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Una ferrea gracilità. Un teatro nel Meridione

A proposito di "L’atleta del cuore”, volume che raccoglie il teatro di Pasquale De Cristofaro, dagli inizi alle attuali e recenti produzioni



Pasquale De Cristofaro, il teatro declinato al plurale in quarant’anni di lavoro febbrile. Eclettico regista attore, nato nel 1958, sospeso tra maschere e farse dialettali, inclusive pure di altre tradizioni regionali, a partire dalla Sicilia dei cuntari. Da qui, il gemellaggio riuscito tra Beppe Lanzetta e Vincenzo Pirrotta, due teste grandi e pelate agli angoli opposti del palco, a scambiarsi in una jam session tra Napoli e Palermo, Bronx e Brancaccio, nenie, ritmi, lamenti e furori, con Malaluna, premiato dall’ETI nel 2004. Alle sue spalle, una laurea su Decroux e il mimo astratto e all’opposto corsi alla scuola di Ernesto Calindri, ovvero un maestro della recitazione impostata sul testo pronunciato nella fluidità della parola.


In più, la propensione per il tragico, Agamennone e Baccanti, spesso in scenari en plein air, negli anfiteatri romani, Paestum e affini. Questo non impedisce la dimestichezza col teatro di figura, i burattini destinati al teatro per ragazzi, il lungo sodalizio con Michele Monetta, innamorato di Marcel Marceau, la loro trionfale Ballata di Pinocchio di Luigi Compagnone nel 1999. Allo stesso tempo, la magistrale collaborazione registica con virtuosi del teatro grande attorico, Francesca Benedetti e Caterina Costantini, l’ospitalità data alla grandeur sobriamente ronconiana di Franca Nuti. Alla loro ombra è cresciuta anche la sua compagna, l’intensa Rosanna Di Palma. Oppure Renato De Carmine, allevato nella palestra strehleriana del Piccolo di Milano, o il partenopeo Mariano Rigillo.


Tra le varie mansioni, editore di Corponovecento, assieme a Alfonso Amendola, che sigla la commossa introduzione al libro. Poi docente in corsi universitari e al Conservatorio, all’Accademia d’arte e al Liceo artistico Sabatini Menna di Salerno, divenuto anche grazie alla sua disponibilità uno dei quattro licei nazionali a far entrare la scena tra le materie insegnate. Infine, last but not least, l’artista civile, impegnato in coraggiosi repertori antimafia e anticamorra. In tal senso, presente nella corposa sezione dei testimoni, lo scomodo prete di Scampia, inviso alla gerarchia ecclesiastica, Don Aniello Manganiello, che accenna all’ardente delicatezza del regista per lo spettacolo del 2019 Gesù è più forte della camorra, tratto dal libro inchiesta del 2911 a quattro mani con Andrea Manzi.


Incombono su di lui i grandi centri, Napoli e Roma, voglie di fuga. Invece resta a Salerno per fare rete e comunità, anche in spazi ai margini, magari incrociando Leo De Berardinis per anni direttore di teatro laggiù. Gli interessa infatti il laboratorio più che il mercato, mettere radici nei giovani che siano allievi di scuola, studenti universitari, stagisti in workshop drizzati in sede o anche lontano da casa, dalla Belluno alpina alle Marche. Brecht e Stanislavskij si mescolano nel suo metodo didattico. Dal primo, assimila le tecniche raffreddanti per inibire eccessi di immedesimazione verso il personaggio. E si ricordi che il commediografo tedesco faceva declinare i tempi al passato, in terza persona citando le didascalie durante le prove col suo attore epico. Dal secondo, dal russo, preleva la richiesta all’interprete che sappia continuare il personaggio nella sua vita privata fuori dal copione, e che utilizzi il proprio vissuto, a scendere negli abissi che ci portiamo dentro. Non per nulla la visionarietà della scena da lui predisposta punta anche alla mimesi del sogno.


Creatura multitasking, De Cristofaro. E la maschera farinosa di Pulcinella gli consente scatenamenti e slanci che si vieta nell’occhialuto lavoro di regista intellettuale, di docente e di studioso che ne fa, si parva licet, una sorta di Gobetti campano. E qui, grazie alla larva in cui si trasfigura, i suoni gli srotolano dalla gola con rauchi squittii che scendono dalla gloriosa catena dei Petito, dei Viviani, degli Scarpetta, dei De Filippo sino ai Ruccello, ai Moscato e ai De Simone, ovvero il meglio della drammaturgia attorale nazionale. Di frequente, lo si vede leggere poeti, a conferma della consonanza nell’etimo antico del termine poiein, tra verso (le prime pubblicazioni di De Cristofaro sono poesie giovanili) e pronuncia orale, tra comporre e re-citare, ovvero tornare a stanare dall’ombra i morti.


Ecco pertanto il suo prediletto Andrea Manzi, dolente e raffinata denuncia degli orrori della periferia del mondo, ecco Beppe Lanzetta tribale e vulcanico con baby gang e drag queen, ecco il malioso e sapienziale Rino Mele. Il foglio tenuto in mano tra gente in piedi, che gli toglie spazio e respiro, lascia allora venir fuori un carisma impensato, la luce misteriosa di una personcina altrimenti in ombra. In tale postura, grida solitudini, sconforti e solidarietà, mentre ogni tanto stende la mano a colorire un dettaglio, a lanciare una provocazione. Il suo minimalismo insomma mostra i muscoli e capisci ad un tratto che gli vuoi bene.


Recitare per chiamare gli assenti, come detto. Il nero addobba spesso la sua scena, copre i corpi degli attori, sigla i cicli dei suoi raffinati montaggi intertestuali. Teatro della notte, questo il climax delle sue scelte culturali, prelevato dalle amate avanguardie primonovecentesche, come attestano Lo sguardo indecente e Le ali di Hermes, raccolta di saggi del 2008 e del 2015. Non per nulla tra i tanti visualizzatori della sua scena, figura pure Lele Luzzati, colla sua talmudica frequentazione degli abissi pur con la levità fumettistica delle sue sagome, oppure il talentuoso pittore Gaetano Fiore, genero di Gennaro Vitiello, astro immacolato della sperimentazione partenopea negli anni ’60, quando Salerno ospitava il Living Theatre. A lui Pasquale si collega idealmente. Basti considerare i titoli del suo repertorio, con totale apertura di compasso, vedi la produzione ispanica, gusto che accumuna i due.


Nel coro del volume che trasuda ammirazione, riconoscenza e autentico affetto per questo uomo di carta e di palco. alcuni omaggianti non ci sono più. Tra i critici, il raffinato Nico Garrone e il generoso Franco Tozza. Scomparsi non per sempre, però. Perché il teatro è il solo territorio dove l’uomo assiste alla resurrezione, non per qualche illusione religiosa, ma come esercizio professionale. I personaggi sono in fondo defunti che bussano alla porta, come nelle novelle spiritistiche del suo adorato Pirandello. E poi i morti risorgono in quanto il sipario cala spesso su corpi esanimi alla ribalta, che poi si rialzano per l’applauso…

 

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