funzioni che i luoghi preposti al commercio svolgono.

I centri commerciali, in ambito geografico, possono essere definiti propriamente spazi postmoderni: spazi artificiali implosi dal carattere conchiuso e autoreferenziale - generalmente edificati fuori dal tessuto urbano e separati dal contesto; simulacri dei luoghi-tipo del sociale e dello spazio urbano reale - il boulevard, la piazza, il mercato, la fontana; spazi protetti, dotati di aria condizionata e illuminazione artificiale; spazi liberi dai fastidi tipici dei centri urbani - elevato livello di sicurezza ed accessibilità, circolazione interna solo pedonale, protezione dagli agenti atmosferici. Tutto concorre a creare un forte potere attrattivo scollegato dalla mera necessità di approvvigionamento: l’artificio di questi non-luoghi (Augé, 1993) - privi d’intrinseci caratteri storici, identitari e relazionali, aiuta a comprendere le parole dissacranti e prive di illusione usate da Rem Koolhass in “Junkspace: Per un ripensamento radicale dello spazio urbano” per identificare il centro commerciale come il prodotto dell’incontro tra la scala mobile e l’aria condizionata, concepito in una incubatrice di cartongesso. The Dubai Mall, situato nel cuore del prestigioso Downtown Dubai, è il più grande per superficie totale e più visitato centro per lo shopping e l'intrattenimento: creato tra il 1995 e il 2008, nel 2013 ha accolto circa 75 milioni di visitatori.

L’attrattività del centro è strettamente legata ad un’immagine scenografica e di spettacolarizzazione, anche con elementi avulsi dall’ambiente circostante: ospita infatti una pista olimpionica per pattinaggio sul ghiaccio, un acquario - zoo subacqueo ed uno scheletro di dinosauro importato dagli Stati Uniti. I punti vendita sono organizzati lungo “Avenue” dello shopping, mentre la grande fontana musicale rappresenta un immediato punto di ritrovo ed intrattenimento. Se il Dubai Mall è attualmente in fase di espansione, il New South China Mall di Dongguan, costruito tra il 2002 e il 2005, è definibile secondo un rapporto Emporis del 2012 come “dead mall”: nonostante la maggiore al mondo superficie lorda affittabile - Gross Leable Area pari a 600.000 mq-, la previsione di 100.000 visitatori al giorno e la spettacolarità delle sette zone in cui è diviso - ispirate ad Amsterdam, Parigi, Roma, Venezia, Egitto e California – risulta pressoché privo di clienti. Il fallimento dell’investimento può essere in primis imputato all’economia di Dongguan, città/fabbrica cinese, costituita da quasi dieci milioni di abitanti in gran parte lavoratori migranti con scarsa propensione all’acquisto; inoltre la città è localizzata in un’area in cui le fabbriche stanno delocalizzando la produzione alla ricerca di manodopera ulteriormente a basso costo.

L’eccellenza italiana a livello europeo è rappresentata dal centro commerciale Nave de Vero - concept dello studio londinese Design International - aperto ufficialmente al pubblico da aprile 2014 a Marghera (VE). Dotato di certificazione BREEAM, incarna l’intenzione della committenza – gruppo olandese Corio – di ricercare l’unione di soluzioni green a un’architettura d’impatto con un forte riferimento all’identità portuale di Marghera: una grande nave con una prua di vetro e acciaio che ospita l’entrata del centro. Il ricercato comfort visivo ed ambientale per operatori ed ospiti, il risparmio e la produzione di energia, i materiali e le diverse soluzioni orientate alla sostenibilità concorrono qui a creare un’architettura essa stessa simbolica, un’architettura che porta un messaggio al suo pubblico, evocativo ed educativo: la nave, quale forma riconoscibile e radicata nel passato economico della città, non solo accompagna gli ospiti durante il tempo dedicato allo shopping e allo svago, ma può condurli verso un’idea di futuro responsabile e consapevole. In questi termini la riconoscibilità della forma concretizza non solamente il senso di appartenenza del consumatore in loco, ma può generare - unitamente alla visibilità propria del centro commerciale - un segno e un significato sociale.

Gli shopping centers, creati da developers privati, tentano di (ri)creare quanto più possibile luoghi simbolici accattivanti per il cliente, spesso attingendo da luoghi e forme proprie del centro urbano o insite nella sua storia, al fine di concretizzare un sempre maggiore senso di appartenenza del consumatore al luogo. La riconoscibilità diventa veicolo di significati identitari, pertanto il ricercato senso di appartenenza rappresenta un presupposto necessario alla fidelizzazione del cliente e a quella forma di (ri)creata socialità urbana che accompagna e supera la necessità primaria di acquisto. Diviene inoltre fondamentale in fase progettuale la corretta localizzazione dell’opera, non solo sul piano infrastrutturale, la mancanza intrinseca di fattori di attrattività del sito, quali la storicità e vitalità proprie di un centro urbano.



© Edizioni Archos

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