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Giappone 1960: l’utopia dei Metabolisti


Progetti di architettura e urbanistica in Giappone nel secondo dopoguerra

Kisho Kurokawa, New Tokyo Plan (rendering), 1988

Nella prima metà degli anni ‘60 le stelle fisse dell’architettura erano Wright, Le Corbusier, Aalto, Mies Van Der Rohe. In Italia si stava esaurendo la spinta neorealista del Quartiere Tiburtino e della Martella, mentre si affacciava timidamente il neoliberty di Gabetti e Isola nella torinese Bottega d’Erasmo. Il resto era sperimentalismo a tutto campo che avrebbe portato all’utopia dei movimenti radicali fiorentini. In questo panorama arrivarono dirompenti dal Giappone le elegantissime immagini degli impianti olimpici disegnati da Kenzo Tange galleggianti sopra gli alberi del Parco di Yoyogi, ma, soprattutto, un nuovissimo piano per Tokyo sulla baia elaborato dallo stesso Tange con il gruppo di ricerca URTEC di To-Dai, secondo una inedita teoria che usava le comunicazioni come strutture dello spazio.

Per quanto utopistico, il Tokyo bay plan indicava nuove possibilità dell’urbanistica contemporanea superando i limiti di quella razionalista sperimentati a Brasilia, e mise il Giappone al centro del dibattito urbanistico internazionale. Così, subito dopo la laurea lasciai l’Italia e partii per l’oriente lontano, affascinato da quella cultura - come era accaduto al giovane Wright cinquant’anni prima - frequentai Kenzo Tange e la complessità delle sue macrostrutture, Noriaki Kurokawa e le sue singolarissime sperimentazioni urbane, ma soprattutto respirai aria nuova, ossigeno non trattato, quell’ossigeno che dà il colore ai fiori di pesco e alle sete delle geishe. Le amicizie che strinsi in quegli anni durarono tutta una vita. [...]

Dopo che il presidente della Japan Housing Corporation, Kyuro Kano, ebbe proposto la costruzione di una città satellite nella baia di Tokyo, molti giovani architetti presentarono progetti ancora più arditi. Kano pensava ad un interramento del golfo sull’esempio delle esperienze olandesi, così da acquistare terreno evitando la speculazione edilizia; Masato Otaka andò oltre: propose di costruire gli edifici direttamente sull’acqua, rendendo inutile un complicato sistema di dighe, perché le fondazioni avrebbero comunque dovuto raggiungere il fondo del mare, mentre Noriaki Kurokawa applicava le sue teorie all’area metropolitana di Tokyo, elaborando una serie di stimolanti progetti futuribili che avevano le radici nella capacità di rinnovamento dell’antica città giapponese.

Ad un livello più alto di utopicità erano infatti condotte le ricerche urbanistiche del gruppo Metabolism - nome con il quale si intendeva simboleggiare la sua visione della società come continuo sviluppo di un processo vitale basato sulla trasformazione delle città come strutture viventi (metaboliche). I membri fondatori erano Kiyonori Kikutake, Noboru Kawazoe, Masato Otaka, Fumihiko Maki, Noriaki Kurokawa, Arata Isozaki, Kiyoshi Awazu ed il giovane critico Noboru Kawazoe. [...]

Kenzo Tange, Tokyo Bay Plan (modello), 1960

L’utopia di Kiyonori Kikutake spinse fino alle estreme conseguenze l’idea dell’espansione verso il mare e propose la costruzione di gigantesche zattere di cemento armato mobili sull’acqua, come basamento per nuclei residenziali a torre per 3.000 abitanti. Caratteristiche comuni a tutti questi progetti erano il tentativo di definire una nuova scala dimensionale al cui interno recuperare libertà sempre maggiori, un ricambio continuo nel tempo e l’interesse per un naturalismo inedito, nel quale le proposte utopiche di Le Corbusier erano esaltate sino al parossismo e legate ad un utopismo sociale spesso ingenuo. [...]

Sia nell’elaborazione delle proposte che nella stesura delle loro giustificazioni teoriche, i giovani del gruppo Metabolism, pur dimostrando una notevole vitalità ed un sincero slancio verso soluzioni di tipo nuovo, rimasero impigliati in un troppo generico avanguardismo di maniera, dove i grandi problemi sociologici ed umani erano trattati in una dimensione talmente astratta e metaforica da perdere ogni traccia di possibile sviluppo metodologico, venendo meno, di conseguenza, proprio quel mordente e quell’incisività cui l’utopismo delle loro proposte tendeva palesemente. [...]

Le parole di Noboru Kawazoe, teorico del movimento, rilette adesso danno una chiarificazione definitiva: la nostra concezione per la città del futuro deve essere tale da comprendere in sé il disordine da cui ricavare un nuovo ordine...Ci deve essere un sistema che si possa eseguire in modo conseguente dal presente fino al futuro più remoto...L’aspetto delle città non sarà niente affatto univoco e prefissato…Lo sviluppo deve essere promosso in armonia con il metabolismo della città e della natura... Le nostre proposte non sono molto di più, in sostanza, che meri frammenti di un’immagine, o anche suggerimenti su quelli che ci sembrano i metodi e le vie da percorrere... [...]

È interessante pensare che progetti di questo tipo e di questa dimensione siano stati realizzati negli Emirati, dove scintillanti città sono state costruite su terreni artificiali nel mare.

Mumford aveva detto: "l’uomo è nato per fare le cose possibili, per immaginare le cose impossibili, e per fare anche quelle". (Lewis Mumford, La città nella storia, Edizioni Comunità, 1964)

Estratto dall'articolo pubblicato su ArtApp 18| L'UTOPIA


© Edizioni Archos

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