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Fotografare Cuba 56 anni dopo

Liberarsi dalla prigione dei preconcetti per entrare tra le pieghe nascoste dell’isola della Revoluciòn


Foto © Marcella Marone

Cuba, prigione o tentativo politico quasi riuscito? Ad oggi è ancora impossibile, e spesso errato, costringerla in una definizione storica e sociale che possa contenerla. J.F. Kennedy la definì “The imprisoned Island”: un’isola prigioniera di dipendenze imposte da eventi interni ed esterni, prigioniera di rivoluzioni e involuzioni a livello locale e mondiale. Cuba è diventata nel tempo un simbolo, stimolando entusiasmi sociali e slogan politici ovunque: è l’isola che ha, così dicono, imprigionato un intero popolo. Mi innamoro perdutamente dell’odore dei calcinacci di edifici fisici e mentali che fremono nel tentativo di rinascere: se qualcosa sta cadendo a pezzi, percepisco uno spirito di rigenerazione che si protende in avanti al ritmo del Son, tra le parole di Chan Chan di Compay Segundo, una preghiera alla Vergine e un rituale di Santeria. Vedo un mondo che cerca di ricomporsi con infinito orgoglio, afferrandosi al passato, ma vivendo il presente e attendendo cautamente un futuro.

La forza con cui questa terra e la sua gente sfida l’immagine stereotipata che noi abbiamo è potente, ecco perché scegliere un progetto fotografico a Cuba è una responsabilità che cerco di assumere in modo consapevole: nel rispetto degli esseri umani che ritraggo, cerco di scostarmi dal prendere posizione per non essere io stessa prigioniera davanti al mio obiettivo. Preparo l’esplorazione e una breve conversazione telefonica con Gianni Minà mi fa pensare che l’approccio sia corretto: “Minà, lei che consiglio mi dà?”. “Vada senza pregiudizi di nessun tipo e si ricordi che la storia non è quella che spesso si legge, quelle sono palle che s’inventano, lei vada a vedere e racconti La SUA storia, vada a Cuba e guardi da sé”. Minà sottolinea le spesse radici culturali che hanno trovato terreno fertile a Cuba, dallIstituto del Cinema, poeti, musicisti, artisti e letterati che hanno tessuto trame complesse tra Cuba e il resto del mondo, alla Escuela de Ballet che ha visto nascere grandissime stelle del balletto classico, all’amicizia profonda con García Márquez.

Il mio lavoro sarà quindi quello di muovermi attenta e silenziosa, guardare e ascoltare con grande pazienza e rispetto ciò che la gente di questa Cuba post rivoluzionaria, e forse pronta a un nuovo passo, vorrà raccontarmi. La sua storia ha un ritmo, bisogna ascoltarlo, ha una vibrazione, bisogna percepirla, ha una provenienza e una sorgente… ci vuole pazienza perché direzione e luogo non sono mai cosi ovvi. Raccolgo la sfida di far parlare questi “prigionieri”. Cerco in questo modo di offrire al lettore frammenti di vita che ho raccolto in immagini in questi due anni di lavoro, vorrei parlassero loro a nome mio: il fil rouge sembra essere il sorriso, l’intelligenza, una cultura diffusa che impressiona e una forte, immensa determinazione.

Articolo pubblicato su ArtApp 16 | LA PRIGIONE

 

Chi è | Marcella Marrone Cinzano Piattaluga

Fotografa, radicata tra i vigneti di due continenti, italiana di famiglia, ma nata a New York. Vive e cresce in giro per il mondo, tra Barcellona, Ginevra, Francia, New York e Santiago de Chile. Approfondisce il lavoro sul ritratto e il reportage prima a Nizza, poi a New York (International Center for Photography) ed infine in Cile (Universidad Catolica de Cile) dove inizia a lavorare come ritrattista. Fotografare è per lei il luogo dove prende forma e sostanza il suo ‘daimon’. Dal 2006 vive e lavora in Italia, abitando nei suoi scatti e progettandoli.




© Edizioni Archos

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