top of page

Rara Natura

Aggiornamento: 25 lug

Come delle vere e proprie antologie di tracce, di segni perduti, nascosti e scoperti, nei Bestiari medievali gli animali non sono riprodotti in modo realistico, il fantastico e l’ibrido si accompagnano al verosimile


ree

Dettaglio di "Una Mappa del Mare" (Carta marina) di Olaus Magnus (1490-1557)


Il pensiero pensa, e l’immaginazione vede.

Bruno Munari, Fantasia, 1977

 

Al mondo ogni creatura

è come un libro e una pittura

per noi, è uno specchio.

Alano di Lilla, XII secolo

 

L’esperienza che abbiamo del paesaggio passa inevitabilmente attraverso lo sguardo. A differenza del ritratto, il termine paesaggio viene mantenuto sia che si guardi uno scorcio di natura o di città sia che si guardi un quadro che riproduca tale scorcio. Esiste in quanto è visto. Ma non consiste semplicemente in un insieme di linee e di colori, prevede piuttosto un certo grado di consapevolezza, di partecipazione, si potrebbe dire di competenza, poiché è un qualcosa che racconta di qualcos’altro. Il paesaggio non è paesaggio senza la presenza umana, altrimenti è Natura. In entrambi i casi l’interazione non può essere neutra e, innanzitutto e comunque, ci troviamo in una condizione di corrispondenza.


Di fronte ad essi non ci sono solo i nostri occhi, ma il nostro intero corpo e l’esperienza che abbiamo quotidianamente del nostro intorno. La Natura però non è mai un agente passivo, non siamo noi a guardare la natura, ma al contrario è lei che ci vede e che agisce su di noi, è a lei e alle sue leggi che dobbiamo rispondere, anche quando la distruggiamo o contaminiamo, anche quando, raramente, tentiamo di preservarla. La storia dell’uomo è una storia di relazione tra il proprio territorio e il territorio della natura. Il rapporto che possiamo costruire con essa può essere estetico, e quindi sensibile, solamente quando è anche etico. Mi immagino la terra, avvolta nella sua atmosfera, come un grande essere vivente, tutto preso da un eterno inspirare e espirare (Johan Peter Eckermann, Conversazioni con Goethe, 2008). Anche l’arte agisce su chi la guarda, e in questo senso si assume delle responsabilità, si installa e si costituisce come presenza effettiva, immersa nel mondo, come a darne una possibile misura.


ree

Pieter Bruegel il Vecchio, Il Giudizio finale, Cristo agli Inferi e i Vizi capitali (La Superbia) Collezioni d’arte di Dresda


La Natura ragiona in termini matematici e si manifesta come un organismo in atto; per quanto si possa tentare di com-prenderla anche scientificamente, al di fuori della teoria non è possibile distenderne il piano completo, definito compiutamente da un pensiero e da una volontà che non ci è dato di conoscere. Ma abbiamo la possibilità di indagare questo organismo mai definitivo, questo luogo dove accumuliamo conoscenza nel sogno di attingere a un sapere universale che attraversa la storia dell’arte da sempre, alla ricerca di immagini capaci di restituire l’immensa varietà e ricchezza del mondo. La fascinazione per gli archivi, gli atlanti, i bestiari, gli erbari e i meno noti ma non meno seducenti lapidari nasce fondamentalmente dal bisogno di dare un nome e un ordine alle cose e al vivente, descrivendo e disegnandone una forma, in una sorta di impressione, e perciò traccia, acuita dall’esercizio dell’osservazione commista all’immaginazione, la sola in grado di creare e disfare continuamente corrispondenze inedite e analogie impreviste con il reale.


Come delle vere e proprie antologie di tracce, di segni perduti, nascosti e scoperti, i Bestiari medievali in particolare evidenziano la complessità del reale, che implica la moltiplicazione delle opportunità della conoscenza ma anche le difficoltà che tale complicazione pone rispetto al già noto. La Natura, cioè, diventa teatro di una verità (distinta dal reale) che coniuga volontà e scelta, anche bizzarra, anche enigmatica, nella creazione; non punta più sulla semplicità delle specie e degli individui, ma elabora un sistema complesso e inatteso degli organismi e delle categorie in cui essi vengono organizzati. Il mostro rivela l’ordine universale mentre lo sovverte, la sua difformità, la sua non-bellezza hanno un motivo d’essere nel disequilibrare il luogo comune. Non dobbiamo però averne timore, perché in tal modo si supera l’ideale realista che limita il sapere alla pura esattezza della scienza, per ridefinire oltre ogni dogmatismo, le categorie concettuali e immaginifiche che consentono di rileggere la conoscenza in modo più dinamico e differenziato, e oserei dire, proiettato sul contemporaneo.


Nei Bestiari medievali gli animali non sono riprodotti in modo realistico, il fantastico e l’ibrido si accompagnano al verosimile, i testi e le immagini non hanno valore scientifico ma concettuale, incarnano simbologie e rimandano a significati e insegnamenti (morali o religiosi), le rappresentazioni sono metafore, allegorie e testimoni della vera natura e della incredibile varietà del mondo. Le imprecisioni, nelle forme e nei colori e le approssimazioni nelle fattezze, a volte terrificanti, dei Monstra che sono raccolti in questi formidabili testi, evocano quanto più il concetto di rarus latino, e cioè lo straordinario, ma anche il non denso, non fitto, rado, poroso; fanno corpo con una sorta di esperienza metafisica della visione, in cui le forme naturali e le presenze immaginarie si sovrappongono, in equilibrio tra significante e significato. Occorre (…) inquietare la ragione e disturbare le abitudini della conoscenza oggettiva per costruire e trasformare una realtà che vive il proprio valore di verità nelle sue oscillazioni (Gaston Bachelard, Essay sur la connaissance approchée, 1927).


ree

Dettaglio di "Una Mappa del Mare" (Carta marina) di Olaus Magnus (1490-1557)


Ogni volta che individuiamo un sistema di pensiero che consenta la relazione tra ciò che è fuori da noi e il nostro immaginario, ri-organizziamo il nostro sguardo in modo che sia possibile mantenere attivi i desideri che ci portano a interrogare il segreto che ancora non ci è stato rivelato. Vi guardo come si guarda l’impossibile, scrive Roland Barthes (L’ovvio e l’ottuso, Saggi critici III, 1985), individuando nella visione uno spazio di azione che si situa al di là dell’apparenza, dove ciò che viene percepito si carica dello schiudersi muto di un senso. Indispensabile e irrinunciabile, quindi, l’invasione dello spazio della visione da parte di figure, segni, animali, piante e pietre, proiezioni e cosmogonie che perdono la loro consueta definizione, il loro consumato nome e consentono di pensare e di inventare, persino, nuovi linguaggi e nuovi mondi. Il termine francese incontournable viene tradotto con le parole imprescindibile, fondamentale, essenziale ma per assonanza rimanda a “non avere contorno”, essere debordante, traboccante, e quindi necessariamente da tenere in conto.


Specie quando lo si può ricondurre all’idea di una soglia un po’ vaga ed espansa dove giocano il visto e l’invisto contemporaneamente, dove si propaga un alone fuori misura che raccoglie le immagini sovrapposte in un unico “ora” inafferrabile e infinito. È qui, così come nell’opera, che lo stupore e la meraviglia si stabiliscono, insieme al tentativo di misurare e comprendere l’unheimlich di Schelling, tutto ciò che avrebbe dovuto rimanere nascosto, sommerso e che invece è affiorato, a restituire non tanto un’immagine del mondo, ma un (quel) mondo che diviene immagine. L’opera è nel contempo la morte di un fenomeno e la sua moltiplicazione, e il suo eccesso apre alla scoperta del paesaggio sempre vergine delle sensazioni, è il pensiero impegnato con l’assurdo (Francesca Alfano Miglietti, Arte pericolosa, 1991).

 

 

© Edizioni Archos

© Edizioni Archos. Tutti i diritti riservati.

bottom of page