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Women at work

In viaggio nella regione rurale indiana dell'Orissa. Realtà invisibili: donne e hijra, spalla a spalla, lavorano nei cantieri stradali



Photo © Marcella Marone Pittaluga


Se, come credo, fotografare richiede grande umiltà e pazienza, in India questo “esercizio” diventa ancora più impegnativo ed affascinante. Il luogo ove vive un terzo della popolazione mondiale, l’immensità di territori morfologicamente diversi che si estendono dall’Himalaya all’Oceano indiano e una moltitudine culturale di religioni, usanze e costumi, confondono l’occhio, il cuore e la mente del fotografo in un mare immenso di stimoli sensoriali al limite della razionalità “occidentale”. Durante l’esplorazione solitaria della regione dell’Orissa, patria di oltre 63 tribù di origine Dravidica, quasi tutte protette dal governo e che vivono in luoghi resi spesso inaccessibili al turismo, mi si delinea magicamente un filo ottico che seguo istintivamente.


Attraverso la luce di queste terre selvagge, si stempera e liquefa quello che era inizialmente il mio progetto e, rompendo gli schemi prefissati, ricerco invece un contatto primordiale con chi vive, da sempre, questo territorio. “Conquistare” un effettivo contatto portando una macchina fotografica in mano non è sempre semplice in queste zone: avvicinarmi, prendere tempo, esplorare, sedermi per ascoltare una moltitudine di donne che si palesa ovunque e che sembra gestire le sorti di questo particolare territorio, diventa di primaria importanza. Strade, mercati, campi e villaggi pullulano dell’attività frenetica di una femminilità potente, impegnata a sopravvivere e far sopravvivere le loro famiglie.


Photo © Marcella Marone Pittaluga


In queste zone rurali molti uomini, dediti all’alcool del vino di palma e al gioco, riescono si e no a lavorare uno o due giorni la settimana, lasciando così le sorti economiche di queste zone in mano alle donne. Mi fermo in prossimità di una strada, stupita dal fatto che sia un’area di manutenzione e costruzione stradale dove i carichi pesanti come sassi, cemento e ghiaia non vengono spostati dagli uomini, come dovrebbe essere per la durezza del lavoro, ma solo da donne: avvicinandomi mi accorgo che alcune di loro sono Hijra (la comunità Hijra non si considera appartenete a un “gender” specifico, ma ricopre un ruolo antico e ben preciso nella società di cui fa parte). È una moltitudine di creature sorridenti, stanche, assetate e doloranti, ma forti e bellissime. In questa situazione bieca e impietosa, al limite improbabile della nostra logica occidentale, loro si muovono lente, e si incrociano con i loro sari sgargianti, i braccialetti tintinnanti e multicolori, le collane variopinte, e i loro sorrisi maliziosi e pazienti.


Mi rendo conto che la linea sottile che identifica donne e Hijra è inesistente: il carico immane del lavoro ricade sulle spalle di tutte, indistintamente, e la solidarietà totale del gruppo è impressionante. Tutte loro hanno un ruolo ed un obiettivo comune, che può solo essere portato a termine attraverso uno sforzo collettivo. Scattando finalmente in mezzo a loro, il mio iniziale stupore si trasforma nel rispetto che riempie la mente di chi, uscendo dalla propria “zona di conforto” accetta e impara dinamiche sconosciute e crudamente reali. Mi guardano incuriosite e piene di domande sulla vita al di la del loro mondo e mentre cerco risposte che loro possano comprendere, continuo a scattare, cercando di congelare nelle mie fotografie la femminilità intensa che riescono, malgrado tutto, ad emanare in quello che a me sembra, ancora, un inferno.


Photo © Marcella Marone Pittaluga






© Edizioni Archos

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