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L’Aquila immota manent

Ettore Vadini

L’Aquila, dopo la sua fondazione, a metà del XIII secolo, ha avuto la forza di rinascere più volte dopo eventi distruttivi, non solo sismici


La facciata di un edificio storico nel centro di L'Aquila puntellato dopo il sisma del 2009 | Foto © Aurelio Candido


L’Aquila è una città con uno straordinario coraggio di fronte alle paure della storia. Eventi della Storia, per inciso, non solo della Natura. Qui si tratta di una città resiliente che dopo la sua fondazione, a metà del XIII secolo, ha avuto la forza di rinascere più volte dopo eventi distruttivi, non solo sismici. L’Aquila “rimane immutata”, appunto, per parafrasare Virgilio (le Georgiche) e Massonio che riprende e iscrive la famosa frase Immota Manet sullo stemma cittadino.

 

La città dell’Aquila, va ricordato, non nasce per spinta di Papa Gregorio IX, per quelle due missive del 1229 a sostegno del popolo dei castelli intorno all’Aterno represso dal Regno di Sicilia, ma per il Privilegium concessum de constructione Aquilae, detto di “Federico II”, che nel 1254 così dispone: “al fine di impedire a generici predoni, che davano manforte a quanti, traditori e ribelli, si schieravano contro l’impero, di penetrare nel Regno, nel luogo […] tra Amiterno e Forcona, laddove vi sono castelli sparsi ma fedeli, si costruisca una città che appunto si chiami Aquila” (Clementi, Piroddi, 1986).


Immagine satellitare della città dell’Aquila. Per gentile concessione del Comune dell’Aquila 


Siamo in uno scorcio medievale di continui rivolgimenti e ansie storiche: deceduto Federico II di Svevia gli succede suo figlio Corrado IV, che però muore di malaria nel 1254; il potere così passa a Corradino di Svevia su cui Papa Innocenzo IV rivendica la tutela per la sua giovane età, dunque la reggenza del Regno di Sicilia davanti a Manfredi (fratellastro di Corrado IV); nel 1257 Papa Alessandro IV autorizza il trasferimento della sede episcopale da Forcona a L’Aquila facendo leva su una tendenza “guelfa” degli aquilani; nel 1258 Manfredi si fa eleggere re di Sicilia e inizia a reprimere nuovamente la città fino a distruggerla nel 1259.

 

L’Aquila sarà risollevata solo dopo la battaglia di Benevento (1266) con Carlo I d’Angiò, cioè con colui che apre il Regno di Sicilia alla dinastia capetingia-angioina. Così in quella che sarà ricordata come la prima ricostruzione di questa singolare città emergono già due dati distintivi: il desiderio degli aquilani a rimanere nella civitas nova per riaffermare una liberazione dal feudalesimo e l’interesse di un Regno ad un presidio “ghibellino” al confine con la Chiesa.


Pianta dell’Aquila eseguita dal Vandi nel 1753 | A. Clementi, E. Piroddi, L’Aquila, Editori Laterza, 1986 


La ricostruzione angioina ha immediate e positive ripercussioni, soprattutto perché viene trovata una soluzione per quei castellani detentori di diritti: ogni comunità, infatti, avrebbe occupato un “locale” (un isolato) della nuova città per realizzare lì case, annessi e la propria chiesa, e mantenuto i diritti di pascolo oltre le mura rispettando gli Statuta Civitatis. Sono questi i motivi principali che giustificano, ancora oggi, la forma urbana dell’Aquila, data per aggregazione di tanti isolati, ognuno con una chiesa. Un mito vuole che siano 99, tanti quanto i castelli, tanti quante le cannelle della fontana della Rivera (1272).

 

Alla fine del XIII secolo L’Aquila conta diverse migliaia di cittadini ed è il principale presidio del Regno negli Abruzzi, vanta un tratturo regio, ha importanti interessi mercantili, per la lana e lo zafferano, trovandosi tra Napoli e Firenze. Qui vari ordini religiosi realizzano importanti chiese e conventi, in particolare i benedettini, che nel 1294 concludono il complesso di S. Maria di Collemaggio per l’incoronazione di Papa Celestino V. Alla ricostruzione angioina sono da attribuire la griglia ortogonale e l’organizzazione urbana per locali e quarti, mentre all’impianto originario svevo sono da attribuire la piazza del Mercato (o del Duomo) ed alcuni tracciati viari dal borgo di Acculi a porta Bazzano. La suddetta piazza, che accoglie la cattedrale di SS. Giorgio e Massimo (il Duomo, XIII sec.), è difatti il fulcro della ri-fondazione: l’”addizione angioina”, di stampo ippodameo, si sovrappone al disegno svevo con un reticolo costituito da cinque grandi direttrici e poi da tanti isolati e nodi urbani. I cosiddetti “locali”, occupati con edifici civili e religiosi, verranno ad aggregarsi ai “quarti”, cioè a quattro quartieri che fanno riferimento ad altrettante chiese “capo di quarto”: S. Maria, S. Giorgio (oggi S. Giusta), S. Giovanni (oggi S. Marciano) e S. Pietro.


Sede temporanea del Conservatorio “A. Casella” (MUSP - Moduli ad Uso Scolastico Provvisorio) | Foto © Sergio Camplone

 

D’altra parte, sin dalla fondazione L’Aquila e gli aquilani hanno reagito straordinariamente ad un’altra paura: quella per i terremoti. I più violenti (1349, 1461, 1703, 1915 e 2009) hanno portato “una interruzione continua del processo di sedimentazione formale […] caratterizzandola, viceversa, per i contrappunti, le dissonanze, le citazioni che i pezzi ricomposti della città distrutta e ricostruita producono” (Clementi, Piroddi, 1986). Così dopo il primo grande terremoto, quello del 1349, L’Aquila è teatro di un grande sviluppo mercantile (e urbano) tanto che a metà del XIV secolo la città vanta un “Reggimento ad Arti” che avrà riconoscenza pubblica fino alla rappresaglia di Filiberto d’Orange quando qui, difatti, inizia un nuovo periodo di angoscia, con l’occupazione militare del 1529, la cancellazione della libertas aquilana e con l’imposizione di una tassa per finanziare il Forte spagnolo eretto ad reprimendam aquilanorum audaciam.

 

L’Aquila saprà reagire anche al devastante terremoto del 1703, seppur più lentamente, arrivando alla fine del XVIII secolo ad un assetto di assoluta qualità urbana. Per più di un secolo, infatti, sarà interessata dalla ricostruzione di tutti i quarti e di piazza Mercato, lì dove il duomo verrà ristrutturato secondo Controriforma e dove, sul lato meridionale, verrà edificato ex novo la chiesa di S. Maria del Suffragio con una facciata borrominiana e una cupola a firma del Valadier. Anche il S. Bernardino, uno dei capolavori tardo rinascimentali aquilani, vedrà in questo periodo un notevole recupero in stile barocco ad opera del Contini (allievo del Bernini), così come il Palazzo del Capitano (o di Margherita d’Austria).


Auditorium del Parco (Renzo Piano  Building Workshop, 2012) | Foto © Sergio Camplone

 

Alle soglie del ‘900, con l’industrializzazione dell’Italia, L’Aquila comincia a perdere man mano quel ruolo di cerniera tra nord e sud. Tuttavia, prima che il 2009 segni il riavvio di un’altra straordinaria risposta aquilana, è col terremoto del 1915 che la città, attraverso vari Piani, inizia a darsi misure preventive di salvaguardia in relazione alla sua fragilità. Tra le due guerre poi, come per molti capoluoghi di provincia italiani, anche L’Aquila si vedrà nel centro storico tutte quelle operazioni architettoniche rappresentative del Fascismo: si tratta di edifici pubblici, di assicurazioni, banche, cinema e di complessi per abitazioni e negozi che preannunciano il futuro carattere terziario della città. Mentre i decenni che separano il dopoguerra dal XXI secolo saranno ricordati come quelli dell’abbandono del suo centro storico.

 

Riguardando L’Aquila oggi termini quali “paura” e “Natura”, ma anche “riscatto”, vanno associati al terremoto del 6 aprile 2009. Quel tragico evento, all’epoca della comunicazione, ha scosso in tempo reale le coscienze del mondo. E se in un primo momento emergenziale la città ha rimediato alla devastazione con 19 nuclei residenziali extra moenia - le cosiddette “new town” - in un secondo momento, più riflessivo, l’ennesima ricostruzione l’ha vista come l’opportunità di un nuovo riscatto, legato alla cultura, alla ricerca e al turismo sostenibile. Ridando così vita al suo patrimonio intra moenia, oggi L’Aquila è una città d’arte inserita nel circuito del turismo culturale e vede sempre più il ritorno di residenti e di istituzioni dedicate alla ricerca e alla cultura.


Palazzo Ardinghelli (XVIII secolo) sede del MAXXI L’Aquila | Foto © Ettore Vadini 


In questo nuovo scenario sono importanti realtà il MAXXI L’Aquila nel Palazzo Ardinghelli, il Museo nazionale d’Abruzzo nel Forte spagnolo, l’Accademia di belle Arti, il Conservatorio Alfredo Casella, il Teatro Stabile d’Abruzzo, l’Università dell’Aquila, il Gran Sasso Science Institute. E non meno, poi, è l’iscrizione della Perdonanza Celestiniana nella “Lista del Patrimonio Culturale Immateriale” dell’UNESCO.

 

A questo enorme e partecipato lavoro, che ha tra gli obiettivi principali quello di trasmettere all’umanità un grande patrimonio materiale e immateriale, hanno contribuito cittadini, volontari, associazioni, imprese, enti, istituzioni, governi italiani ed esteri. E anche stavolta il mondo dell’architettura non si è sottratto, guidando complesse ristrutturazioni con le più avanzate tecniche antisimiche e di restauro, ma anche dato spinta all’azione di ricostruzione offrendo progetti nonché significative opere: è stato il caso, ad esempio, di A. Citterio e P. Viel con la Chiesa di S. Bernardino in Piazza d’Armi (2010), di S. Ban con la Paper Concert Hall (2011) e di R. Piano con l’Auditorium del Parco (2012).

 

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