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Dove tutto accade

I luoghi del ritorno nei cortometraggi di Ilaria Franchini


La storia della balena spiaggiata, 2020 | Sceneggiatura e regia Ilaria Franchini | Foto © Ilaria Franchini


Se è vero che il potere delle immagini nasce dal fatto che danno l’illusione della realtà, come affermava Simone de Beauvoir, Ilaria Franchini accarezza questa illusione con uno sguardo originale. Il suo ultimo cortometraggio La storia della balena spiaggiata ha già ottenuto sei selezioni, due menzioni d’onore (Tokyo International Short Film Festival | Toronto Indie Short) e due vittorie di categoria (Toronto Indie Shorts | Crown Wood International Film Festival nella sezione Film on Women).


Prima la fotografia, poi la regia. In entrambi i casi tenendo per mano una storia da raccontare. Cambiare strumento di narrazione è stato un passaggio naturale o una scelta precisa?

Prima ancora il disegno… lapis, china, bianco e nero, puntini, poi evoluzione naturale nella fotografia con l’esperienza al ICP (International Center of Photography) di New York, la scoperta del colore, della tecnica, del ritratto. Una passione strettissima durata quasi trent’anni, fino a quando Giovanni Spinelli, amico e raffinato musicista, mi ha suggerito di passare dietro la macchina da presa, passo per me non immediato. Ho studiato e ho avuto la fortuna di avere tre maestri importanti A. Nicoloso, caro amico, F .Falaschi e A. Brizzi della Scuola Storie di Cinema. Della regia mi piace moltissimo il lavoro di squadra, avere accanto a me persone che hanno competenze diverse dalle mie dalle quali imparare continuamente, e che danno il massimo per un obiettivo comune. Amo la fotografia, ma implica solitudine.


Nel tuo lavoro hai scelto di rappresentare principalmente le donne. Quanto di te c’è nelle storie che narri? Pensi che per essere convincenti nel mondo della creatività si debba partire da ciò che ci appartiene oppure il contrario?

C’è tanto… partire da se stessi è importante, perché dà veridicità al narrato, però, quando vuoi creare un lavoro diretto a un pubblico è fondamentale che si crei fra esso e la storia che vuoi raccontare un filo empatico. Devo sapere a chi voglio raccontarla e perché. La storia deve interessare, servire agli altri, rimanere dentro alle persone, e non solo dentro di me. Ad esempio nel La storia della balena spiaggiata c’è tanto di me, ma anche tanto di altre donne. Narrare di cose che non ci appartengono o sconosciute non penso sia un percorso durevole.


Come regista hai realizzato tre cortometraggi: Chiaroscuri, Bianca, non arrivato a pubblicazione, e La storia della balena spiaggiata. Fili sospesi di una medesima narrazione. È così, oppure sono tre storie distinte?

Per adesso i progetti realizzati sono due. Nel primo cortometraggio Chiaroscuri avevo un percorso ben chiaro in testa, una trilogia che narra il diverso modo di ritornare al passato di due sorelle, Clara e Bianca, dopo la morte della madre. Due micromondi. Bianca, da considerarsi la prima stesura del La storia della balena spiaggiata è stata un’esperienza fallimentare, che, però, mi ha permesso di comprendere il valore fondamentale della sceneggiatura. Da lì ho studiato tanto. Vediamo se sarò capace di arrivare al terzo.


Casa Esagono, Baratti (LI) | Foto © Ilaria Franchini


Nei due corti realizzati oltre alla figura femminile sembra avere un’importanza nodale il ritorno a un luogo amato, la casa e la sua poetica. Nel La storia della balena spiaggiata la protagonista Bianca ritorna al golfo di Baratti, a Casa Esagono, oggi bene di inestimabile valore artistico salvaguardato da BACO (Baratti Architettura e Arte Contemporanea) e realizzato negli anni settanta dall’architetto Vittorio Giorgini. Perché questo luogo?

Perché è l’esatto contrario della prima location Pieve di Caminino, casa di Chiaroscuri, piena di oggetti e di tutto quello che ci tiene ancorati alla materialità della vita. Architettura storica bellissima, piena di arte e antichità, ma per La storia della balena spiaggiata avevo bisogno di altro, di un luogo artistico, ma privo di oggetti, di un luogo che confondesse il suo dentro con il fuori. Bianca ritorna per curare le sue ferite. Casa Esagono l’ho sempre amata e immaginata per raccontare una storia. La sua semplicità è perfetta.


Altra costante delle tue storie è una narrazione particolare della malattia. Metti a fuoco quello che le ruota intorno, la relazione, un luogo, un sogno infranto, l’amore materno, una storia dentro un’altra storia, ma non la sua manifestazione. Percorso più difficile per arrivare al pubblico…

A me piace passare dietro a ciò che è evidente. Voglio avere un abbraccio più ampio della situazione che creo. La malattia fa male, e lo so per esperienza personale, ma non tollero chi pigia su di essa in modo evidente. Non voglio narrare i suoi stereotipi, non m’interessa. È l’unico punto sul quale non cerco compromessi empatici con il pubblico, ma spero solo che possa comprendere il mio sguardo ed essere attento.


Una storia dentro un’altra storia: chi è la balena spiaggiata?

Simbolicamente ha rappresentato per me la scelta di Bianca, quella di accettare la malattia pensando alla cura o al modo di morire. La balena spiaggiata è Bianca, il suo ritorno a casa non sarà la sua salvezza, ma sarà prendere coscienza delle proprie radici e della strada che l’ha portata a essere madre.


Chi è oggi Ilaria Franchini?

Una “zolla che rotola” e una scolara con ancora tanta voglia di imparare.


© Edizioni Archos

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