Del maiale non si butta via niente
La sostenibilità tra tradizione e innovazione. Dalla cucina povera e rurale ai principi dell'economia circolare

Grande ammirazione nasce dalla capacità di riutilizzare in maniera creativa e soprattutto consapevole ciò che verrebbe considerato rifiuto, immondizia, scarto, per donargli una nuova funzione. Esempi immediati nella tradizione culinaria sono le polpette fatte il giorno dopo con la carne del bollito; il celebre pancotto, la zuppa preparata con pane raffermo nel brodo insieme a legumi e verdure in Toscana, ma anche in Puglia e Lucania; la torta di pane o torta paesana, la cui tipicità è contesa tra Canton Ticino, Martesana, Lombardia e Piemonte.
“Il maiale è come la musica di Verdi: non c'è niente da buttare via” è uno dei proverbi più diffusi della tradizione enogastronomica, utilizzato in diverse occasioni, si ipotizza fosse di origine emiliana e paragonasse la musica di Giuseppe Verdi, nato in un paesino della provincia di Parma, con il suino, animale onnipresente e molto redditizio nelle case contadine di fine Ottocento. Una volta, ciò che oggi viene istituzionalmente definito "sostenibilità" era un tema radicato nella necessità, guidato prevalentemente dalla povertà. Chi poteva permettersi l'allevamento di un maiale ne usava ogni parte per creare diversi prodotti da vendere, gli "scarti" venivano consumati, i salumi venduti; l'esistenza di vassoi da antipasto di diverse varietà di affettati, come li chiameremmo oggi, salame, pancetta, guanciale è un racconto contemporaneo, figlio del consumismo e della modernità.
Con un cavolo raccolto nell'orto una volta si mangiava per giorni e non se ne buttava via nemmeno un centimetro. La valorizzazione degli ingredienti più poveri e il recupero degli avanzi, fino a 70 anni fa, era la migliore strada per vivere nella bellezza; la creatività oggi sta nella capacità di recuperare le tradizioni e conoscere i saperi in cui sono radicate virtù che non possiamo perdere. L'economia circolare è argomento diffuso nell'ultimo decennio, una promessa di innovazione e sperimentazione, basata sull'idea, semplificando, di creare cose nuove dagli scarti di cose vecchie, riducendo quindi rifiuti e sprechi, in opposizione all'economia lineare basata sul paradigma estrarre > produrre > usare > eliminare.
I princìpi dell'economia circolare applicati alla cucina sono teorizzati in alcuni testi accademici dell'Università di Scienze Gastronomiche di Pollenzo, dove ha sede anche un Circular Economy for Food Hub e un Laboratorio per la sostenibilità e l’economia circolare, con le finalità di favorire il processo di cambiamento culturale e la diffusione di competenze nelle nuove generazioni, disseminare buone pratiche, supportare le aziende e la collettività verso questa transizione sempre più necessaria. Le priorità del paradigma economico circolare applicato al sistema alimentare vengono riassunte sotto la nomenclatura di "3 C della Circular Economy for Food": capitale, ciclicità, coevoluzione.
Con 'capitale' si intende tutto ciò che fornisce all'uomo beni e servizi di valore, che sono necessari per la sopravvivenza: il capitale naturale - organismi viventi, aria, acqua, suolo e risorse geologiche; il capitale culturale, cioè l’insieme di conoscenze, valori e atteggiamenti nei riguardi degli ecosistemi naturali e sociali, che va custodito e tramandato come un’eredità preziosa e infine il capitale economico, la fonte di reddito prodotta, basata su equità e distribuzione.
Con 'ciclicità' si ragiona in chiave rigenerativa e racchiude al suo interno tre concetti fondamentali, quali estensione, metabolizzazione e rinnovabilità. L’estensione della responsabilità d’impresa, che si deve incaricare dell’intero ciclo di vita del prodotto, dall’origine delle materie prime alla dismissione finale, e deve mettere il consumatore nelle condizioni di sprecare meno e poter smaltire differenziando correttamente. La metabolizzazione è la valorizzazione finale in ottica di upcycling, con l’obiettivo di non generare rifiuti, bensì "risorse" per lo stesso o per un altro sistema; con questa finalità è fondamentale adottare strategie per agevolarne la realizzazione, come quelle suggerite dall’ecodesign per la riduzione dei materiali e dell’energia impiegati sia nella produzione sia nell’utilizzo del prodotto e nella sua finale dismissione, per la purezza, come la riduzione dei materiali nocivi per gli ecosistemi e non metabolizzabili, per il disassemblaggio, per la durata e per allungarne il ciclo di vita. La rinnovabilità è l’utilizzo quanto più ampio possibile di materia ed energia provenienti da fonti rinnovabili.
Infine la coevoluzione, terzo principio dell'economia circolare applicata ai sistemi alimentari, rappresenta la dinamica di collaborazione, in cui uno o più soggetti traggono vantaggio dalla relazione messa in campo, attuando una soluzione vantaggiosa per tutti, compreso l’ambiente. Si compone di varie etiche prioritari su cui è necessario lavorare all'interno del nuovo paradigma per conferirgli resilienza: solidarietà tra le persone e i popoli per ridurre la disuguaglianza sociale e l’accesso a un cibo di qualità, dialogo tra gli ecosistemi naturali e artificiali, per eliminare l’asincronicità del modello economico umano con i cicli naturali, cooperazione tra comunità che condividono valori e obiettivi, condivisione di materia, energia, informazioni per accelerare la transizione e agevolare l’evoluzione, benessere di persone e imprese, diffuso in maniera capillare, perché possa generare un sistema resiliente che dia garanzie di continuità.
Nella pratica la cucina che valorizza questi preziosi princìpi, sperimentati nel mondo accademico, si basa su tecniche capaci di collegare gli antichi saperi, le lunghe lavorazioni a ingredienti desueti, come la pazienza, al progresso tecnologico, quello che ammicca alla cucina molecolare, ai processi di fermentazione ed essiccazione, all'utilizzo di strumentazione a risparmio energetico. La sostenibilità richiede grande lavoro, abnegazione e cultura perché senza conoscere alcune tecniche che la "cucina del supermercato" ha eliminato dalla memoria per regalarci velocità, oggi, non è semplice valorizzare gli ingredienti nella loro interezza, evitando la produzione di spreco e utilizzando parti come foglie, bucce, semi.
Le carote che si acquistano nelle vaschette di plastica non hanno foglie da recuperare per insaporire di salse o diventare protagoniste di una salsa verde dallo spiccato sapore erbaceo, invece del prezzemolo.Vengono eliminate eppure sono ricche di sali minerali e vitamine, e il loro utilizzo potrebbe evitare di utilizzare integratori alimentari per la nostra salute. La stagionalità degli ingredienti è un concetto che sta certamente prendendo piede, ma l'informazione acquisita tramite web in opposizione a quella che potrebbe essere acquisita dall'esperienza in un orto ha una qualità differente. Utilizzare esclusivamente verdure e ortaggi di stagione, reperiti possibilmente da fornitori locali, non è certo semplice per chi esce dall'ufficio alle sette di sera e trova aperto solo il supermercato in cui a dicembre si acquistano fragole o cetrioli e tutto l'anno ci sono melanzane e pomodori.
Così come non è semplice, ma rimane doveroso, riutilizzare sottoprodotti da lavorazioni, come il bruss, formaggio spalmabile prodotto con scarti di formaggi di diverse stagionature, diffuso nella ruralità montanara di una volta; autoprodurre piccoli vegetali come l'insalata e le erbe aromatiche sui terrazzi; occuparsi di impastare il proprio pane, possibilmente con un minimo di 24 ore di lievitazione, usando lieviti naturali e grani antichi; conoscere la filiera di ogni prodotto che si ingerisce, soprattutto se di origine animale. Essere creativi in cucina oggi può, e deve, essere un atto politico, per il bene dell'essere umano, dell'ecosistema e del portafoglio! Un atto politico capace di valorizzare la bellezza attraverso la sostenibilità economica, sociale e ambientale, ma soprattutto attraverso la conoscenza e la cultura del cibo.
Comentários