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Imprenditoria e Italian Design

Il successo del design italiano è dovuto al coraggio e alla lungimiranza degli imprenditori più che ai designers, che sarebbero stati degli ottimi architetti ma non avrebbero legato il loro nome agli oggetti meravigliosi che i loro editori, rischiando, hanno reso godibili dal grande pubblico


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Giovannetti, divano "Anfibio", designer Alessandro Becchi


Cento anni fa il Bauhaus lasciava Weimar per Dessau dove, negli edifici di Gropius, avrebbe raggiunto il suo momento più fulgido che sembrava promettere un grande futuro.

Se la lezione del Bauhaus è rimasta a lungo solo sulla carta a disposizione dell’umanità, ritengo che il motivo non sia solo da ricercare nel nazionalsocialismo che avversò questa scuola costringendola, prima a spostarsi a Berlino per poi farla chiudere definitivamente, ma soprattutto sulla mancanza di un imprenditore visionario che intuisse che i progetti del Bauhaus meritavano la produzione in serie, ovvero che un catalogo con tutte le opere di Mies Van der Rohe, Lily Reich, Marcel Breuer, Gropius, Mart Stam, Oud, Anni Albers, Wagenfeld, Marianne Brandt ecc. che avrebbe potuto diventare qualcosa di monumentale e cambiare il corso della storia del design.

 

Invece l’editore dei prototipi di tutte, o quasi, le opere dei docenti e degli studenti del Bauhaus, che era Walter Knoll, una volta finita l’esposizione al Weissenhof, dove un intero quartiere fu progettato dai più grandi architetti del momento e le cui case erano state arredate con i mobili da lui prodotti su disegno dei maestri del Bauhaus, pensò bene di archiviare il tutto e proseguire con la sua tradizionale produzione.

 

Sarà suo figlio Hans, emigrato negli Stati Uniti, e sua moglie Florence, a mettere in produzione i disegni di Mies Van der Rohe e Lily Reich ben 20 anni dopo, fondando la ben nota Knoll International, una delle poche aziende di design operante negli Stati Uniti. Al contrario in Italia il comparto del design ha attratto una miriade di imprenditori che hanno creduto in questa disciplina e hanno determinato il successo dell’Italian Design, costituito da una moltitudine di aziende e da una platea di designers provenienti da tutto il mondo, designers che non trovando in patria aziende credibili hanno scelto l’Italia per operare e alla fine anche risiedere.


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Poltronova, specchio "Ultrafragola", designer Sottsass e poltrona "Joe" designers Jonathan De Pas, Donato D'Urbino e Paolo Lomazzi


È incredibile che questo teorema, ovvero che il successo del design italiano sia dovuto agli imprenditori più che ai designers, sia assente in tutti i testi sacri dove si parla dei designers e si svicola sugli imprenditori. Figure come Gavina, Cassina, Cammilli, Borsani, Molteni, Zanotta e in seguito, Astori, Cappellini ecc. che sono stati l’hard senza il quale gli Scarpa, i Castiglioni, i Bellini, gli Albini, i Frattini e compagnia cantando, sarebbero stati degli ottimi architetti ma non avrebbero legato il loro nome a degli oggetti meravigliosi che i loro editori, rischiando, hanno reso godibili dal grosso pubblico. La storia dell’imprenditoria italiana del design è tutta da scrivere!

 

E che dire dei designers stranieri emersi solo grazie agli imprenditori italiani? Philippe Starck, Patricia Urquiola, Marc Newson, Richard Sapper, Ron Arad e Anastassiades sono diventati noti e si sono affermati dopo essere stati scoperti da imprenditori italiani che hanno creduto in loro. La cosa strana è che questi imprenditori hanno origini molto diverse, ovviamente ci sono quelli che vengono dal “truciolo” come Cassina, che ereditata l’azienda paterna avviano il processo di riconversione affidandosi al proprio istinto, oppure intellettuali autodidatti come Gavina che, all’indomani della Seconda Guerra mondiale si improvvisa imprenditore e lancia designers come gli Scarpa e i Castiglioni.

 


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