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Mondi (im)possibili?

Come sarà il mondo tra 50 o 100 anni? La risposta è nella consapevolezza soggettiva della gravità dello stato attuale di salute del Sistema Terra


Venezia 2100, Vision by ZEDAPLUS


“II battello a idrogeno lascia il porto di Udine e si avvia rapido e silenzioso verso il grande mare Padano, sfiorando la fascinosa riviera veneta con le Dolomiti incombenti, la prua verso i monti Lessini, emergenti dall'acqua come tante piccole dita, e poco più avanti la città di Verona, coi suoi tesori - in testa l'Arena -messi in salvo all'asciutto a dieci chilometri dal sito originario. E poi Venezia, la città a forma di pesce, che un pesce davvero è diventata, tutta immersa nell'acqua e il solo campanile di San Marco -la sua punta- visibile a pelo d'acqua.” Comincia così, nell’anno 2786 il Grand Tour immaginato da Telmo Pievani e Mauro Varotto nel libro Viaggio nell'Italia dell'Antropocene. La geografia visionaria del nostro futuro (Aboca Edizioni).


Fantascienza? Sì, in qualche modo si: o forse, meglio, fantageografia, ma con radici nella realtà. Il 2786 non una data a caso, ma un millennio esatto dopo il famoso Viaggio in Italia di Goethe, la più alta e compiuta espressione del Grand Tour, il viaggio nella natura e nell'arte del Belpaese che ogni persona di cultura europea doveva compiere per completare la propria formazione. Mille anni dopo, che Italia sarà? O, più precisamente: che Italia stiamo lasciando a chi vivrà quel tempo? Non è possibile saperlo perché è impossibile fare previsioni sui cambiamenti climatici a così lunga scadenza e perché non si può sapere se e in quale modo l'umanità riuscirà a cambiare rotta e invertire il percorso attuale che conduce verso una catastrofe.


Milano 2050, Vision by ZEDAPLUS


Prova a rispondere a questo interrogativo il disegnatore e artista slovacco Martin Vargic, elaborando una mappa che rappresenta lo stivale italiano fra 78 anni: sarà il 2100 e l’innalzamento del livello del mare causato dal riscaldamento globale avrà fatto scomparire intere città. Considerando le consistenti accelerazioni del cambiamento climatico, non si può fare a meno di chiedersi: come muterà l’aspetto del mondo nel futuro prossimo? Se tutto continuerà ad andare per il verso sbagliato e non si attueranno le giuste misure per evitarlo, si assisterà alla fusione dei ghiacci perenni e all’innalzamento del livello dei mari. Per riflettere sui rischi concreti a cui si potrebbe andare incontro, si è provato a immaginare graficamente come si trasformeranno alcune città italiane proiettandoci - in maniera distopica - nel 2100. L’impatto dell’uomo sul pianeta produrrà effetti devastanti contribuendo a cambiare il clima e pertanto anche la conformazione della superficie terrestre.


La Pianura Padana sarà quasi completamente allagata; i milanesi troveranno il mare sotto casa; tantissime altre città saranno interamente sommerse; Roma, la “città eterna” sarà spalmata - il Colosseo qui, il Foro romano là- tutto sott’acqua. Uno scenario giudicato per fortuna ancora irrealistico, ma utile per far capire che l’assetto ereditato del Paese non è affatto scontato e che la responsabilità di orientarlo in una direzione o nell’altra è di chi lo abita. Come sarà il mondo tra 50 o 100 anni? Oggi questo interrogativo è proposto come una sfida pericolosa sia sul piano ambientale e dell’architettura sia su quello iconografico e meta-visivo, in quanto il tema principale è la Natura, o meglio come la paura dell’uomo nei confronti della natura è necessaria per portare scelte migliori.


Cambiare culturalmente il modo di relazionarsi con la natura - nell'innovazione e nella progettazione - è necessario per definire consapevolmente il nostro futuro. Gli ambienti immaginati sono diversi e sospesi. Un “day after” in cui la presenza umana è quasi un’utopia e le città sono ecosistemi naturali distopici. I paesaggi delle città visionarie sono trasformati dai cambiamenti climatici: Milano è ora un vasto deserto con grattacieli racchiusi in dune di sabbia, il Duomo è una terra deserta del deserto, mentre Venezia è un mare che si agita di onde abbondanti. Le visioni vogliono condurre il lettore alla consapevolezza della gravità dello stato di salute del Sistema Terra “per aiutarci a intraprendere il sentiero verso un cambio di paradigma culturale” (come scrive Alessio Malcevschi nella prefazione dell’edizione italiana de L’atlante dell’antropocene).


Volumi vuoti, Vision by ZEDAPLUS


È il momento di cambiare e diventare altre persone. È il momento di far diventare nuove le cose di tutti i giorni. È il momento di rinascere e capire che gli uomini sono immersi nell’Universo e che non potrebbero vivere senza la Natura, mentre la natura resterebbe al mondo senza di loro. Oggi, non si può più rimandare, è il momento di scegliere la natura. Questa è l’unica scelta che può salvare il genere umano, per invocare un cambiamento radicale, della politica e degli stili di vita. Negli ultimi decenni è stato dato troppo valore alle cose sbagliate. Nell’architettura è necessario concentrarsi nuovamente sulla qualità degli spazi di vita, delle relazioni con il contesto. La prima azione è prendere consapevolezza e quindi agire con responsabilità, “rendersi conto dell’abisso che separa il mondo nel quale viviamo, in maniera più o meno confortevole, e quello dal quale dipendiamo e con il quale bisogna conciliarsi” (Bruno Latour).


L’architettura non deve più essere il limite che priva l’uomo delle condizioni naturali climatiche, geografiche e temporali. La presunzione dell’uomo nei confronti della natura e la convinzione di conoscerla e di saperla dominare, hanno contribuito in maniera indelebile al proliferare del disordine climatico che oggi si vive, accentuando la deriva di spazi antropizzati generati da architetture dominate da un tempo climatico e meteorologico sempre più autonomo rispetto ai ritmi ambientali di appartenenza. È necessario iniziare la progettazione dei luoghi in totale assenza della parte materiale dell’architettura, quella a cui siamo abituati, e progettare quello che dovrà essere l’ambiente meteorologico in cui andremo a vivere, dove le forze invisibili della natura diventano i veri materiali da costruzione capaci di strutturare gli spazi in armonia con i cicli naturali di riferimento e realizzare così architetture che soddisfino anche esigenze fisiologiche.


Bisogna ricominciare dalla natura (e dalla società), dai suoi valori, perché dentro la natura (e dentro la società) è possibile trovare gli elementi principali della ricerca del nostro equilibrio, che partono non da spazi pieni ma da luoghi di relazioni, dalla dimensione collettiva. È necessario un cambiamento degli atteggiamenti e delle abitudini progettuali. Più che avere un nuovo progetto urbano, una nuova architettura, bisogna ricercare una nuova natura urbana. Passare da un’architettura fisica a uno spazio sensoriale, per generare nuovi spazi di interazione. Lo spazio dei sensi potrebbe diventare un vero e proprio ambiente tridimensionale e immersivo.


© Edizioni Archos

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