Lazzaro 2025: "Viva voce" di Stefano Adami
Diario di bordo di un ictus, filologica ricostruzione a puntate dello sfacelo fisiologico scritto dall’autore in condizioni disastrate

Caspar David Friedrich Il viandante sul mare di nebbia, Museo Hamburger Kunstalle, Amburgo
L’ho incontrato, Stefano Adami, forse trent’anni fa, a Glasgow, a un convegno universitario. La sera del primo giorno mi ha accompagnato all’albergo dal ristorante e avremo rifatto sotto la luna tre o quattro volte quel percorso, sempre parlando. In quella notte scozzese è iniziata la nostra amicizia. Questo preambolo personale per introdurre il suo testo sapienziale, Viva voce, edito a cavallo tra 2024 e 2025 da Effigi, non ho altro termine per definirlo. Si tratta del diario di bordo di un ictus, filologica ricostruzione a puntate dello sfacelo fisiologico scritto in condizioni disastrate, con una mano che azionava il cellulare, l’altra come l’intera zona sinistra del corpo del tutto immobilizzata. E dunque i refusi che si leggono adesso mantengono la verità dell’impulso verbale da cui fuoriesce a fatica il discorso, che irraggia zoppicando e slittando negli incidenti di battitura.
Esibizione un po’ narcisista se vogliamo, ma consueta oggi nella pubblicità data alle proprie malattie, ad abbassarne la paura attraverso la ricezione degli altri. E questo striptease della caduta e della ripresa comunicativa con il mondo funge insieme, per uno studioso che girava al di qua e al di là dell’Oceano a tenere conferenze, da cronaca della riappropriazione graduale della voce, all’inizio dopo la tremenda botta mero borborigmo smozzicato e autistico.
Ebbene, quando si è trovata bloccata in una terrorizzante situazione, la psiche anche senza parole reagisce con le sue difese. Eccolo allora come nella classica discesa all’Ade, o κατάβασις, dell’eroe classico, incontrare i morti, prepararsi in qualche modo a divenirlo. Ulisse, novello Enea, dialoga con il padre e con lo zio, a cercare senso nel passaggio traumatico cui è chiamato. Perché la Signora con la falce ripasserà più avanti. Sta a lui decidere a questo punto cosa fare. Bisognerà pertanto tirarsi su dalla palude afferrandosi per i propri capelli, immagine del suo amato Nietzsche.
Dopo l’exergo celiniano “Un’arteriuzza che scoppierà nell’encefalo…L’anima se ne esce di lì”, rubato a Morte a credito del geniale medico antisemita, ascoltiamo il folgorante incipit: “Il pomeriggio del 23 marzo del 2019, poco dopo le 3, sono morto. Questo è quello che è successo dopo”. Lo sente arrivare il colpo, lo scambia all’inizio per un attacco di asma o di cuore. Si tratta viceversa di un “Vajont di sangue” che gli dilaga nel cervello.
La letteratura diventa nel racconto arma di resilienza, premessa per la vittoria sia pure momentanea della vita. Scorrono infatti i momenti della fisicità bruta e quelli del pensiero, gergalità vernacola e intrusioni British, bibliografie da Robert Frost a Vargas Llosa e a Joyce, autori a suo tempo ben metabolizzati da Stefano ma ora ruminati in un’incerta memoria, senza poter disporre della biblioteca sequestrato com’è in un asettico milieu ospedaliero.
Incalzano citazioni bibliche dal Qohelet e spunti vagabondi sulla guerra tra russi e nazisti. Vengono altresì in primo piano incastri di racconti ebraici, alla maniera di Bulgakov, mescolati a ritratti schizzati su altri pazienti e sul personale sanitario, di volta in volta mutato negli spostamenti da una clinica “della buona morte” all’altra.
Ma intanto si susseguono i graffi iracondi, magari attivati da messinscene del teatro della mente, tenuta sveglia come nastro riavvolto in un pc difettoso. Ci rovescia i suoi sogni di abiezione e di grandezza, butta fuori da sé l’angoscia a ridosso dell’incauto lettore, col gesto che Benjamin riscontrava nei bambini che giocano al lupo per non temerlo. Così, il delirio di trovarsi direttore del "Corriere della Spera", o della Spara, autentica fantasmagoria alla Campanile o witz buzzatiano. Il tutto guizza e ribolle tra imprecazioni blasfeme e invettive della sua regione fumantina, le ironie e le autoironie con cui ridimensionare la disperazione e la cupezza, mettendole in terza persona, alla ricerca caparbia di oralità, mentre la voce dentro la storia risulta invece inceppata. Si snoda in tal modo la descrizione di un viaggio logorante per il sistema nervoso e per la dignità dell’Io entro le maglie insane della sanità pubblica, mi si passi il gioco lessicale.
Un po’ Giornalino di Giamburrasca, Stefano ci affabula giorno dopo giorno riguardo l’incontro con medici (tigresche e sadiche le dottoresse tra parentesi, dai begli occhi verdi, anzi “begi” per rispettare la grafia incerta dello scritto) e infermieri (dai quali nelle prime scene è convinto di essere segato). Camici bianchi per lo più privi di sensibilità nel rilasciare diagnosi sfingee, incapaci di cogliere la persona nell’oggetto rotto che si trovano davanti. La rianimazione nel frattempo lo vede acquattato in una camerata da girone dantesco, con il dolore degli altri che riverbera e moltiplica il suo, lungo le varie stazioni di un Golgota ilaro-tragico.
Poi, una volta uscito dalla degenza biennale, tra il 2 marzo del 2019 e il 4 maggio del 2021, 153 paginette serrate e nonostante tutto ariose, gli si annunciano gli esercizi di riabilitazione, ai cui centri neurologici viene del resto dedicato il racconto di questo Lazzaro, resuscitato non da Gesù ma dalla sua voglia di rinascere comunque. Fisioterapie necessariamente rallentate e graduali, nondimeno indispensabili a resettare fin dove possibile la macchina avariata. Fa in tempo, però, Adami dall’erculea finitezza a scoprire la verità di Wittgenstein. Secondo il filosofo di Cambridge nella stessa comunità una medesima parola muta significato a ogni parlante. Ma lo diceva anche Il Padre nel pirandelliano Sei personaggi in cerca d’autore. Per cui si smorza d’incanto l’ansia del sentirsi isolato nella propria disabilità, alias linguaggio privato, se è destino universale la solitudine degli esseri umani.
Interessantissimo libro! L'ottima recensione ne coglie lo spirito e ne rievoca i punti salienti invogliando alla lettura e ad una rilettura piu' attenta ai tanti non casuali riferimenti.