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La comunicazione non verbale

L'uso di determinati colori è una modalità di comunicazione tra le persone, che spesso funziona meglio delle parole

Egungun Festival, Photo © Dan Kitwood

In Principio Dio creò il cielo e la terra. Il mondo era vuoto e deserto, le tenebre coprivano gli abissi e un vento impetuoso soffiava su tutte le acque. Dio disse: «E sia la luce!» In un'epoca in cui la comunicazione sembra funzionare soprattutto attraverso sistemi digitali, dove questi ultimi, grazie alla diffusione dei telefoni cellulari, creano nuovi fenomeni sociali come quelli d’individui che rinunciano all'incontro fisico per digitare messaggi puramente virtuali, sembra ridicolo, se non impensabile, scambiare informazioni mediante l'uso dei colori. Eppure avviene quotidianamente con altre modalità, anche attraverso il modo con cui ci vestiamo e ci presentiamo di fronte al prossimo. Può sembrare una banalità, ma i colori, con cui scegliamo il nostro abbigliamento, rappresentano anche il nostro modo di essere, la nostra cultura, e, seppur inconsapevolmente, il nostro carattere.


Il mondo non è tutto uguale a questo proposito. I paesi più ricchi amano poco i colori, specie quelli vivaci, e tendono a seguire le mode e le griffe più o meno famose nella scelta quotidiana, con una prevalenza di nero, paradossalmente un non colore, considerato però il colore più elegante, o di bianco, esso pure non colore, ma neutro. Sembrerebbe quindi che nel mondo occidentale l’abito colorato sia destinato a pochi individui, orgogliosi della propria diversità, salvo nel mondo sportivo. Qui i colori debbono servire a creare un senso di appartenenza a un gruppo e in questi casi è molto evidente il messaggio anche a rovescio: se non indossiamo il colore della squadra più forte, rischiamo di essere maltrattati dai tifosi contrari. Nei paesi più poveri l'abbigliamento punta su colori vivaci, spesso policromatici, quasi a simulare le tinte dell'arcobaleno.


Li possiamo trovare in culture molto lontane fra loro, come tra i popoli andini o in quelli del sud est asiatico, testimonianza dell’universalità del colore, come espressione di vita e di gioia e di contatto più vicino alla Natura. In passato il colore era usato anche per fini terapeutici. La cromoterapia ovvero la medicina del colore era nota fin dal tempo degli Egizi, anche se forse furono i Pitagorici a sviluppare per primi il principio della terapia con la luce colorata. Il guaritore, fatta la sua diagnosi sulla carenza di un colore che causava la malattia, poneva il paziente in una stanza colorata di quella tinta, affinché ne potesse attingere e guarire. Nel Medioevo l'uso del colore a scopo terapeutico era ben noto. La gente più ricca sceglieva stoffe molto colorate per mantenere una buona salute.


Finestra istoriata della Basilica di Notre Dame a Chartres, Francia


Chi ha visitato la Basilica di Notre Dame a Chartres comprende facilmente il fascino del colore, ricevendo la luce blu dalle ampie e suggestive vetrate. Il blu di Chartres, tanto famoso e tanto misterioso per la sua origine (si parla di esperti alchimisti che idearono i vetri meravigliosi dell'edificio) non fu allestito per meri scopi estetici: i fedeli andavano in chiesa anche per guarire dai mali fisici e la luce, opportunamente filtrata da queste vetrate, unitamente a musica e preghiera, forniva loro energie per la guarigione. L'Illuminismo e la conseguente fiducia nella Scienza moderna hanno progressivamente fatto abbandonare queste strategie curative, visto che lo sviluppo della chimica e di conseguenza dei farmaci, fece pensare che colore e energie luminose fossero solo un retaggio inutile e inefficace del passato.


Solo negli anni '80 si sono ripresi studi sull'efficacia dei colori per aiutare la ripresa dei malati, evidenziando che alcuni colori aiutano a rilassarsi, mettendo di buon umore, altri possono creare agitazione, andando a rinvigorire le pulsazioni cardiache. Nel San Francisco Medical Center, ad esempio, per i colori alle pareti, sono state adottate gradazioni di giallo e arancione. Secondo i medici, questi colori alzano il morale dei pazienti e li motivano a guarire più in fretta e in generale si pensa che esista una distinzione tra colori positivi che scaldano e stimolano (rosso, arancio, giallo) e colori negativi che raffreddano (blu, indaco, violetto). Se il colore quindi può fornire una sorta di terapia sottile, è altrettanto vero che il colore può rappresentare un mezzo di comunicazione importante, soprattutto quando siamo in presenza di bambini piccoli, che non hanno maturato ancora un linguaggio complesso, o di persone con disabilità legate alla capacità di espressione.


Nella scuola “Paz e Vida” di Arequipa, nata in Perù con un progetto pilota per migliorare e per stimolare i sensi dei bambini e educarli a messaggi di pace, le aule sono state dipinte con colori molto vivaci. Il colore degli abiti potrebbe anche costituire un buon veicolo di comunicazione negli ambienti professionali come quelli sanitari, dove purtroppo il bianco sembra essere la tinta dominante, probabilmente per esigenze pratiche (pulizia degli indumenti) e per retaggi culturali (la figura del medico o dell’infermiere è sempre associata a un camice immacolato). Nell’accezione comune il medico deve visitare il paziente con un camice bianco, possibilmente senza stropicciature o macchie. I cataloghi delle principali aziende di camici per la sanità ne sono uno specchio, prevedendo solo tinte standard come il bianco o il verde. A seconda del colore della pelle, degli occhi e dei capelli invece si potrebbe determinare un ventaglio di tonalità “amiche” e uno di “nemiche” nella comunicazione, ovvero colori che aiutano a creare una visione armonica delle persone e quindi un aspetto di “accoglienza” e colori che accentuano, al contrario, piccoli difetti con un messaggio di “difesa da”.



In passato, in Italia, l’effetto cromatico nell’ambiente sanitario è stato studiato valutando il gradimento dei camici colorati in un ambulatorio medico, intervistando 65 soggetti, per comprendere se l’uso di questa strategia comunicativa potesse essere efficace e gradita al pubblico. Puntando sul colore blu o verde per i camici dei medici, colori che trasmettono tranquillità e affidabilità e colori rosa (positività e ottimismo), verde e blu, per le divise delle infermiere, si è chiesto al pubblico un giudizio. Quasi l’80% delle persone rispose positivamente, affermando che i camici colorati potevano trasmettere emozioni positive (serenità, tranquillità, rilassamento) indispensabili per un buon rapporto medico-paziente. Solo un 20 % rispose con indifferenza, non manifestando interesse per queste scelte. Non sappiamo se questi dati siano ancora attuali dopo vent’anni, ma la scelta di “colorare” vestiario e ambienti collegati con la malattia e la sofferenza, potrebbe essere una strada per migliorare il complesso rapporto tra medico e paziente e più in generale per migliorare l’umore e la salute in modo semplice ed economico.




© Edizioni Archos

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