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Alla mia età mi nascondo ancora per fumare


Nove attrici nello spazio circoscritto dell’hammam, protette, incarnano donne che si svelano e rivelano le loro anime. In teatro, un cast tutto al femminile per raccontare la donna islamica

Foto © ATIR Teatro Ringhiera

Algeri. Ai giorni nostri. Nove donne si ritrovano in un hammam, luogo in cui possono spogliarsi dei veli, delle convenzioni e delle oppressioni che vivono quotidianamente in famiglia e nella società. Non solo, anche luogo di pace in cui potersi sottrarre alle esplosioni delle bombe che impediscono il regolare svolgimento della vita, con il blocco delle forniture di acqua e la morte di conoscenti innocenti. Nove donne di estrazione sociale diversa, con punti di vista a volte opposti sul ruolo della donna e dell’uomo, sull’amore, sulla religione, sulla politica, sui desideri di ciascuna, che si ritrovano nude a confidarsi, confrontarsi, ascoltarsi e darsi quell’importanza negata a loro dalla società.

Una società misogina, governata da fanatismo e dall’estremismo religioso, in cui il concetto di famiglia segue logiche patriarcali al di là della dignità della persona. Il fulcro attorno a cui ruota “Alla mia età mi nascondo ancora per fumare”, spettacolo teatrale con la regia di Serena Sinigaglia e prodotto da ATIR – Teatro Ringhiera, con un cast artistico e tecnico tutto al femminile, è la coralità della dimensione tragica, raccontata e rappresentata con ironia.

Le nove attrici, Anna Coppola, Matilde Facheris, Mariangela Granelli, Annagaia Marchioro, Maria Pilar Pérez Aspa, Arianna Scommegna, Marcela Serli, Chiara Stoppa, nello spazio circoscritto dell’hammam, protette, incarnano donne che si svelano e rivelano le loro anime.

Lavandosi, lavano via le loro sofferenze e le difficoltà di ogni giorno, le ferite che hanno segnato le loro esistenze: Fatima, capo massaggiatrice che “conosce la vita e i segreti di tutte le famiglie del quartiere”, amata e temuta dalle altre donne per il suo parlare franco e perché non ha paura di niente, picchiata dal marito da cui ha avuto otto figli, detesta tutti gli uomini, che sono “tutti uguali”; Myriam, sedicenne incinta, si rifugia nell’hammam sotto la segreta protezione di Fatima perché il fratello è deciso a ucciderla in quanto “ha commesso un crimine” a concepire un figlio fuori dal matrimonio; Samia, aiutante di Fatima, ventinovenne un po’ ingenua, sognatrice, ossessionata dal matrimonio, ma con una grande voglia di vivere, intuisce che Fatima è ansiosa, ma la promessa che quel pomeriggio verrà una donna per chiedere la sua mano per il figlio la distrae e la trasforma in euforica e impaziente;

Louisa, donna gentile, analfabeta ma portatrice di tradizioni popolari, sposata a 10 anni nella violenza consueta, quel giorno svela un segreto mai confessato; Latifa, la maestra, donna avvenente sposatasi per amore, sterile per colpa delle credenze della madre; Nadia, giovane donna che ha ricominciato a studiare dopo il divorzio da un marito che “ha sposato per non mettere il velo”, crede fortemente nella lotta contro l’oscurantismo e l’estremismo religioso e non ha peli sulla lingua; Aicha, chiamata “pelle di vacca” dalle altre donne, è un’anziana credente radicata in tradizioni retrograde, convinta che “le donne sono diaboliche, incarnazione del male”, cerca di umiliare Nadia, ex nuora, e nonostante sia contraria ad appoggiare Myriam la aiuta a partorire e ad allontanare il fratello;

Zahia, integralista militante, vedova di un capoterrorista, tenta di giustificare la sua visione, aiuta a partorire Myriam fino all’inatteso colpo di scena finale; Madame Mouni, emigrata in Francia, arriva all’hammam in cerca di una moglie per il figlio quarantenne, che sia molto giovane, vergine, velata, brava in cucina e nei lavori domestici e che dica “le sue cinque preghiere” ogni giorno.

Un quadro globale di varie tipologie di donna, ben tratteggiate nelle loro diverse caratteristiche ed esperienze: ogni personaggio ha lo stesso spazio, lo stesso peso, la stessa rilevanza. L’hammam diventa luogo di uguaglianza, inizialmente rappresenta una scelta libera, come molte affrontate in generale dalle donne nelle loro vite, ma alla fine diventa luogo di costrizione, coercizione, in cui le nove protagoniste si trovano asserragliate per poter difendere Myriam e la sua bambina, minacciate dal gruppo di uomini che vogliono ucciderle. Un testo corale e democratico scritto in un mondo ingiusto, parole che creano immagini profonde per far riflettere, per portare la denuncia di quel mondo in comunità lontane.

Rayhana è lo pseudonimo dell’autrice algerina, emigrata in Francia, che ha scritto l'opera nell’ottica di sensibilizzare in merito all’emancipazione femminile anche le società più arretrate da quel punto di vista. Uno pseudonimo per poter raccontare la verità, perché anche nella Francia emancipata e moderna, Rayhana è stata aggredita, proprio mentre andava a teatro, da un gruppo di integralisti islamici per farle interrompere la sua lotta. Aggressione inutile, perché Rayahana continua, imperterrita, a denunciare la condizione della donna islamica nella convivenza con la cultura violenta e repressiva degli uomini.

Uomini assenti fisicamente in “Alla mia età mi nascondo ancora per fumare”, ma continuamente evocati, dipinti, tratteggiati, commentati e giudicati; uomini presenti con le loro barbe, simbolo del fanatismo religioso che si riflette nei dettami sociali, nell’oppressione della donna e del suo ruolo. Uomini che asserragliano il gruppo di donne, che invocano Allah, uomini che con la violenza abituale impauriscono e terrorizzano, ma che riescono anche ad unire le nove esistenze in un gruppo compatto, disposto a tutto: Samia afferma “A stare unite mi sento forte come un uomo” e Fatima la corregge “forte come una donna”, frase simbolo della conclusione tragica a cui lo spettacolo arriva.

Analisi viva di temi d’attualità, come dice la Sinigaglia nelle sue note di regia, “toccati con la sapienza di chi li conosce bene, per averli vissuti sulla propria pelle, e con la leggerezza (di calviniana memoria) che, sola, restituisce forza e incisività alla scena. Una storia vera, semplice, diretta, piena di vita e contraddizioni, e per questo, forse, anche più pericolosa.”

Articolo pubblicato su ArtApp 15 | LA DONNA

 

Chi è | Silvia Lombardi

Nomade per vocazione, due grandi passioni: la cucina e il teatro. Laureata in Antropologia dello Spettacolo a Bologna, si occupa di comunicazione e organizzazione teatrale: da poco ha festeggiato 10 anni di “cultivazione”, perché ogni spettacolo per cui ha lavorato è stato come un seme piantato nel terreno della promozione culturale. Assapora la vita attraverso gusti e ingredienti dai più semplici ai più complessi, sempre alla ricerca di stupore e meraviglia.

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© Edizioni Archos

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