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Tutti i sentimenti del nero

Un viaggio nell'arte di Darius Khodji

Darius Khodji

L’arte di saper fotografare un film è fondamentale per definirne l’estetica e l’essenza. Il direttore della fotografia è uno dei collaboratori più stretti del regista, è lui a scegliere la composizione e il taglio dell’inquadratura, il tipo di pellicola, i filtri, le lenti e tutto il materiale tecnico che verrà utilizzato per riprendere le scene. La fotografia cinematografica sta a metà strada tra arte e scienza, dove tecnica e tecnologia vengono utilizzati per dare forma al film. La scelta delle inquadrature, cosa, come e quanto debbano mostrare sono sue responsabilità. Molto spesso, chi intraprende questa carriera nasce come cameraman, poiché è fondamentale conoscere la macchina da presa e tutte le sue potenzialità. Serve una sensibilità speciale da accompagnare a una grande conoscenza del mezzo per poter essere grandi direttori della fotografia, descrizione che calza perfettamente per Darius Khondji.


Nato a Teheran, cresciuto in Francia, ma un po’ italiano nel cuore, alla fine degli anni ’70 studia presso l’International Center of Photography di New York e qui comprende che tutto ciò che desidera davvero è “girare i film degli altri”, per essere più concentrato “sul potere dell’immagine e meno sulla storia”. Khondji è un artista, cita come sua ispirazione massima Gregg Toland, uno dei più grandi innovatori del cinema in bianco e nero, direttore della fotografia di capolavori come "Quarto Potere" di Welles e "Viaggio Senza Fine" di Ford. Forse è la passione per la fotografia del cinema in bianco e nero che rende Khondji un direttore della fotografia diverso dagli altri, specialmente quando lavora sui colori. Il suo approccio alla fotografia cinematografica è completamente personale, trae ispirazione dalla musica, dall’esperienza e dall’immaginario del regista per riprendere le immagini dei film che gli vengono affidati. Che sia un grande musical come Evita (per il quale ottiene una nomination agli Oscar 1997), una pubblicità (suo è l’iconico spot di Dior con protagonista Charlize Theron) o un film di Woody Allen, Darius Khondji segue tre regole fondamentali: impara ad ascoltare, scegli una singola idea forte per film, sii conscio delle tue motivazioni, sappi perché fai qualcosa e non qualcos’altro e quale deve essere la direzione che prendi nel tuo lavoro.


Ogni pellicola di Khondji è diversa, eppure tutte hanno qualcosa di simile, grazie all’estrema abilità di questo artista nell’utilizzo del bleach bypass. Durante lo sviluppo delle pellicole viene utilizzato un sale d’argento che viene poi eliminato tramite un processo di “sbiancatura”, se si salta questo processo i sali di argento restano sulla pellicola e si emulsionano assieme ai colori, il risultato è una immagine in bianco e nero su un'immagine a colori. La pellicola così sviluppata avrà quindi una saturazione e una latitudine di esposizione ridotte e contrasto e granulosità maggiori. Sottoesponendo la pellicola in fase di ripresa si ottengono dei neri estremamente neri, mentre dove c’è luce i colori sono iperdefiniti e il resto è desaturato.


Una scena del film "Too Old To Die Young"


Too Old To Die Young

La serie del 2019 creata da Nicolas Winding Refn è un viaggio oscuro tra crime e dramma composto da dieci episodi ed è uno dei lavori più intensi e affascinanti di Darius Khondji. Quando il direttore della fotografia ha scoperto della incapacità del regista di vedere i toni del blu-grigio è nata la volontà di creare un’opera adatta alla sua capacità visiva. Lo studio del colore si è concentrato sui rossi, spesso controbilanciati dai suoi complementari. Il risultato è una fotografia che ricorda, a tratti, alcuni film di Godard. Le scene in auto (una passione di Refn) sono girate dentro vere auto che Khondji illumina internamente inserendo degli Astera tubes dotati di un controllo a distanza direttamente sui bordi del tetto, questa illuminazione si fonde con l’illuminazione arancione di Los Angeles e crea un effetto arancio-rosso che richiama la forte presenza di sangue nella storia. Lo studio di inquadrature praticamente prive di profondità di campo, ampiamente antidrammatiche riesce a dare una sensazione che rimanda a classici di Bresson e Antonioni.


Una scena del film "Amour"


Amour

Il pluripremiato capolavoro di Michael Haneke (2012) è un’opera di estrema delicatezza formale che Darius Khondji fotografa con cura ed eleganza. Come sempre, la sua ispirazione è la musica e mentre studia questo film ascolta Schubert e Beethoven. Haneke gira con la precisione di un chirurgo e raramente ci si discosta dallo storyboard. Le sue inquadrature sono ferme, con movimenti di camera estremamente precisi. Si tratta di una delle prime produzioni girate in un formato ArriRaw, formato Super 35 in grado di acquisire 2880 x 2160 pixel, che rende possibile lavorare in digitale con un effetto molto simile alla celluloide. La luce del sole entra dalla finestra della cucina della casa, unico set del film, e in ogni altra stanza della casa l’illuminazione è di riflesso, calibrata sulla luce di alba, giorno, tramonto e notte. Lo studio della fotografia è concentrato sul concetto di continuità attraverso i mesi e le stagioni che si susseguono nel film cercando di riprodurre una sensazione di estraneità tra il mondo esterno che cambia e quello interno all’appartamento che rallenta sempre più. Il risultato è imponente, lento e preciso, inesorabile come la trama stessa.


Una scena del film "Seven"


Seven

Il film che ha fatto conoscere al mondo David Fincher nel 1995 è stato anche per Khondji un grande momento nella sua carriera. Prima di allora aveva avuto molti riconoscimenti in Europa, ma non aveva mai lavorato con una produzione americana così imponente, con restrizioni nelle scelte tecniche (fu obbligato a utilizzare macchinari Panavision che non aveva mai usato prima) e con un regista che aveva una visione molto precisa della fotografia definitiva. Il film fu girato con lenti Panavision Primo in Super 35, anziché il classico anamorfico, per potere avere dei movimenti di camera estremamente liberi, senza la pesantezza del Cinemascope. Venne utilizzata una Campe Aaton 35 su steadicam e il risultato fu quello di poter fare “fluttuare” la camera. In questa opera il bleach bypass utilizzato con la tecnica del CCE (Color Contrast Enhancement) è al massimo, con il risultato di un film estremamente buio e costantemente sotto esposto.


Una scena del film "La città perduta"


La città perduta

Una favola cupa e steampunk del 1995, seconda collaborazione tra Khondji e J.P. Jeunet con Marc Caro, porta la sperimentazione del CCE iniziata con Delicatessen (1991) a un livello ulteriore. I costumi di Gaultier accentuano i verdi e gli oro, la bellissima scenografia di Jean Rabasse (premiata con un César) è carica di colori. Che sia nel profondo del mare o nei vicoli della città perduta la sensazione è quella di viaggiare in un sogno (o forse un incubo).


Darius Khondji è quel genere di persona che affascina per la sua umiltà e capacità tecnica. Non ama farsi fotografare, ma ama ascoltare e comprendere la visione di un regista fino a trasformare una idea in un film. Nella sua carriera ha lavorato con personalità e ambienti molto diversi tra loro senza mai perdere la sua semplicità e la voglia di indagare la potenzialità del colore. Pochi altri direttori della fotografia contemporanei hanno saputo esplorare tutte le tonalità che il nero può fornire, trattando il colore come un bianco e nero e dimostrando che il lavoro del direttore della fotografia può essere la parte più tecnica per realizzare un film, ma allo stesso tempo la più artistica.






© Edizioni Archos

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