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Il laboratorio di un’utopia

Ettore Vadini

Matera, Adriano Olivetti e il Borgo La Martella

Il Borgo La Martella in costruzione, 1952

Se oggi Matera, dopo qualche anno dalla designazione, è nella condizione di potersi fregiare del titolo di Capitale Europea della Cultura 2019, questa riconoscenza la deve molto a un’utopia che Adriano Olivetti ha fortemente sostenuto per questa straordinaria città, che definì “capitale simbolica del mondo contadino” quando aspirava che di questo luogo venisse in luce non la “vergogna nazionale” ma piuttosto i suoi particolari valori antropologici e culturali. A poco meno di settant’anni dall’inizio di quegli eventi, che poi portarono alla realizzazione di borghi e quartieri moderni nell’agro materano, al trasferimento degli abitanti dei Sassi di Matera e al risanamento, si riaccendono i riflettori sul Laboratorio Matera, cioè su un contesto che negli anni Cinquanta, come dice M. Fabbri, ha visto “interventi caratterizzati da particolari condizioni politico-culturali, il cui interesse trascende ampiamente il ristretto limite provinciale e si inserisce con notevole peso in un preciso filone della cultura italiana”.


Rientrando oggi in quel Laboratorio, con il borgo La Martella dato come primo “esperimento”, si tratta di riguardare più un lungimirante progetto di sviluppo dell’Italia intera, Mezzogiorno compreso. Un “disegno” con il quale Adriano Olivetti, capitano d’industria e intellettuale attivo sui problemi urbanistici, architettonici, culturali e socio-politici nazionali, ha provato a mettere a sistema le esigenze di un capitalismo efficiente e moderno con quelle di salvaguardare una società complessa qual era quella italiana del dopoguerra, sia del Nord (Piano del Canavese, 1952) che del Sud (Matera, La Martella, 1951), distribuita nel territorio in modo discreto, secondo tante “comunità”, che potevano risolvere con la propria economia i loro problemi senza dissolversi come tali.


Foto aerea Borgo La Martella


Un’utopia, appunto, che elevata poi anche a proposta politica (1958) puntava a saldare i problemi territoriali e urbanistici con quelli socio-culturali e dello sviluppo economico italiani, in un modo unico e originale, col regionalismo. Il Laboratorio Matera difatti, come il Canavese, poté concretizzarsi culturalmente grazie agli studi intorno al concetto di regione: quelli elaborati prima da Geddes e poi da Mumford, che per volontà di Olivetti apparvero prima su "Metron", poi su "Urbanistica e Comunità" e poi ancora sulle "Edizioni di Comunità". Studi che avevano già misurato i problemi sul rapporto società-ambiente così com’erano venuti a configurarsi in altri Paesi più avanzati del nostro, nelle politiche di sviluppo dell’agricoltura e dell’industria e nell’integrazione città-campagna.


Adriano Olivetti, che tra gli anni Venti e Trenta frequenta ambienti liberal-riformisti e soprattutto gli USA per mettere in pratica un innovativo programma di sviluppo dell’azienda di Ivrea con metodi moderni di produzione e di organizzazione del lavoro, nel 1948 diventa membro del consiglio direttivo dell’Istituto Nazionale di Urbanistica e come prima cosa fa rinascere la storica rivista “Urbanistica” firmando un primo editoriale, Riprendendo il cammino, in forma di “urgente appello [per] le forze ancora disperse”. Da qui, convinto sostenitore del primato politico dell’urbanistica e della pianificazione, Olivetti orienterà le sue azioni che interesseranno il territorio italiano post-bellico, che è tutto da ricostruire e conferire nuova dignità pensando ai suoi abitanti.



Due anni dopo, nel 1950, con l’appoggio di un gruppo di architetti progressisti (tra cui Quaroni, Samonà, Bottoni, Belgiojoso, Gardella, Aymonino), diventa presidente dell’INU e in veste pure di vice presidente dell’UNRRA-Casas si attiva per dare una nuova direzione ai programmi della Ricostruzione, fino allora presi più come semplice fatto edilizio, specie nel Mezzogiorno. In quello stesso anno, quando a Ivrea lancia la "Lettera 22", apre servizi per i dipendenti (asili, convalescenziari, colonie estive) e consolida la rete delle aziende all’estero, Adriano Olivetti arriva a Matera; utopista ma concreto qui capisce che è necessario fare subito qualcosa, un modello di intervento in una città in miseria, in gravi condizioni igienico-sanitarie (l’indice di mortalità infantile era sopra il 40%) e con un alto tasso di analfabetismo, il tutto aggravato dalle “ferite” di guerra. Matera, La Martella, diventa quindi l’occasione per realizzare un intervento modello di “risanamento” ma anche per fornire un esempio concreto alla Questione Meridionale.


Una Questione di cui era a conoscenza grazie a quel complesso di studi che documentava problemi, ma soprattutto valori, del mondo contadino: dall’apporto di G. Fortunato e di G. Salvemini fino agli Atti della Commissione Parlamentare d’Inchiesta sulle condizioni dei contadini nell’Italia Meridionale e nella Sicilia (inchiesta guidata da F.S. Nitti dal 1906 al 1909); in particolare, sulla situazione lucana e materana, dal famoso discorso di G. Zanardelli a Potenza (1902), dalle relazioni di L. Crispino (1938) e V. Corazza (1941), dal "Cristo si è fermato a Eboli" (1945), dalle poesie, studi e dalle inchieste dei suoi amici C. Levi e R. Scotellaro, dai discorsi e dai piani di M. Rossi-Doria e N. Mazzocchi-Alemanni e infine, paradossalmente, anche dalla propaganda fascista.


Olivetti, affiancato dal gruppo di progettazione formato da Quaroni, Agati, Gorio, Lugli, Valori, dalla Commissione per lo studio della città e dell’agro di Matera e da giovani attivisti come L. Sacco e M. Fabbri (fondatori della storica rivista comunitaria Basilicata), porta a Matera una visione organica introducendo nel servizio sociale e nell’urbanistica il concetto di “pianificazione” e la trasforma, secondo un principio dialogico, con azioni concrete come sarà il Borgo La Martella. Matera diventa così un laboratorio, che va oltre il tecnicismo e l’autoreferenzialità e dove è il metodo interdisciplinare a imporsi. Attraverso la sua regia Olivetti trasferisce competenze e crea, attraverso quel fertile confronto tra discipline, i presupposti per un preciso obiettivo: la ricostruzione di luoghi che restituissero dignità e cittadinanza alle persone, attribuendo alla parola “comunità” tutti quei valori che la modernizzazione doveva considerare.


Planimetria Borgo La Martella


Difatti, l’inadeguatezza delle politiche parallele della Riforma agraria, le case sparse ovvero i “metodi di insediamento a fitton di rapa che gli Enti di Riforma hanno praticato”, già facevano intravedere le condizioni di un fenomeno migratorio in esplosione per masse di famiglie contadine diseredate.“[...] il problema del Sud non è semplicemente quello di effettuare una ridistribuzione di ricchezza trasferendo nel Mezzogiorno capitali del Nord, né è semplicemente quello di provvedere a uomini, borghi, paesi, troppo a lungo dimenticati; il problema del Sud è quello di una visione politica originale e moderna che postula organismi e metodi di tipo nuovo, nell’identificazione delle comunità organiche, nell’impostazione di un’articolata politica di insediamenti urbanistici, nella progettazione e istituzione di strumenti democratici di controllo e propulsione delle iniziative economicamente produttive”.


 

Chi é | Ettore Vadini

Ricercatore in Composizione Architettonica e Urbana presso il Dipartimento delle Culture Europee e del Mediterraneo di Matera (UniBas) ed è tra i fondatori della Società Scientifica Ludovico Quaroni. Insieme a Federico Bilò è autore del libro Matera e Adriano Olivetti. Testimonianze su un’idea per il riscatto del Mezzogiorno delle Edizioni di Comunità. Dal 2011 ha scelto come domicilio il Borgo La Martella.

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